mercoledì 29 dicembre 2021

Strava ha rovinato tutto? O no?

Arriva fine dicembre, e puntuali arrivano gli screenshot dei propri numeri di Strava a riassumere l’intero anno. Altrettanto puntuali arrivano i complimenti di amici/tifosi/conoscenti, oppure le lamentele di chi non approva/apprezza. Perché già, Strava ha rovinato tutto, secondo molti. Oppure è la più grande novità tecnologica dell’ultimo decennio per quanto riguarda lo sport outdoor, secondo altri.

Lamentarsi sui social è lo sport principale degli ultimi anni, tutti possono essere vincitori, basta ricevere qualche like o qualche commento di approvazione. Più difficile è guardare le cose da punti di vista diversi e più allargati.
Lo ammetto, qualche anno fa non mi piaceva molto Strava, ma almeno ho evitato di lamentarmene, semplicemente non lo usavo. Caricavo solo qualche gara, quando mi ricordavo e quando mi andava, e poco altro. Non seguivo nessuno in particolare. Poi però ho iniziato ad usarlo per vedere gli atleti che allenavo e alleno, oltre che qualche atleta di alto livello (nel trail o nel ciclismo) per curiosità. Dall’autunno 2020 ho iniziato a caricare regolarmente anche i miei allenamenti, almeno quelli outdoor, a piedi o in bici. Magari prima o poi metterò anche quelli indoor, ma sempre meglio tenersi qualche segreto per sé (ih ih).

Ci sono stati decenni in cui si sperava di trovare su riviste (prima) o su siti (poi) i diari o le tabelle di allenamento dei campioni, programmi dai quali prendere spunto, capire meglio i presunti “segreti” degli atleti più forti. Ora è diventato più semplice, basta seguirli su Strava, anche se non tutti caricano ogni singolo allenamento, e non ci sono nemmeno tutti sulla piattaforma. Trovo davvero interessante sbirciare e capire come alcuni atleti si allenano. E non parliamo per le persone che alleno io, posso scovarli molto meglio quando vanno troppo veloce nei “lenti” (la cosa più difficile in assoluto da fare passare a chi si allena, far capire che per andare più veloci bisogna allenarsi molto più tempo andando piano che andando veloce). E poi il vantaggio sui miei stessi allenamenti.
Sono sempre stato pigro e non ben organizzato. Diari di allenamento li ho sempre tenuti a periodi. Per mesi riuscivo a segnare tutto, poi per altri mesi non lo facevo. Così più o meno da quando ho iniziato a correre. Ma mi sono trovato con la comodità estrema di Strava, dove posso controllare i ritmi anche nei famosi “segmenti”, sia che si tratti di allenamenti intensi, che lenti, oppure di gare su percorsi già fatti più volte. Senza parlare poi della possibilità di scoprire sentieri nuovi.
Come ogni nuovo strumento, il segreto sta nello sfruttarne i vantaggi. Lasciamo perdere chi fa i record dei segmenti barando, andando in bici (su un segmento caricato a piedi) o in moto (su segmenti caricati in bici). Ci sono, ma pace al loro cervello. Questa cosa dei segmenti col record da creare o da battere delle volte può essere eccessiva, ma può anche essere positiva o motivante in altri casi. Qualcuno può trovare voglia di impegnarsi e divertirsi nel tentare di fare un tempo in un certo segmento, per competere coi propri amici o per confrontarsi coi top.
L’importante è prenderlo per ciò che è, un gioco.

Ci si può sempre lamentare di ogni novità, dei tempi che cambiano, della gente che ora corre “per il segmento su Strava” o “per mostrare i propri numeri a fine anno” e non per il semplice gesto della corsa e basta, di chi va più forte su Strava che in gara, di chi carica anche le passeggiate col cane per avere più km, di chi fa più ore di allenamento perché vede che gli altri si allenano più di lui. E se invece Strava avesse anche aiutato? Ci sono pro e contro, come ogni novità, come ogni cosa a cui non si era abituati. Come ogni cosa in generale. Ci sono sì i casi di chi si fa prendere dall’ansia nel vedere altri che su Strava caricano quantità enormi di dislivello, tempi fenomenali, finendo così per fare troppo per mettersi alla pari e sentirsi più preparati, o meno sminuiti. Ripeto che l’importante è prenderlo per ciò che è, un gioco, oltre che uno strumento che può aiutare. Tutto qua.
Una cosa negativa di Strava però oggettivamente c’è. Tanti si allenano troppo. E andate tutti troppo veloce.

giovedì 23 dicembre 2021

Bilanci e idee per il nuovo anno

Fine anno. Tempo di bilanci. No, aspetta, troppo banale. Rifaccio.

Fine anno. Punto. Più che fare un bilancio (negativo per i risultati nella seconda parte di anno, ma positivo se relativo a tutto il resto), mi piace capire dove sento di essere migliorato ancora, dove ho sbagliato negli allenamenti e nelle gare, e pensare a cosa eventualmente cambiare nell’anno nuovo.
Intanto, la pausa e la ripresa. Dopo la JFK, 2 settimane di riposo totale, necessarie nonostante altre settimane prese qua e là da settembre in poi. Successivamente 2 settimane con poche corse, molto brevi e molto lente, giusto per riprendere il movimento, puramente per stare bene. E infine la vera ripresa della preparazione per la nuova stagione, un mese dove inserire interval training, forza, aumentando leggermente i chilometri, ma molto poco, solo come base.

Cosa cambiare rispetto al 2021? Sotto il punto di vista dell’allenamento, più cross training in inverno, che lo scorso anno avevo quasi del tutto evitato e che mi aveva portato a qualche acciacco prima del primo importante appuntamento primaverile, la UROC. Quindi, nonostante non ami particolarmente il freddo e abbia tante scomodità, farò un po’ più di mountain bike. Aggiungerò anche qualche giro sullo stairmill, che avevo dovuto evitare a causa della mascherina obbligatoria in palestra, e spinning, che dopo averlo sfruttato parecchio durante il lockdown mi aveva nauseato un tantino. Esercizi di forza come sempre, forse qualcosa in più, forse qualcosa di diverso, senza esagerare, che le cose più utili sono spesso le più semplici.
Come nel 2020, e come gli anni precedenti, inserirò delle settimane di recupero totale durante l’anno, soprattutto dopo le gare più lunghe ed esigenti. Un po’ più di allenamenti combinati corsa+bici, come facevo qualche anno fa. Meno lunghissimi, molto pochi. Meno gare, soprattutto mai più gare back to back, ovvero in settimane consecutive. Quest’anno l’ho fatto in due periodi, a giugno, con 3 gare 50 km consecutive, pensate come allenanti, che invece erano state parecchio stancanti alla lunga, e tra settembre e ottobre, dove la permanenza in Italia, i tanti inviti ricevuti da parte di amici e la delusione post UTMB mi avevano fatto fare decisamente troppo, il tutto con una punta di sfiga abbastanza ragguardevole, che mi aveva causato un calo di forma e di motivazioni mica da ridere.
Probabilmente calerò anche il volume generale di allenamento, non solo con meno lunghi, ma anche con meno ore in generale in settimana. Fare di più può farmi guadagnare un 2% importante (percentuale inserita a caso), ma anche il rischio di stancarmi, farmi male, perdere motivazione se poi le cose vanno male. La vita ha anche altre priorità. Quel 2% non mi farebbe mai comunque diventare un fenomeno, meglio ricordarmi di tenere basse aspettative, per prendere tutto il buono di quello che viene. Meno stress da prestazione, che di solito me lo ricordo a inizio anno, ma che con l’andare del tempo spesso viene meno, soprattutto dopo imprevisti o gare andate male. Maledetta entropia.

Riassumendo:
+ cross training;
+ mountain bike in inverno e anche dopo;
+ combinati corsa+bici;
+ stairmill;
- gare ravvicinate;
- volume in generale;
- stress da prestazione.

venerdì 17 dicembre 2021

Come programmare l'anno di gare, più o meno

Nel finale di anno è sempre stimolante pensare alla nuova stagione. Si sognano un sacco di gare da voler fare, si fanno i conti coi sorteggi, con le lotterie, con le ferie, con la disponibilità economica, con la famiglia, e con mille altre cose. Nel programmare gare non va però tralasciata anche l’importanza di una struttura nell’allenamento e nella concatenazione delle varie distanze che abbia un certo senso, o si corre il rischio di fare troppo, o male, o entrambe le cose.

Di solito per prima cosa si cerca la gara clou, chiamiamolo obiettivo A, che per la maggior parte dei trail runners corrisponde alla gara più lunga, anche se c’è spesso (sempre) il problema di sorteggi e lotterie da attendere... Però intanto si può avere un’idea, e magari una o due alternative. A questo punto, andando a ritroso, si cercano altri obiettivi, chiamiamoli B, da sfruttare come allenamento, ma dove si può sempre arrivare in buona forma se tra una gara e l’altra c’è un buono spazio per recuperare e riprendere ad allenarsi. E poi eventuali obiettivi C, di solito gare più brevi, da usare come allenamento e che in genere si possono recuperare più velocemente. Tendenzialmente sarebbe meglio non farne ogni settimana, altrimenti più che allenanti queste gare faranno ristagnare la forma, anche se spesso è difficile resistere alla tentazione. Si potrebbe sì inserire un periodo di gare brevi fatte consecutivamente, però seguito da un adeguato periodo di recupero prima di riprepararsi per gli obiettivi (o l’obiettivo) futuro.

Ma quanto tempo ci vorrebbe per preparare l’obiettivo A? Eh, dipende, come più o meno ogni cosa della vita, date le infinite combinazioni. Di certo allenarsi per 8 o 10 mesi senza pause per una sola gara rischia di affaticare troppo, a meno che ogni tot mesi non si prendano delle pause rigeneranti, lunghe una o due settimane, dove fare davvero poco e ricaricare completamente le energie. Ad esempio, inserire una gara B ogni due mesi può dare il tempo di recuperare e poi riprendere, incrementando di volta in volta l’allenamento, con un corpo via via più adattato alle distanze. Di solito aumentare la distanza ad ogni gara può essere d’aiuto, se in mezzo si inseriscono periodi di recupero.

In ogni caso l’ideale sarebbe fare dei periodi di allenamento intenso per non più di 3 o 5 mesi, massimo 6, con in mezzo gare B, o anche C, certo. In caso di una lunga preparazione di mesi e mesi, se dopo la gara A rimangono ancora energie (e se non si tratta di una distanza lunghissima che facciamo per la prima volta e che ci prosciuga), si può attaccare una coda più o meno lunga di altre settimane (fino a due mesi, al massimo) dove fare distanze minori o gare senza grossi obiettivi, per puro divertimento (che poi in realtà dovrebbe esserci sempre, il divertimento).

Insomma, sì, alla fine è un casino. I punti fondamentali rimangono però questi:
- porsi un obiettivo A;
- avere obiettivi B, ma che siano con una distanza decente di tempo, almeno 3 settimane una dall’altra, meglio se 4 o 5;
- aggiungere obiettivi C, ma senza esagerare, e su distanze accessibili per non prosciugarsi;
- lasciarsi i giusti tempi di recupero, sia che si corrano poche gare, che molte;
- nel caso di doppio obiettivo A (o triplo, o quadruplo, e così via all’infinito, cosa non rara…), meglio averli a distanza di 4 o 5 mesi. Anche 3 mesi possono andare bene, 2 sono un po’ tirati (nulla toglie che ci sia chi riesce a farne in settimane consecutive, meglio non prenderli in considerazione però – ma se guadiamo ai top, quanti riescono ad esempio a finire LUT e UTMB benissimo nello stesso anno?). Ma in effetti, se si punta a finire certe gare in condizioni buone e senza ambizioni di classifica, si può fare più o meno tutto.
- difficile pensare di essere attivi e in forma per 52 settimane all’anno (anche se c’è chi lo fa, certo, e magari pure bene), quindi normalmente si dovrebbe anche pensare di avere periodi di riposo anche durante la stagione più bella.

Ok, alla fine non è che si sia capito molto. La realtà è appunto che tutto dipende da ogni singolo caso, dall’obiettivo che si ha, dalla storia sportiva, da quanto ancora si vuole correre in futuro, da quel è la personale visione delle gare. E dai sorteggi. Dai maledetti sorteggi.

martedì 7 dicembre 2021

Ultranormale

Un anno fa, a fine novembre, mi capitarono due esperienze negative nell’arco di una settimana: l’errore di percorso alla JFK 50 mile dopo pochi km, con decine di minuti persi, sconforto totale e seguente ritiro al primo punto disponibile per fermarmi; il tentativo di record sul tratto di Appalachian Trail in Maryland, detenuto da John Kelly, interrotto a 6 km più o meno dalla fine, dopo una serie di incomprensioni per l’assistenza e altre sfighe. Era già stato un anno pessimo, con l’arrivo della pandemia, le gare saltate, l’impossibilità di tornare in Italia e godermi un minimo di montagna, ma anche semplicemente di muovermi al di fuori del Maryland. Qualche gara ero riuscito a farla, e anche a vincerla, sebbene fossero fatte con restrizioni di diverso tipo, partenze a cronometro, gruppetti, altre gare erano saltate all’ultimo momento, e non sempre a causa covid. Però ero riuscito ad allenarmi – divertendomi – in modo costante per tre mesi per la JFK, una delle pochissime gare di una certa importanza che si sono riuscite a correre negli USA nel 2020, e che infatti proprio per questo aveva attirato tanti tra i migliori ultramaratoneti americani.

E poi è andata come andata. E aldilà del ritiro, anche qualche commento poco simpatico sui social, teso a minimizzare la mia delusione, aveva contribuito ad aumentare il mio sconforto. Avevo poi trovato una possibile nuova occasione, iscrivendomi alla Bandera 100 k, gara in Texas a gennaio, ma un pesante malessere a dicembre mi aveva fatto saltare pure quella.
Già tra marzo e aprile avevo iniziato a scrivere un po’ di cose, con la vaga idea di pubblicarle poi sotto forma di libro, ma erano forse eccessivamente deprimenti. Anche in estate ero andato avanti a scrivere, raccontando aneddoti sulle mie tante gare corse, oppure facendo considerazioni generali sul mondo del trail e non solo. C’erano anche delle risposte a molti detrattori delle gare ultra, spesso fatte da parte di chi conosce davvero poco - o nulla completamente – l’ambiente e le persone che corrono in questi eventi, probabilmente mal suggeriti dalla retorica della resistenza a tutti i costi che viene spesso raccontata su media e social, e sì, a volte anche dagli atleti stessi.
Durante l’inverno così ho pensato di riprendere in mano quello che avevo scritto lungo l’arco dei mesi precedenti, ammorbidendo il testo (ma non troppo, ho volutamente mantenuto dei toni forti in alcune parti – quantomeno per come sono conosciuto io di solito, eppure mi sono trattenuto molto), completando le parti mancanti, arricchendo con aggiunte e formando una struttura particolare al racconto. Chissà, rileggendolo ora forse mi pentirei di alcune cose scritte, ma credo di avere sempre questo problema, penso che sarei in grado di vergognarmi anche di cose scritte due settimane fa, perché in effetti tutto ciò che ho prodotto o che produco è migliorabile, e penso sempre che avrei potuto fare molto meglio, che ho inserito elementi trascurabili e non ho detto altri concetti molto importanti. Però non me ne pento, no di certo.
È stato catartico scrivere quello che poi è diventato “Ultranormale”. Mi ha riconnesso coi motivi per cui corro (sempre che ci siano dei motivi chiari) e per cui mi piace l’ultratrail. Almeno credo. Poi infatti quest’anno mi sono divertito per gran parte del tempo, fino a quando la stanchezza generale mi ha fatto perdere un po’ la rotta. Cosa che mi succede più o meno ciclicamente, e che no, non è legata ai risultati.
Ora credo di essere in una fase simile a quella dello scorso anno. Ma non scrivo un altro libro, vi risparmio.

(Qua per acquistarlo)
https://www.amazon.it/Ultranormale-Stefano-Ruzza/dp/B09FC9YRYH/

martedì 30 novembre 2021

Allenarsi rimanendo liberi

Senza voler sfruttare una parola che nei tempi sta venendo sempre più violentata, mi sento di voler dire che il trail è libertà. O meglio, è anche libertà, di correre senza ansie cronometriche, camminando se necessario, fermandosi a godere dei panorami e della natura, andando con gli amici in giro per monti o boschi per ore, eccetera.

Ma quindi come ci si può allenare seguendo un piano un minimo strutturato e allo stesso tempo avere libertà di fare quello che si vuole e che ci si sente di fare sui sentieri? Bè, come allenatore il mio compito non è quello di dare tabelle da seguire in modo rigido e senza sgarrare. Forse c'è anche chi lo fa, e probabilmente funziona pure, ma io preferisco un altro approccio. Di certo c'è chi segue gli allenamenti proposti in modo maniacale, ma lascio sempre la possibilità di divertirsi con gli amici o di sforare nei tempi, oppure di fare di meno se quel giorno le cose non vanno al meglio e gli impegni prendono il sopravvento, evento più che normale per chiunque non sia un professionista.

In fondo trovo che un bravo allenatore non sia tanto (o solo) quello capace di fare i test in laboratorio e dare la “tabella perfetta" (che comunque non esiste), ma quello che sa adattare il programma di volta in volta, lasciando un certo grado di libertà all'atleta (bè, entro certi limiti). Come scrivere non è solo “scrivere” ma “ri-scrivere”, allenare non è solo programmare, ma ri-programmare.



mercoledì 24 novembre 2021

La mia JFK 50 mile - terza e ultima parte, brevi riflessioni post gara

Guardando la classifica e le edizioni precedenti, col tempo di quest’anno sarei finito 14° lo scorso anno (con davanti solo Camille Herron tra le donne), 19° nel 2019, 11° nel 2018, etc… Jacobs, 10°, col sul tempo nei precedenti anni sarebbe arrivato 8° nel 2020, 7° nel 2019 e 2018, 4° nel 2017, etc…. È anche stata la prima volta che i primi 6 abbiano fatto 5h46’ o meno, un tempo che avrebbe permesso di vincere in svariate edizioni, praticamente sempre prima del 2010, e questo nonostante in 3 dei primi avessero sbagliato strada!

I confronti tra un anno e l’altro sono sempre da prendere con le pinze, quest’anno forse il meteo fresco e secco ha aiutato non poco, ma di certo il livello medio di sta continuamente alzando, ci si allena meglio, ci sono scarpe più performanti, più giovani dal gran motore che ci provano... e io intanto invecchio.

Il mio tempo è più alto rispetto alle 6h31’ dell’Eco Trail de Paris di 2 anni fa - dove persi forse anche 10’ a causa di un errore di percorso - gara dal chilometraggio uguale, ma con molto più dislivello rispetto alla JFK, segno che, oltre ad una diversa forma, avere tanti km dove soltanto correre può essere davvero molto svantaggioso per chi come me non è abituato a questo tipo di sforzo.

Più o meno nelle gare che faccio finisco così: prima partecipazione ritiro, seconda prendo le misure e alla terza riesco a fare una bella gara. Magari succederà anche qua.

Cose di cui sono contento:
- Aver partecipato a questa che è la più vecchia ultramaratona americana, una delle più partecipate e importanti, e anche una delle rare che non si corrono nel nulla, con un minimo di partecipazione di pubblico del luogo;
- Aver finito la corsa e in condizioni tutto sommato buone, nonostante le difficoltà;
- Non aver avuto problemi di muscolatura da microtraumi dovuti dalla ripetitività del gesto – segno che almeno in questo ero ben allenato, mentre non ero ben allenato per la lunga distanza di pura corsa che ha invece causato i dolori ai flessori dell’anca;
- La perfetta strategia alimentare in gara, ma anche pre gara: quest’anno a UROC, UTLO e JFK non ho avuto problemi di questo tipo, solo all’UTMB le cose sono andate male;
- L’aver scoperto l’utilità della cintura-marsupio in gare veloci come queste americane;
- Ho imparato un milione di altre cose sulla preparazione e la gestione di gare così corribili;
- E tanto altro.

Non sono mica solo un lamentone!

(fine terza e ultima parte)

martedì 23 novembre 2021

La mia JFK 50 mile - seconda parte, la gara

Lo scorso anno la JFK era stata l’unica gara importante ad essere corsa in tutto l’intero anno, quindi si erano presentati tanti tra i top runners americani. Quest’anno sembrava la concorrenza sembrava minore… ma sembrava, esatto, perché in realtà visti i tempi alla fine…

Nelle prime centinaia di metri mi sentivo super agile, andavo “facile”, ma forse fin troppo, nonostante il freddo (- 1° C alla partenza, o forse anche qualcosa meno). Di sicuro sentivo la scioltezza dovuta al molto riposo degli ultimi giorni, che in fondo può non essere un male nemmeno in futuro, visto che io tendo sempre a fare non poco fino a ridosso della gara. Nei primi 4 km in leggera salita su asfalto ho preso comunque un passo buono, ma senza forzare. Guardando poi su Strava, ho visto che nei primi 4 km quest’anno sono andato 40” più veloce dello scorso anno. Credo che aver usato la cintura della Instinct al posto dello zainetto minimal possa avermi aiutato parecchio a correre in modo più economico. In questi primi km ho potuto vedere e salutare Paul Jacobs, ragazzo con cui l’anno scorso avevo lottato per tutto il tempo all’Hashawha Hills 50k, proprio nei giorni dei primi lockdown in Italia, l’ultima gara americana pre pandemia. E così fino a più o meno al 9° km, dopo una ripida salita su asfalto, la più dura della gara, quando inizia la parte più interessante dell’Appalachian Trail. Ero in coda ad un gruppetto che viaggiava per il 15° posto, in linea con le mie previsioni. Controllando poi sempre su Strava, ho notato che ero circa 1’30” più veloce rispetto al 2020.

Qua lo scorso anno sbagliai sentiero, ma stavolta hanno “fettucciato” chiudendo la variante che avevo preso io. Essendo molto più a mio agio sui sentieri rispetto agli altri del gruppetto, ho guadagnato posizioni, lasciando davanti solo un ragazzo durante una discesa abbastanza semplice, pensando che presto ci sarebbe stata occasione per passarlo e proseguire del mio passo. Però ecco che ad un certo punto davanti vediamo 3 ragazzi tornare indietro, tra cui Anthony Kunkel, biondino del Colorado, che era partito in testa e che qua ha già corso altre 5 volte (quindi non si può dire che non conoscesse le insidie del percorso). Ritrovati più o meno in una decina a guardarci intorno e a discutere se fosse il percorso giusto o meno, siamo risaliti tornando indietro tra imprecazioni di ogni genere (ci ho dato dentro pure io, che nonostante le mie scarse capacità linguistiche inglesi, con le parolacce me la cavo bene). Risaliti e trovato il sentiero giusto, riprendiamo. Dai dati di Strava dovrei aver perso circa 4 minuti.

La rabbia (agonistica) mi ha portato a spingere per recuperare, soprattutto sulle parti più tecniche, dove andavo letteralmente al doppio degli altri che passavo, decine di atleti che nel frattempo ci avevano sorpassato. Ho lasciato indietro tutti i compagni di errore (compreso Kunkel, che mi ha raggiunto e passato solo quando il sentiero è tornato più facile), però spendendo un po’ troppo. Anche provando a respirare e recuperare nei tratti più semplici, ormai avevo consumato non poche energie. Rimonto ancora, sorpassando le prime 3 donne, fino a che non trovo più nessuno da raggiungere, troppo lontani davanti a me. Arrivo al ristoro di Weverton - al termine dell’Appalachian Trail, verso il 28° km circa – intorno al 17° posto. Mi fa assistenza Eleonora, la quale ha potuto notare come tutti i primi in classifica si siano cambiati le scarpe, indossando modelli velocissimi da strada per quello che ci aspetta nel resto della gara.

Parto per questa lunga maratona sul canale con le gambe che tutto sommato stanno bene, e confido di poter recuperare. Mi piazzo sui 4’30”/km, non volendo forzare e sperando di poter aumentare più avanti, ma mi passarmi subito 3 o 4 atleti. Dopo pochi km, mi passa anche la prima donna. Nel frattempo il gps non prende più, mi dà dei ritmi folli, quindi non posso nemmeno più gestire la velocità in modo preciso, ma devo andare solo in base alle mie sensazioni. Tutto va benino fino a metà circa del canale, poi inizio a sentire la fatica, rallentando un poco. E continuano a passarmi atleti. Mi passa anche Jacobs con una corsa davvero agile ed efficace, che proseguirà la sua rimonta fino ad arrivare 10° in 6h11’, il tempo che sognavo io, più o meno. Anche lui era nel gruppetto che aveva sbagliato strada, ma se l’era presa con calma, arrivando a Weverton 5’ dopo di me. Devo capire ancora tanto di questa gara, evidentemente. Mi passano altre donne, vanno con una costanza e un passo davvero notevoli. Io invece arranco. Non ho grosse crisi energetiche o altri problemi, semplicemente non sono abbastanza allenato per correre tanto a lungo, specialmente dopo le prime due ore tra salite e sentieri, così si stanno infiammando tutti i flessori dell’anca, alzare le gambe è sempre più difficile e la corsa è sempre meno efficace. Non vado in crisi, solo che non posso andare più veloce.

Finito l’interminabile canale, si arriva all’asfalto, dove uno strappo breve ma ripido porta all’inizio del tratto finale che in confronto è per me una passeggiata, grazie a qualche saliscendi che permette di modificare un po’ il passo e in qualche modo recuperare. Nonostante i dolori, la fatica e le salitelle, non vado molto oltre i 5’/km. Non sono lentissimo, eppure continuano a passarmi atleti. Solo pochi sono “esplosi” di quelli che mi erano davanti.

Nell’ultimo chilometro vorrei andare tranquillo, nonostante davanti abbia un ragazzo che sta rallentando, ormai l’importante è finirla, una posizione in più o in meno non mi cambia molto. Proprio ad un centinaio di metri dall’arrivo, un ragazzino di 20 anni (uno dei pochi in crisi che avevo passato pochi chilometri prima) trova energie nascoste per lanciare uno sprint e sorpassarmi. Inizialmente non mi interessa, poi però mi scatta la voglia di non mollare e sprintare, ma ormai è tardi, perdo da lui e per una manciata di secondi non raggiungiamo nemmeno il ragazzo davanti. Finisco 24° assoluto in 6h38’50”, 21° uomo, con davanti a meno di un minuto altri 4 atleti.



- fine seconda parte -

lunedì 22 novembre 2021

La mia JFK 50 mile - prima parte, la (breve) preparazione

La JFK 50 mile era tra i miei obiettivi principali dell’anno, ancora di più dopo la delusione dello scorso anno, quando sbagliai strada dopo pochi km, perdendo svariati minuti e fermandomi al primo ristoro, travolto da uno sconforto generale.

Conoscendo la difficoltà e la particolarità della gara avevo in mente di dedicare due mesi pieni di allenamento mirato, essendo un percorso più da centochilometristi che da trailrunner. Infatti, dopo i primi 25 km con un po’ di dislivello e su sentieri non facili dell’Appalachian Trail, ci sono 42 km esatti totalmente piatti lungo la stradina che costeggia il Potomac River, e infine altri 13 circa di leggeri saliscendi su asfalto. Io che non ho mai corso un’ultramaratona su strada o pianeggiante (se non una 50 km nel luglio dello scorso anno, la prima gara post lockdown), avrei avuto bisogno di tempo per prepararla. Peccato che dopo l’UTMB un settembre non poco complicato prima, con forze scarse, sia fisiche che mentali, e l’essere stato costretto a rimanere in Italia fino a inizio novembre poi, abbiano sconvolto l’idea che avevo sul modo di prepararmi. Ho potuto approfittarne per correre la Vibram UTLO 100, finita in condizioni decenti nonostante la pessima forma, ma di certo non l’ideale prima della JFK.

Infatti, dopo la gara di Omegna, mi sono dovuto prendere un'altra settimana di recupero generale, per poi avere un solo mese di tempo per prepararmi alla gara in Maryland. La prima delle 4 settimane era dedicata ad una ripresa graduale della corsa in pianura, senza esagerare. Alla fine, del mese di tempo avuto, solo nella seconda settimana sono riuscito a fare un buon volume totale, sui 150 km, compreso un lungo di 48 km tra i laghi di Varese e Comabbio, corso bene dopo le ripetute in salita del giorno precedente. La gara più simile alla JFK che ho corso in vita mia si può dire che sia stato l’Ecotrail di Parigi del 2019: anche in quel caso feci il giro dei laghi come allenamento due settimane esatte prima, e posso dire di averlo finito in condizioni migliori questa volta.

Poi però dovevo tornare negli Stati Uniti, e tra la preparazione e il nervosismo pre partenza e il viaggio, per 3 giorni ho fatto praticamente niente, e anche nei successivi giorni fisicamente ero a terra, tra jet-leg e stanchezza generale. Solo negli ultimi 3 giorni prima della gara mi sono sentito di nuovo in condizioni quantomeno decenti.

E poi la gara…

(fine prima parte)

giovedì 28 ottobre 2021

E se recuperare facendo un po' di dislivello fosse meglio che in pianura?

Dopo un allenamento particolarmente intenso, come delle ripetute a soglia o dell’interval training, è bene far seguire un giorno con una seduta blanda di recupero, per dare modo al fisico appunto di recuperare, ma in modo attivo. D’altronde si sa che il movimento a bassa intensità velocizza i tempi di recupero, favorendo la supercompensazione, e quindi il miglioramento. C’è chi non si allena praticamente mai per due giorni consecutivi, e in tal caso sarà sufficiente lasciar passere uno o due giorni di riposo prima del successivo allenamento (che se intenso, deve dare stimoli fisici diversi, chiaro).

È quindi norma abbastanza consolidata il far eseguire nel giorno post ripetute una corsa lenta, indicativamente tra i 30 e i 60’, a seconda del livello dell’atleta e del periodo. Eppure, non mi capita raramente di fare, e far svolgere – spesso con risultati migliori – un allenamento sì lento, ma collinare, se possibile su percorso propriamente trail, anche con brevi salite ripide dove camminare molto tranquillamente.

Perché questo? Se sono state fatte delle variazioni veloci su asfalto, o pista, o comunque su terreno pianeggiante, effettuare il giorno successivo un’altra seduta ancora in piano rischia di non far recuperare al meglio muscoli e articolazioni, specialmente se si parla di trailrunners non particolarmente abituati a correre – e veloce – su percorsi pianeggianti a causa della ripetitività del gesto atletico. Ecco perché inserire dei piccoli dislivelli, dove il passo cambia ampiezza e frequenza, dove il piede appoggia in modi diversi, può essere molto utile. Il leggero impegno muscolare supplementare di salite e discese può inoltre contribuire ad aumentare maggiormente l’afflusso di sangue alle gambe e di conseguenza velocizzare ulteriormente il recupero. Anche il non dover badare al ritmo, che altrimenti sarebbe probabilmente troppo intenso (un errore classico) può dare un aiuto psicologico nella sensazione di recuperare meglio. La camminata in salita, spesso trascurata nelle uscite, può essere davvero utile in questo tipo di allenamenti, anche se affrontata solo per brevi tratti, e anzi, può persino diventare allenante anche a ritmi molto blandi, cercando la maggior scioltezza possibile durante il gesto e migliorando la sua economicità.

Mi capita anche di fare (o far fare) allenamenti intensi di camminata in salita dopo sedute intense in piano, ma raramente e solo in particolari periodi, soprattutto poche settimane prima di una gara, per lavorare sulla forza specifica in condizioni di pre stanchezza.

Insomma, non credo possa essere niente di rivoluzionario, forse ho scoperto l’acqua caldo, o nemmeno quella, ma la trovo una soluzione molto utile per migliorare i nostri allenamenti e godersi meglio i sentieri.

lunedì 25 ottobre 2021

C'è riposo e "riposo"

Arrivati a fine ottobre, dopo mesi con gare finalmente tornate pressoché alla situazione pre pandemia (con alcuni accorgimenti), per alcuni è tempo di pensare alla prossima stagione, per altri di riposare, stanchi da allenamenti e gare. Ma meglio un riposo assoluto o un riposo attivo? O entrambi? Come più o meno per ogni cosa, la mia risposta è “dipende”. E da cosa dipende? Da un sacco di fattori, ovvio.

Intanto, io ad esempio faccio una settimana di riposo quasi totale due o tre volte durante l’anno, talvolta di più, dopo gli appuntamenti principali, giorni nei quali faccio al massimo qualche blanda pedalata, giusto per non stare del tutto fermo, visto che ingrasso subito (non scherzo) potendomi concentrare così su altre cose. A fine stagione, però, soprattutto se mi sento davvero stanco, faccio più settimane di riposo, inizialmente totale per qualche giorno, poi con qualcosa di alternativo, anche per un mese o più. In questo periodo non faccio allenamenti specifici, ma cerco di inserire ugualmente cose particolari e stimolanti, facendo però attenzione. Ad esempio a fine 2020 avevo inserito qualche sprint e pliometria, che non sono però stati utili, anzi, mi hanno fatto venire un dolore al bacino che mi ha infastidito per un mese almeno, forse proprio perché non avevo una buona base. Era un esperimento, non andato a buon fine, utile quindi per capire di non fare certe cose.

E alle persone che alleno, o in generale chi mi chiede, cosa consiglio? Dipende, appunto. Chi arriva stanco a fine anno fa benissimo a prendersi un periodo di stacco, l’importante è che questo non sia uno stop completo lungo mesi, altrimenti poi diventa difficile riprendere. Uno stacco totale da ogni attività fisica può durare due settimane, al limite anche un mese, ma oltre significa dover faticare enormemente di più per tornare in buona forma, col rischio di avere scarsa motivazione e quindi avere ancora maggiori difficoltà, in un circolo vizioso. L’ideale sarebbe che dopo un breve periodo di riposo totale si riprenda con settimane di allenamenti blandi, o anche semplici camminate, magari con attività alternative se si ha l’occasione. Il classico periodo di transizione, insomma.

C’è però anche chi ha sempre bisogno di fare attività fisica, anche poco, ma ogni giorno, o quasi. Farlo non significa di certo soffrire di “vigoressia”, può semplicemente voler dire avere la necessità di avere quotidianamente una piccola valvola di sfogo dallo stress. Anche solo mezzora di corsa, una camminata, una blanda pedalata indoor, yoga, semplici esercizi in casa, va tutto benissimo, l’importante è comunque prendersi delle settimane senza allenamenti intensi o impegnativi.
Questo però vale per chi corre costantemente durante tutto l’anno e arriva in autunno stanco, perché c’è anche chi corre abitualmente senza strafare, magari solo due volte durante la settimana più una nel weekend, e allora in quel caso, se non si è stanchi e non si hanno particolari ambizioni, non serve nemmeno prendersi un periodo di pausa. Basta solo fare il minimo per tenersi attivi, che più o meno già corrisponde a quello che si fa per buona parte dell’anno.

Insomma, alla fine tutto torna sempre lì, ognuno è diverso, ha esigenze e abitudini diverse, basta solo riuscire a trovare la cosa giusta per sé.

venerdì 22 ottobre 2021

Piccolo elogio a Ludovic Pommeret

Foto ©Géraldine Blandin

Non mi espongo quasi mai su un singolo atleta, ma lasciatemi un attimo parlare di Ludovic Pommeret. E lasciatemi essere schietto: a differenza di molti italiani, non provo particolare antipatia per i francesi, anzi, credo che sotto tantissimi aspetti siano stati decisamente avanti rispetto a noi vicini di casa (parlando di eventi endurance, sono loro ad aver inventato Tour de France, Paris-Dakar, UTMB, Marathons de Sables e un sacco di altri eventi simili), infatti mi chiedo se l’antipatia che proviamo non sia una forma di invidia… ma non voglio parlare di questo, sto già divagando.

Bé, ho potuto conoscere Ludovic, anche se senza parlarci per più di due frasi, data la riservatezza di entrambi, dopo la Diagonale des Fous del 2014, quando arrivai 7°, mentre lui arrivò 2°, più qualche veloce saluto in poche altre occasioni. Sicuramente è meno personaggio di altri, probabilmente è meno “dominatore” rispetto a plurivittoriosi da gare importanti (penso a D’Haene, ma ancora di più a Thevenard, non troppo diverso da Pommeret come carattere, probabilmente, davvero poco espansivo, ma molto più conosciuto e considerato dopo i suoi tanti successi), ma credo ugualmente sia il più sottovalutato in senso assoluto nel mondo trail, almeno in Italia, sebbene sia tra i più costanti e longevi.

Eppure ha vinto un UTMB, nel 2015, in una delle edizioni più folli, con continui cambi di classifica, ma forse la mancanza di uno dei classici dominatori ha fatto un po’ passare in secondo piano questo risultato. Quest’anno è arrivato 4° a Chamonix, il più anziano (46 anni) ad arrivare nei primi 5 dal 2009. È arrivato 3 volte secondo alla Diagonale des Fous, la prima volta nel 2009 (a testimonianza della longevità, non solo anagrafica). Ha vinto una gran quantità di classiche francesi con livelli tra i più alti al mondo, e dove non ha vinto, si è piazzato, con una costanza con pochi eguali (a partire da TDS e CCC, fino alle forse da noi meno considerate Maxi Race, SaintéLyon, Templiers, Ventoux, ma per nulla meno competitive).

Forse uno dei motivi per cui è poco “famoso” di quanto meriterebbe nel mondo e in Italia è proprio il fatto di non aver corso tantissime gare all’estero, soprattutto quelle che noi conosciamo di più. Un 2° posto alla Transvulcania nel 2017, ma nessuna partecipazione a classiche molto apprezzate da noi, come Trangrancanaria, Madeira, Lavaredo, Eiger, o altre ancora che ora non elenco, e nessuna gara americana.

Ma sapete la cosa che più apprezzo di lui e della sua carriera? Mi piace il suo passare da gare lunghissime come UTMB e Diagonale des Fous, ad altre più brevi, o meglio, forse il contrario, visto che gare oltre i 100 km ne ha fatte poche in confronto a distanze minori. Un esempio della sua costanza sono i piazzamenti nei mondiali trail, non importa su quale distanza. 7° nel 2019 su un percorso velocissimo di 44 km, dove molte nazionali si sono presentate con atleti provenienti dalla corsa in montagna, 6° sui 50 km del Trail Sacred Forest sugli Appennini due anni prima, ma anche i piazzamenti (5°, 5° e 6°) sulle più lunghe distanze oltre gli 80 km dei mondiali 2015, ‘16 e ‘18. Una costanza rara. Il tutto con pochissimi ritiri: a memoria - e con quello che ho visto cercando online - solo uno ad UTMB e Diagonale, ritiri ben compensati da altri grandi risultati nelle stesse gare, direi.

In inverno non disprezza gare brevi sulla neve (più volte, negli anni passati, l’ho visto vincente nelle gare poco oltre il confine alle quali partecipavo durante i mesi freddi), oltre allo scialpinismo, dove se la cava mica male, pur non essendo nel giro della nazionale, tanto da arrivare 5 volte nei primi 20 alla Pierra Menta, una delle più importanti gare sulla neve, una sorta di Tour de France della specialità.

Adoro gli atleti polivalenti che sanno destreggiarsi su distanze diverse, percorsi diversi, e anche sport diversi. Come tanti atleti più seguiti e famosi vengono giustamente esaltati per queste loro qualità (soprattutto se si tratta di americani), trovo che anche lui debba ricevere il giusto merito (anche se francese).

Concludo, per aggiungere che sono felicissimo anche per Daniel Jung, non vorrei sembrasse il contrario, ragazzo super in gamba, con gamba super, primo italiano a vincere la Diagonale des Fous. Ero sicuro prima o poi avrebbe vinto una grande gara, e sono convinto sia solo la prima.

mercoledì 20 ottobre 2021

Come ho finito bene la UTLO avendo una scarsa forma - Seconda parte

- seconda parte -

Ed eccomi a Omegna per la partenza. I giorni precedenti cerco di evitare di mangiare troppo. Questo è stato spesso un problema per me in gara, e forse un problema non solo mio. Problemi gastrointestinali sono la prima causa di ritiro negli ultratrail. Possono venire a causa del ritmo, degli sbalzi termici, delle difficoltà di mangiare bene lontano da casa, delle difficoltà di ingurgitare un gran numero di calorie sotto sforzo, ma anche (spesso) a causa di un eccesso di alimentazione prima della gara. In effetti, perché in gare più brevi a ritmi più intensi è più difficile avere questi problemi, mentre nelle ultra certi problemi vengono con tempistiche persino più veloci rispetto alla distanza di gare brevi? Mi è capitato spesso di aver esagerato coi pasti prima di un ultratrail, nonostante sappia benissimo - e sia io stesso sempre il primo a dirlo - che non serve mangiare troppo, le scorte si riempiono abbastanza facilmente. Ma vai a capire come funziona la testa con il cibo… Che all’UTMB abbia semplicemente mangiato troppo prima della partenza? Può essere, può essere, chissà…

Insomma, essendo la partenza per i 100 km della UTLO il sabato mattino alla 5, quando si dovrebbe cenare il venerdì sera? Il più presto possibile. Eppure, tra l’arrivo a Omegna, il ritiro pettorale, la presentazione del mio libro “Ultranormale”, l’incontro con tutto il Team Vibram, andiamo a cena non particolarmente presto, con ristorante strapieno e dove ci viene detto che la cosa più veloce da preparare è la pizza. Ok, sono affamato, leggero, una pizza non farà nulla, e poi tanto non ho intenzione di osare in gara. E così, nonostante la pizza sia finita nel mio stomaco ben oltre le 21, vado a dormire senza alcuna difficoltà digestiva, e anche il mattino non mi sento per nulla appesantito. Ottimo segno. Infatti anche in gara non ho mai avuto alcun problema a stomaco o intestino, solo una normale breve sosta fisiologica. Sì, ma ciò non significa che ora mangerò sempre una pizza solo 8 ore prima della partenza...
In genere non ho mai bisogno di fare enormi allenamenti lunghi, però di sicuro qualcosa mi manca. Non avendo fatto grandi distanze negli ultimi 2 mesi, ho comunque potuto sfruttare un minimo della rendita dei mesi estivi, dove di km e dislivello ne avevo fatti. Mettiamo però i chili in più, la mancanza di allenamenti o gare a ritmi mediamente intensi (sì, ne ho fatte di gare ultimamente, ma facendo forte solo le poche decine di minuti iniziali, prima delle varie vicissitudini, ma la tenuta che un trail di oltre 10 ore richiede per fare risultato è molto maggiore rispetto quello da agosto in poi), scarsità di dislivelli, non potevo osare rischiando di saltare in aria per l’ennesima volta.
E così parto lasciando andare chi ne ha più di me. Non sono al meglio e salendo al Mottarone i polpacci sono subito duri. Nel lungo successivo tratto corribile in discesa e in pianura tutti vanno davvero forte, ma io voglio e devo conservare energie. Recupero un po’ prima di metà gara, pensando magari di poter rimontare ancora nella seconda parte, però è dura, non ho proprio ritmi e tenuta. La muscolatura non mi dà problemi alle gambe in discesa come invece temevo, anche se non posso spingere. In salita quando provo a osare, sento abbastanza velocemente le energie diminuire. Se normalmente su questa distanza posso andare al 70-75% della mia massima velocità aerobica, e in forma top magari anche di più, questa volta devo andare al 60-65% (bè, numeri a grandi linee), oppure salto. Riesco ad alimentarmi però sempre in modo ottimale, come avevo previsto. Purtroppo ho sbagliato leggermente i calcoli, così arrivo a Boleto, 80 km circa, dopo una bella (o brutta) crisi di fame, non avendo più nulla con me.
Nel finale provo a recuperare ancora un po’, anche se ormai niente può schiodarmi dal 10° posto. Ma va bene così, per tutta la gara mi sono dovuto gestire senza poter forzare, eppure senza nemmeno passeggiare. Nell’ultimo km sul lungolago sento di stare davvero bene, così, pensando anche alla JFK, provo a vedere fin dove posso spingere, e i 4’10” al km dopo 12 ore di gara mi confermano che non sto poi così da schifo.
Se prendo questo finale come l’inizio di una forma che ritorna e non come il termine di una forma che ormai è andata, per quelle 50 miglia americane che mi aspettano c’è un buon margine di crescita…

martedì 19 ottobre 2021

Come ho finito bene la UTLO avendo una scarsa forma - Prima parte

Portare a termine i 100 km con 5000 e passa metri positivi della UTLO è stata una mezza impresa, considerando le ultime settimane di pessima forma e scarsa motivazione. Come ci sono riuscito? Un passo indietro per parlare delle difficoltà a partire dall’UTMB.

Chamonix, UTMB. Dolore tra flessori della coscia e ginocchio posteriore dopo pochi minuti dalla partenza. Problemi gastrointestinali sempre maggiori dopo pochi km, ma con avvisaglie già appena prima di partire. Corso comunque decentemente per 6 ore, camminato per altrettante ore fino a Courmayeur per ritirarmi. Tornato a casa ancora problemi di stomaco per un paio di giorni.
Settimana di riposo assoluto, massaggi, stretching, flessori meglio, anche se presente strana infiammazione al semitendinoso ancora per qualche giorno (a causa di posizioni da semi seduto, sospetto: causa anche del problema all’UTMB? Chissà…).
Ripresa con qualche allenamento intenso per ridare “giri al motore”, ma senza esagerare. 11 settembre, Via delle Giulie Trail, 37 km, ritirato dopo 20 km a causa di una caduta dopo una decina di km in discesa. Bene in partenza, mancanza di tenuta al ritmo sulla prima salita, poi la caduta con scivolata per una ventina di metri. Abrasioni e contusioni. Diverse notti con difficoltà a dormire e senza poter allenarmi. Ripresa con poche e blande uscite per qualche giorno, un paio di giri trail senza forzare.
18 settembre, Ultra Trail Lago Maggiore, 40 km. Partenza con forma pessima, decido di prendere il mio ritmo senza forzare. Errore di percorso nella prima discesa con più di 10’ persi, rientrato nel mezzo del gruppo, finisco la gara senza spingere.
Avrei poi dovuto correre l’Adamello Ultra Trail, 90 km, ma la forma era sempre pessima. Inoltre avevo ancora dolore a mano, polso e gomito post caduta, usare i bastoni per più di 10 ore sarebbe stato davvero difficile. Opto per fare il ben più corto e intenso Vertikal Sass de Fer a Laveno Mombello. Vado meno peggio di quanto pensassi, ma mi manca qualcosa.
A quel punto sarei dovuto tornare negli Stati Uniti e concentrare gli allenamenti sulla JFK 50 miles, ma per problemi burocratici ho dovuto spostare il volo. Torno ugualmente ad allenarmi un po’ di più in piano, ma ancora col contagocce. Partecipo all’Orsa Pravello Trail il 3 ottobre, 30 km con 2000 m+, ma la forma non c’è, letteralmente esplodo nemmeno finita la prima salita, provo a riprendermi in discesa, ma gambe e testa non ci sono. La finisco per onor di firma con parecchia fatica fisica, sperando di potermi riprendere nei giorni successivi.
Mi alleno ancora senza esagerare e un weekend senza gare mi fa rigenerare mentalmente. Tutto questo mese con diversi giorni di riposo, chilometraggi bassi, mancanza di motivazioni, serate di birre con gli amici mi fanno guadagnare 3-4 kg rispetto al peso pre UTMB. Approfitto comunque dell’occasione di essere rimasto in Italia per partecipare alla UTLO. Nonostante la scarsa forma punto alla 100 km. So che il risultato è difficile, ma almeno posso recuperare un ticket per la lotteria per la Western States (che altrimenti avrei dovuto saltare). Per la JFK ci penseremo dopo.

(fine prima parte)

venerdì 1 ottobre 2021

Il rimpianto della Transvulcania

Guardando le immagini del vulcano di La Palma è impossibile rimanere indifferenti, soprattutto per chi come me ci ha corso uno dei trail più suggestivi e belli degli ultimi anni, la Transvulcania. È proprio l’attività vulcanica ad aver creato il fascino e la bellezza dell’isola, e quindi anche della gara. Detto questo, ammetto che dopo averci corso in due edizioni, sogno da anni di poterci tornare, meglio allenato, meglio preparato, più consapevole. Chissà se succederà prima o poi. Dubito, ma lo spero.

Il desiderio di tornarci è spinto dal non aver fatto il mio meglio nelle due partecipazioni. Nel 2013 arrivavo da un inverno complicato a causa di una frattura da stress alla tibia, tanti (troppi) allenamenti in bici, forma scarsa, qualche fastidio durante le discese più difficili, gambe non ancora ben riadattate ai dislivelli sui sentieri. Nel 2014 ero sicuramente più pronto, ma feci un erroraccio. Torniamoci.

Durante l’inverno tra fine 2013 e inizio 2014 mi ero concentrato solo su gare brevi e intense, volevo migliorare il più possibile la mia velocità di base (per natura non altissima), tenermi tutta la voglia di lunghe distanze dalla primavera in poi, visto un calendario parecchio impegnativo con tanti eventi internazionali di alto livello. Quindi tra novembre e marzo feci decine e decine di gare, tra campestri, ciaspolate, corse sulla neve, serali su strada, un paio di mezze maratone, concludendo con un personale sulla maratona. Da lì ripresi sui sentieri. Un paio di gare (Maremontana non ancora bene allenato e una vittoria alla Maratona Alpina di Val della Torre), allenamenti più specifici, ma senza esagerare coi volumi. Vista l’esperienza dell’anno precedente a La Palma, dove patii tantissimo i 2400 metri di discesa continua da Roque de los Muchachos fino all’oceano nel finale della corsa, e con gran caldo, mi allenai appunto soprattutto per la discesa. Per la velocità e la forza muscolare ero già discretamente pronto. Almeno fino alla settimana pre gara mi sentivo pronto. Poi però…

Per godermi l’isola e per migliorare il mio adattamento al clima decisi di fare lì tutta l’intera settimana prima della gara. Pensai fosse una buona idea provare alcuni pezzi di percorso. Non volevo esagerare, ma mi feci prendere la mano. Il lunedì e il martedì feci due allenamenti di circa 3 ore ciascuno. Ero andato tranquillo, ma 3 ore si sentivano. Dal mercoledì al venerdì limitarmi ad una blanda mezzoretta sciogli gambe non fu ovviamente sufficiente. Alla partenza del sabato sentivo ancora le gambe pesanti e poco reattive. La partenza a tutta nella prima salita fu decisamente dura. In classifica ero parecchio indietro, ma la forma non era andata via, dovevo solo tenere duro e aspettare che le gambe si sbloccassero un po’. Così iniziai via via a rimontare. Anche senza mai riuscire a trovare brillantezza nella corsa, continuavo a recuperare. In cima al termine della lunga cresta (per chi non lo sapesse, la gara misurava 73 km con 4400 m+: la parte in cresta coi maggiori dislivelli terminava dopo circa 50 km, prima della lunghissima discesa, al termine del quale partiva l’ultima salita di 6 km circa verso l’arrivo) ero intorno al 40° posto. L’unica cosa vantaggiosa di quei lunghi allenamenti dei giorni precedenti fu che le mie fibre muscolari si erano ben adattate alle discese, così in quei 2400 metri di picchiata verso l’oceano riuscii a recuperare ancora, grazie anche agli allenamenti specifici fatti nei mesi precedenti. Nel finale ero stanco, ma guadagnai una posizione decente, 31° assoluto, 29° uomo (mi arrivarono davanti due donne) in 8h28’ in una delle edizioni più competitive, arrivando davanti ad un certo David Laney, con un tempo migliore di quello che avrebbero fatto l’anno successivo due giovani volti spagnoli, Manuel Merillas e Pau Capell (anche se il paragone dei tempi in anni diversa lascia sempre il tempo che trova). Senza quei due allenamenti così lunghi avrei molto probabilmente avuto una gamba più fresca e probabilmente mi sarei giocato una posizione migliore, magari vicino alle 8 ore.

Erano anni in cui ero fissato col dislivello, ma questo mi faceva perdere contatto da altri fattori altrettanto utili, se non di più, come ad esempio proprio la freschezza pre gara. Errore dopo errore sono riuscito a migliorare sempre di più l’allenamento, anche se la perfezione non esiste ed errori se ne commettono sempre. Soprattutto col senno di poi.

mercoledì 29 settembre 2021

Viva chi si ritira!

Non sono io il primo a dirlo, già in tanti dicono o hanno detto che la nostra società è avvolta dalla paura del fallimento, anche se non sono convinto che sia sempre sempre così. Vengono spesso riportati anche esempi di insuccessi che hanno poi portato al successo. Anzi, fa parte proprio della storia del progresso dell’essere umano. Certo è vero che nel trail, e nello sport in generale, ha molta più rilevanza la vittoria, il traguardo raggiunto, che il ritiro o la prestazione opaca. Ed è anche normale che sia così, è naturale celebrare la vittoria e non la sconfitta, non c’è niente di scandaloso.

Sarà forse perché io mi sono ritirato molte volte, soprattutto nelle gare più dure e competitive, che però ho molta simpatia per chi si ritira. Diciamolo, delle volte si esagera con la retorica del finire a tutti i costi, del non mollare mai, dell’essere più forti dei dolori e della fatica e dei malesseri. Ma ci sono sempre casi e casi. Per qualcuno bravissimo a finire una gara con enormi difficoltà e magari problemi fisici, c’è qualcun altro che ha preferito mollare, ritirarsi, rispettare il proprio corpo e forse anche la propria testa. Non sto dicendo che bisogni ritirarsi quando non ce la si fa più o non si ha più voglia. Sono un allenatore, devo anche saper motivare, che diamine! E motivo sempre le persone che seguo, ci mancherebbe altro. Ma trovo che ci voglia ugualmente un certo equilibrio. Delle gare si possono finire sforzandosi oltre la propria comfort zone, resistendo ai dolori, combattendo col desiderio di fermarsi, farsi una doccia, mangiare e dormire, ma ci si può anche ritirare senza che diventi vergogna.

Nell’ultimo mese, tra UTMB e altre gare, ho visto diversi atleti molto forti ritirarsi, e ammetto che quando capita li rispetto quasi più che quando vincono. Non che sia contento, non sono così cinico, non auguro il male a nessuno, so la fatica che hanno fatto per arrivare fin lì e so benissimo il dispiacere che porta un ritiro. Anzi, è proprio perché so quanto costa un ritiro che spesso mi sento molto più vicino a loro.

Come ammiro l’atleta che sa andare oltre i propri limiti, ammiro anche l’atleta che li accetta e sa fermarsi quando non è più necessario proseguire. Rimangono gare, eventi, che sono importanti e fanno parte della nostra vita, certo, ma non sono tutta la nostra vita.

lunedì 27 settembre 2021

Le doti contano, e si vedono

Avendo allenato decine e decine di persone negli ultimi anni per diverse distanze, con varietà di età, sesso, background sportivo, possibilità di allenamenti, impegni famigliari e lavorativi, posso notare alcune cose. Una di queste è che ci sono persone più portate in modo naturale per certe distanze e certi sforzi, e chi invece è più portato per altre distanza, oppure semplicemente fatica di più ad allenarsi, sia per brevi che per grandi distanze.

Ad esempio c’è chi riesce a fare grandi volumi di allenamento senza particolari problemi, completando gare molto lunghe in (più o meno) totale serenità. Sicuramente questi atleti hanno doti fisiche e muscolari per cui possono sopportare meglio certi carichi, magari anche grazie ad un certo passato sportivo, ma non per forza, perché c’è anche chi ha iniziato da poco e riesce a destreggiarsi subito bene con volumi importanti. Dall’altro lato c’è chi pur allenandosi non poco, e magari con un buon motore di base, fatica a digerire distanze ultra. Capita non raramente che chi è più veloce e riesce ad allenarsi con buona costanza, su una distanza lunga va più piano di chi ha meno “cavalli” e meno possibilità di allenamento, ma è più portato per grandi chilometraggi.

C’è chi brama di correre gare molto lunghe, e magari riesce anche a finirle in buone condizioni, ma fatica non poco nella preparazione e poi nel recupero. Per questo tipo di atleti ogni distanza lunga, in allenamento o in gara, porta dietro strascichi e difficoltà nel riprendere una certa freschezza.
C’è chi si diverte molto a fare allenamenti intensi, e chi no. Chi vorrebbe fare solo allenamenti lenti e lunghi, e chi li eliminerebbe del tutto, oppure semplicemente non ha mai tempo per farli, anche se bisogna prepararsi per un ultratrail impegnativo (e allora sì che diventa difficile trovare dei modi per rimediare, ma si può sempre trovare qualche alternativa per salvare il salvabile).
Insomma, ormai lo sappiamo che l’allenamento dev’essere personalizzato, non scopro niente di nuovo. È importante comunque capire, non solo da parte mia (o di un allenatore in generale), ma anche da parte dell’atleta stesso, quale siano le distanze dove si rende meglio ed eventualmente ridimensionare gli obiettivi. Però c’è un però.
Se si è portati per trail diciamo di 30-35 km (non entro nel dettaglio dei dislivelli e della durata, semplifico al massimo), un trail di 50 km può essere un buon obiettivo raggiungibile, seppur forse con un po’ di fatica. Un trail di 100 km sarebbe molto più difficile, per non parlare di una 100 miglia (sempre semplificando). Ciò non toglie che si possa preparare e correre una di queste distanze. Magari è anche solo una questione di tempo, con esperienza e adattamenti fisici distanze molto lunghe possono sicuramente rientrare più facilmente nelle proprie corde. Oppure si può semplicemente terminare una distanza così lunga, togliersi la soddisfazione di averlo fatto, e poi tornare sulle distanze più adatte. Non c’è scritto da nessuna parte che più lungo uguale più figo.

Come detto, c’è chi riesce ad affrontare ultradistanze pur senza riuscire ad allenarsi con grande costanza e senza subire conseguenze come infortuni o altri problemi. E lì entrano in gioco le doti fisiche e le caratteristiche mentali, che sono altrettanto importanti. Perché alla fine ci può essere l’impegno, l’allenamento, la “testa”, ma c’è chi ha naturali doti di resistenza, e chi no.

L’unica cosa che può fermare la buona volontà è il talento, che a dispetto di quello che spesso si dice, conta, eccome. Perché come diceva non ricordo quale grande fisiologo, se vuoi essere un grande atleta, devi sceglierti bene i genitori. Poi certo che l’allenamento fa il resto. Per forza.

mercoledì 22 settembre 2021

Non ho le caratteristiche per le ultra xl

Allora, dopo il ritiro all’UTMB ho avuto un po’ di pensieri a proposito delle mie caratteristiche per gli ultratrail. Sono cose che avevo già notato gli anni scorsi, ma ora ho deciso di provare a scrivere per bene come mi sono andati alcuni tipi di gare nel tempo, cercando di cavarne considerazioni utili per puntare ad obiettivi più nelle mie corde in futuro, soprattutto considerando che dall’anno prossimo si dovrebbe (speriamo) poter scegliere tra più eventi rispetto a 2020 e 2021.
(Chi volesse può saltare oltre l’elenco delle gare e arrivare direttamente al risultato finale)

Ecco come sono andate le gare ultra XL nella mia “carriera”.

ULTRA OVER 100 KM da 14 ore di gara – proiezioni finale – in poi, partenza di giorno o di sera, con lunghissimi tratti di notte.

UTMB 2011: ritirato dopo 110 km per contrattura quadricipite. Partenza ore 23. Pioggia in partenza, molto freddo di notte, bel tempo di giorno. Problema agli occhi tra fine notte e mattino. Partito allenato male o nulla nell’ultimo mese.
UTMB 2013: ritirato dopo 110 km per problemi alla vista e perdita di energie. Bel tempo, ma freddo secco di notte. Partito ben allenato.
UTMB 2015: ritirato dopo 50 km. Sovrallenato. Stanco da subito, dolori diffusi (iniziale fascite plantare portata dietro per tutto l’inverno). Ritirato sfinito nonostante la poca strada. Meteo buono.
UTMB 2016: 36° (27h10’). Ottima forma all’inizio, difficoltà a mangiare, crollato alla distanza. Sofferto il caldo. Partito con ottima forma.
UTMB 2018: 7°, 23h02’. Pioggia intermittente, freddo umido. Gara perfetta, la mia migliore.
UTMB 2021: ritirato dopo 77 km per contrattura flessori coscia, problemi gastrointestinali, vertigini. Forma pregara perfetta. Freddo secco notturno che ha amplificato i problemi.

DIAGONALE DES FOUS 2014: 7° (29h00’). Pioggia intermittente per buona parte della gara, soprattutto la prima notte con freddo umido. Partito ben allenato. Finito con gran stanchezza nel finale (in piena seconda notte).
DIAGONALE DES FOUS 2015: ritirato dopo 120 km. Patito molto caldo di giorno. Ancora postumi da sovrallenamento, fascite plantare e dolori diffusi. Partito poco preparato.
DIAGONALE DES FOUS 2016: ritirato dopo 77 km per dolore ginocchio (borsite post caduta in bici), impossibile piegare la gamba. Forma fisica buona fin lì. Pioggia nella prima parte.
DIAGONALE DES FOUS 2017: 23° (28h29’). Buona forma fisica, gestita per tutta la gara contrattura al polpaccio di un mese prima ripresentata dopo 50 km. Patito tantissimo il caldo di giorno che mi ha rallentato troppo. Benissimo inizio e fine. Post gara in ottime condizioni.

LUT 2012: ritirato dopo 78 km per dolori diffusi (principio di fascite plantare) e stanchezza generale. Stanco dalle gare precedenti e dai troppi allenamenti. Meteo buono.
LUT 2015: 18° (14h08’). Buona gamba, patito crollo fisico dopo 80 km, recuperato molto bene nel finale.
LUT 2016: 17° (14h21’). Nessun problema di gambe o forma, qualche problema intestinale, finito in ottima freschezza, solo un po' lento.
LUT 2018: ritirato dopo 56 km per infortunio piede sinistro. Anche problema agli occhi a causa del freddo secco.
LUT 2019: ritirato dopo 45 km per vomito, problemi gastrointestinali e perdita di energia. Partito in non buone condizioni. Preso antibiotico nella settimana di gara dopo operazione dentistica.

TRANSGRANCANARIA 2015: ritirato dopo 65 km circa. Dolori diffusi e stanchezza generale. Partito non ben preparato.
TRANSGRANCANARIA 2017: 19° (15h12’). Ottima forma, gran rimonta finale, una delle mie migliori gare sulla distanza. Forse la gara più partecipata e competitiva a cui ho partecipato su questo chilometraggio.

MADEIRA ULTRA TRAIL 2017: ritirato dopo 80 km. Caduta con botta al ginocchio (dove presente ancora leggera borsite dall’autunno precedente), estrema spossatezza generale. Partito in pessime condizioni, febbre e tosse nella settimana della gara.

SCENIC TRAIL 2017: ritirato dopo 60 km circa. Bene all’inizio, poi stanchezza e vertigini con difficoltà ad alimentarmi. Meteo buono. Partito poco preparato.

TOE DES GEANTS 2019: ritirato dopo 85 km circa per problema lombare/coscia dx simil sciatica, più difficoltà ad alimentarmi con mal di stomaco e nausea, problemi agli occhi a causa del freddo secco di notte.

UTLO 2019: 3°, 16h40’. Ottime sensazioni per tutta la gara. Pioggia quasi tutto il tempo, con freddo umido di notte.

---------

ULTRA OVER 100 KM da 14 ore di gara – proiezioni finale – in poi, partenza di mattino, solo brevissimi tratti al buio nel finale.

ABBOTS WAY 2012: 1° (14h14’). Nessun grave problema fisico. Distorsione alla caviglia 2 settimane prima, ma gestita durante la gara. Clima buono, qualche pioggia leggera nelle primissime ore. Buio nell’ultimo tratto.

VIE DI SAN FRANCESCO 2013: 1° (14h20’). Nessun prolema. Forti scrosci di pioggia nella prima parte di gara. Il resto del meteo ottimo. Buio nell’ultimo tratto. Corso e vinto il Morenic Trail (110 km) la settimana precedente, quindi partito un po’ stanco.

VERMONT 100 MILES 2017: 9° (17h53’). Gambe distrutte negli ultimi 60 km con enormi patimenti per finire la gara, nonostante non altri problemi fisici o energetici. Arrivato allenato non nel modo giusto sotto il punto di vista muscolare (prima gara di questo genere, tutta corribile). Ultima ora al buio. Meteo buono.

TDS 2017: ritirato dopo 70 km per episodi di aritmie. Partito ottimamente allenato. Buone condizioni fisiche iniziali. Molto caldo.

---------

STATISTICHE VARIE

Gare over 100 km oltre 14 ore con partenza di giorno/sera.

Partito 21 volte. Finisher 8. Finite bene senza particolari problemi, 4. In 3 di queste ha piovuto per lunghissimi tratti, anche con freddo, ma umido. Nei 13 ritiri, 8 volte ero partito male allenato, con problemi fisici o infortuni. Dei restanti 5 ritiri, 3 volte c’era freddo con vento secco.

Gare over 100 km oltre 14 ore con partenza il mattino ed eventuali pochissime ore di buio nelle ultime ore.

Partito 4 volte. Finite 3. Un ritiro a causa di aritmie cardiache (e caldo). 3 volte finito nonostante fossi partito non fresco, oppure non perfettamente preparato.

ALTRE ULTRA

Gare tra 6h/7h e 12h con partenza tarda sera/notte e terminate il mattino presto. Partito: 4. Completate: 4.

Gare tra 6h e 12h con gara di giorno, eventuale breve tratto iniziale o finale al buio. Partenze 43. Ritiri: 3 (infortunio + strada sbagliata UROC, problemi alla vista Bettelmatt, errore di percorso + “depressione” JFK). Terminate in pessime condizioni rallentando molto nel finale a causa di crisi o problemi di diversa natura: 8 (se non ricordo male), la maggior parte delle quali nelle mie prime gare o dopo infortuni. Ritirato per stanchezza, malesseri o dolori: 0 (esclusa la UROC, infortunato). (Potrei forse aver dimenticato qualcosa, queste sono quelle che sono riuscito a ricordare e ricostruire.


Tra 6 ore di gara o 12 cambia tantissimo (12 ore sono sicuramente più simili a 14), ma dato che c’è proprio una netta divisione nei miei risultati tra questi tempi di gara, li ho presi come riferimento per la divisione in categorie. Non parlo di altre gare tra le 3h30’ e le 5h30’, un po’ perché sono davvero tante, un po’ perché in quel caso si parlerebbe quasi solo di prestazione e poco di infortuni, acciacchi, problemi fisici, ritiri, e alcune sono state prese come allenamento.

CONCLUSIONI
Mi posso trovare bene in gare lunghe, ma con partenza il mattino. Ne sono consapevole da tempo, forse per questo motivo il mio maggior obiettivo futuro rimane la Western States, anche se fa molto caldo e non è esattamente adattissima alle mie caratteristiche. Di sicuro se piove mi trovo molto bene. Non amo particolarmente correre con la pioggia, ma in queste condizioni mi sono spesso trovato a dare il mio meglio, anche in ultra tra 6 e 10 ore. Di sicuro con la pioggia, anche se con freddo, non patisco problemi agli occhi o problemi gastrointestinali. Soffro la notte? Probabilmente non la notte in sè, visto che in gare con partenza in notturna (tra le 23 e la 1) non ho mai avuto problemi, anzi, forse ho fatto alcune delle mie gare migliori. Molto probabilmente soffro molto i decisi cambiamenti di clima (ma anche qua non è detto, non sempre è così). Nelle gare in notturna più brevi non ci sono mai stati clamorosi sbalzi termici (intendo di 15° o oltre, come può avvenire a UTMB, Diagonale, LUT, Tor). In gare XL ho raggiunto “solo” 2 risultatoni (mica male, poi, come risultati, UTMB ’18 e Diagonale ‘14) con pioggia e umido, il che significa appena un 10%, più altre 2 ottime gare (Transgrancanaria, UTLO), altre 2 finite almeno decentemente (le 2 LUT terminate), e 2 concluse dopo patimenti di ore (UTMB ’16 e Diagonale ’17) in condizioni di gran caldo.

Probabilmente le gare dove riesco a dare il mio meglio sono quelle tra le 8 e le 10 ore, o poco più. Forse dovrei correre più ultra con partenza di mattino, come molte 100 miglia americane, appunto. In questi casi riesco anche a gestire meglio eventuali crisi o problemi. In ogni caso nelle ultra over 12-14 ore credo che anche le statistiche generali dimostrino un maggior numero di ritiri (per persone più lente di me quindi si parla anche di gare più brevi, 80-100 km). Di sicuro è molto più semplice avere problemi gastrointestinali dopo molte ore e cambi di clima e di “luce”.

Delle volte ho avuto anche un po’ di sfortuna forse, viste le occasioni in cui sono partito già infortunato, acciaccato o del tutto sovrallenato (o male allenato, come il primo UTMB). Ma ho avuto anche dei di brutti flop nonostante una bella forma, quasi sempre quando c’era intenso freddo secco. Diciamo anche che sulle lunghissime distanze ho spesso corso in eventi super competitivi, il che significa osare, sia in allenamento che in gara, con in mezzo impegni di sponsor, public relations e simili, senza che questa sia una scusa, ma probabilmente un po’ incide. Anche il fatto che siano generalmente lontane da casa, con abitudini e alimentazione diversa dal solito, mentre gare più brevi, seppur di 10-14 ore, portano lontano da casa per meno giorni.

Considerazioni buone per decidere i prossimi obiettivi a partire dall’anno nuovo, e sfruttare le possibilità che negli ultimi 2 anni non ci sono state.

venerdì 3 settembre 2021

HRV e forma pre UTMB

Ancora UTMB, poi spero basta.

Mi sentivo in forma, l'ho già detto. Qualcuno mi ha detto o scritto che forse ho chiesto troppo al mio corpo. Potrebbe essere, anche se per arrivare pronti per una gara così bisogna darci dentro, poche storie, ma in realtà sono arrivato molto più fresco rispetto ad altre volte. Forse troppo? Eh, chissà... Nel 2018 ero davvero "giusto", avendo dovuto recuperare la forma in pochissime settimane. Ora no, ero riposato, e non lo sentivo solo io a livello soggettivo, ma me lo diceva anche un parametro oggettivo, ovvero l'HRV. Che diavolo è l'HRV? Heart Rate Variability, cioè la variabilità della frequenza cardiaca. Cosa sia e come può essere utile ve lo faccio cercare su Google, altrimenti scrivo un altro post eterno (e già non sarà breve). Si può misurare con un'app attraverso lo smartphone. Ho iniziato ad usare questo strumento 4 anni fa, più o meno, ma a periodi alterni. Ad esempio prima del Tor non lo avevo usato, essendo troppo sfasato. Lo scorso anno nemmeno, visto che la stagione era saltata e che con la vita nuova insieme a Ulysses facevo fatica ad avere lo spazio il mattino appena sveglio. Quest'anno invece ho ripreso a monitorare la mia frequenza cardiaca ad ogni risveglio, il che mi ha aiutato a capire la mia forma costantemente. Andando a vedere i dati posso notare come HRV e frequenza andassero di pari passo con il carico di allenamento, scarico pregara, gare, riposi. Il che significa che ho fatto tutto davvero al meglio.

Ora, come si può vedere nelle foto 1 e 2, nei 10 giorni prima della partenza HRV e frequenza erano perfette. HRV giusta (non deve essere né troppo bassa, né troppo alta), frequenza bassissima. Quindi ben riposato. Si può vedere anche come durante le 2 settimane a Sestriere i valori fossero diversi (HRV ballerina, frequenza leggermente più alta), proprio perché stavo caricando molto. Soprattutto dopo le gare a Courmayeur (durante le quali non ho preso le misure, così come non l'ho fatto a Chamonix nei 2 giorni prima della partenza, per evitare possibili condizionamenti psicologici - cosa che faccio sempre prima di una gara) si può vedere come i valori fossero ancora più sballati, ma dopo 3 o 4 giorni ero quasi tornato alla norma (infatti in quei giorni avevo fatto allenamenti più blandi, soprattutto con meno volume).

(foto 1)
(foto 2)
























Nelle foto 3, 4 e 5 invece ci sono dei grafici che mostrano anche il livello di forma generale nel rapporto tra carico e riposo (calcolato anche in base ai dati soggettivi di stanchezza o freschezza che inserisco manualmente). Ecco, come si può vedere soprattutto nella foto 5, il rischio di infortunio non è presente solo quando si fa troppo (ad esempio dopo le 3 gare di Courmayeur di un mese fa), ma anche quando si fa poco, come per me gli ultimi giorni prima dell'UTMB. Non so se davvero abbia perso davvero così tanto in pochissimi giorni e se possa essere la causa della contrattura alla coscia (o meglio, una della cause). Però provo a capire, e sono sicuro che imparerò ancora qualcosa da questa esperienza.

(foto 3)
(foto 4)


































(foto 5)











Insomma, arrivare al giorno x nel pieno della forma è davvero un bel rebus, per quanto ci si possa allenare bene e si possa stare attenti a tutto. Quelli che non sbagliano mai appuntamento sono davvero in pochi. Quando poi si è anche talmente forti da poter giocare comunque su un certo margine, è sicuramente più semplice rispetto a chi deve limare su ogni cosa per poter essere competitivo.

mercoledì 1 settembre 2021

Due parole in generale sull'UTMB

Due parole sull'UTMB. Pensieri sparsi sulle prestazioni dei top, sulla mia, e forse anche altro.

- D'Haene è l'unica certezza in questo tipo di gare, e per questo si inizia un po' ad odiare. Chi si ritira, come a me, pensa come sia possibile che a lui non venga mai un mal di pancia, un infortunio, una qualsiasi altra cosa, il tutto con una semplicità disarmante. Sia chiaro, nessuno gli augura niente, anzi, credo sia una delle persone più belle di questo mondo. Certo che quando durante la premiazione ha fatto un salto dal podio con successiva corsetta per recuperare il premio, ha dato un'altra decisa mazzata all'orgoglio di tutti, compresi gli altri fenomeni vicino a lui, arrivati là sopra zoppicanti e stravolti. Lo scorso anno ha corso forse l'unica gara dove ha sofferto per ore tra crampi e altri problemi, raggiungendo però ugualmente l'arrivo. È stato giustamente acclamato per questo, ma diciamo anche che se ti succede una volta si può riuscire a tenere duro, il problema è quando la maggior parte delle gare a cui si partecipa diventa un viaggio di sopportazione di dolori e malesseri, lì è un po' più difficile. Chapeau.

- Ancora una volta i ritirati tra i top sono stati tantissimi, a occhio direi più della media, come al solito (ma ci vorrà qualche statistica che sicuramente arriverà). Ogni volta si pensa ai motivi, posso provare a dirne alcuni che secondo me sono i principali. Si parte come i matti. Io mi sono ritirato pur partendo tranquillo, ma di sicuro davanti vanno davvero fortissimo. Ho visto un video dell'ingresso sul sentiero che porta a Les Houches dopo l'uscita dal centro di Chamonix, e davanti andavano a velocità folli. La cosa curiosa è che in testa per tutto quel pezzo c'era proprio D'Haene. Lui parte sempre forte nei primissimi chilometri, lo ricordo anche alla Diagonale des Fous, probabilmente per stare fuori dai guai ed evitare cadute, ma secondo me anche perché sa che tutti lo seguiranno andando oltre i propri limiti, così che alcuni (molti) di loro esploderanno. Poi si mette lì a controllare, fa sfogare qualcuno che prova la fuga, fino a che ad un certo punto passa in testa e non molla più. Essere sempre al limite - anche nella preparazione - aumenta sensibilimente il rischio di subire infortuni o altri problemi. Alcuni si ritirano troppo "facilmente"? Bè, ognuno ha le proprie motivazioni (sia intese come cause del ritiro, che come obiettivi da raggiungere). Una persona comune magari ha meno cartucce da sparare, ha più difficoltà a iscriversi, non ha davanti una carriera sportiva a cui pensare, non ha successive gare dove potrebbe presto rifarsi, così riesce a proseguire nonostante malesseri e fatica. Nel mio piccolo, dopo essermi ritirato ho sempre trovato il modo di raggiungere subito altri buoni risultati, e posso dire di essere tra i pochi a non aver mai subito un'operazione o lunghi infortuni debilitanti. Ho già un sacco di problemi fisici che mi porto dietro sin da quando giocavo a calcio da ragazzino, mi sembra già un miracolo questo. Ah, un altro motivo che secondo me contribuisce al ritiro di tanti top runners, e forse non solo, è la prima discesa. L'ho sempre detto che lì quasi tutti vanno troppo forte, e ho l'impressione che quest'anno sia successa la stessa cosa. A me non ha sorpreso il risultato della Dauwalter, considerando com'è andata nella prima parte di gara, ma ne parlo dopo. Altro fattore è il pre gara, una centrifuga difficile da gestire, tra impegni con sponsor, media, tifosi, abitudini alimentari e routine completamente ribaltate. C'è chi passa tutto questo senza alcun problema, e chi è più sensibile e ne subisce le conseguenze.

- Ancora una volta i maschietti americani sono esplosi tutti. Io ho di sicuro poco da parlare, visto che pure io qua mi sono ritirato per l'ennesima volta, ma... non lo so, ogni volta pensiamo che abbiano imparato dagli errori degli anni passati, e ogni volta esplodono. Ogni volta vengono dati tra i favoriti ("quest'anno hanno capito, si sono allenati bene"), e ogni volta niente. Oh, prima o poi un americano vincerà l'UTMB (se un italiano ha vinto i 100 metri alle olimpiadi, succederà!). Aggiungo una piccola battuta, parafrasando una battuta che qualcuno aveva fatto a Kilian dopo il suo stop nel tentativi di record delle 24 ore. Bravo lo stesso, Jim. Oh, è una battuta, davvero, lo ripeto, stimo Walmsley sotto ogni punto di vista, è simpatico, fortissimo, con una storia difficile e bella, e mi piace come faccia gare diversissime tra loro. La mia è diciamo una frecciatina agli "americanofili", non di certo a lui. Se c'è una persona che spero che prima o poi vinca a Chamonix, è proprio Jim.

- A proposito dei risultati. Primi 5 posti tra gli uomini ai francesi. Ok, sono di casa, sono di più, ma ecco, forse qualcosa vuol dire. Ecco perché io prendo sempre da esempio i loro metodi di allenamento e non quelli americani, almeno per i trail europei, perché poi certo che per gare americane molto veloci diventa meglio forse il contrario, sebbene poi quando qualche europeo va a correre le più dure gare americane, quasi sempre vince (ad esempio alla Hardrock...).

- Courtney Dauwalter, le altre donne, gli altri uomini "outsider". Durante la prima parte di gara vedevo la Dauwalter sempre poco davanti a me. Infatti fino a Les Contamines, 31 km, aveva esattamente gli stessi tempi che io avevo in programma, in linea con quello che avevo fatto 3 anni fa. Io ero leggermente dietro perché a causa della gamba e della pancia che già dava problemi dovevo rallentare in pianura, ma davvero poca roba. Nella discesa tra il Delevert e St Gervais lei ha perso diverse posizioni, con un passo tranquillo (più o meno come il mio, appunto), e ha salvato decisamente le gambe. Mate Maiora, ad esempio, nella prima discesa andava giù come un ossesso, come un trail di 50 km, non una 100 miglia, e poi si è ritirata (ma non conosco il motivo). Anche Rory Bosio, quando vinse la prima volta entrando nella top ten assoluta, era più o meno con me fino a Les Contamines, prima di iniziare a rimontare tutti. Ora, non dico chi punta alla vittoria e al podio maschile, che sicuramente difficilmente può permettersi di perdere contatto dalla testa (anche se i podi di David Laney e Tim Tollefsson arrivarono proprio dopo partenze super caute, a proposito ancora di americani), ma almeno chi punta al piazzamento in alcuni casi potrebbe giocare un po' meglio di tattica conservativa in questi casi. Però io mi sono ritirato lo stesso, quindi non posso parlare molto. In ogni caso, la Dauwalter ha poi proseguito con un ritmo pazzesco fino alla fine, io non avrei mai potuto seguirla, credo. Probabilmente di base lei è molto più veloce di me, oltre ad essere terribilmente tosta, e la sua carriera lo dimostra.

- Per concludere, agganciandomi ancora alla Dauwalter, si può notare come spesso il risultato all'UTMB arrivi dopo un periodo travagliato, e non quando tutto va bene da tempo. In piccolo è capitato anche a me, confrontando il 2018 e quest'anno. La Dauwalter, dopo aver fatto un paio di anni eccezionali, ha avuto un periodo più difficile, con alcuni problemi fisici (il ritiro alla Hardrock a luglio, la bronchite acuta l'anno scorso durante il tentativo di un record in Colorado), mentre intorno al Bianco ha fatto una prestazione pazzesca. Anche la Kotka ha avuto un periodo travagliato ed è dovuta praticamente ripartire da capo con l'allenamento, per poi arrivare terza. Al contrario, Jim Walmsley sembrava non sbagliare più una gara, pronto a raccogliere quello che potrebbe e si meriterebbe, invece si è fermato ancora. Pensando anche alle altre gare, il mio compagno del Team Vibram Scott Hawker ha raggiunto un grandissimo 2° posto nella super competitiva CCC, dopo un periodo molto difficile e con un'operazione subita a inizio anno alla caviglia, che fino a due mesi fa lo limitava molto. Ma questi sono solo alcuni esempi. Si potrebbero aggiungere tanti altri (Gamito, Mityaev, la Debats, gli americani, solo per citare i più noti) super preparati che poi hanno avuto problemi, e molti altri invece tra i nomi meno noti tra vincitori e piazzati (anche di CCC e TDS) che ultimamente non avevano raggiunto grandissimi traguardi.

- Ah no, l'ultimo punto è questo, sulla TDS. Ricordo il mattino del giorno della tragedia svegliarmi alle 8 del mattino e leggere gente che aveva già sentenziato, già condannato gli organizzatori per quello che era successo, senza che si sapesse letteralmente nulla. Era bastato un video di un partecipante, ed ecco subito i commenti, i soliti, quelli di pancia, senza sapere niente di niente. Poi ho sentito i racconti di chi era in gara, chi ha potuto proseguire e che è stato fatto fermare e fatto tornare indietro. C'è stato un momento di indecisione e incertezza? Forse, ma chi avrebbe preso la decisione giusta senza alcuna esitazione, di notte, magari con informazioni imprecise e incomplete? Anzi, forse la decisione giusta nemmeno esiste, perché che fosse far proseguire tutti, far fermare e attendere tutti in cima (poi recuperati tutti con gli elicotteri??), far tornare indietro chi era rimasto bloccato, di sicuro si sarebbe scontentato qualcuno. Sono state messe corde fisse sul momento per far tornare indietro le persone che dovevano scendere da un sentiero che in salita era "normale", ma che affrontato in discesa per tornare indietro verso Bourg St Maurice sarebbe stato troppo pericoloso. È arrivato l'SMS di annullamento della gara e con relative istruzioni a tutti i concorrenti coinvolti nello stesso istante, nella propria lingua. Sono stati predisposti dei passaggi di rilevamento dei chip, per assicurarsi che tutti venissero messi in sicurezza tornando indietro. A Bourg St Maurice tutti erano al riparo al chiuso. I bus hanno portato oltre 1000 persone verso Chamonix, un viaggetto nemmeno tanto breve. E tanto altro. L'unico modo per essere in sicurezza maggiore sarebbe semplicemente non fare la gara. Ah, a proposito del telo termico che qualcuno dice che non serve: bè, bisogna saperlo usare, perché poche cose scaldano - o raffreddano, in caso di caldo - come questo cosetto argentato/dorato e super leggero, lanciare coperte dall'elicottero sarebbe stato un poco difficile, credo.

- Un altro punto, dimenticavo. Sì, ho criticato l'UTMB per le scelte sul futuro della gara. Quelle critiche rimangono valide, ci sono tante cose non chiare sulle gare qualificanti, le iscrizioni, l'etica, eccetera. L'anno prossimo penso che non potrei nemmeno partecipare, non dovrebbero essere più sufficienti i punti ITRA - che poi io non li ho nemmeno così alti -, ma... quando ero lì, sia durante tutti quei giorni, che poi in gara, mi chiedevo davvero se ci fosse qualcosa di meglio. Certo che ci sono sentieri più belli, gare bellissime, organizzazioni più semplici con il loro bel perché. Ma questo è davvero il mondiale trail. Difficile staccarsene. Difficile per me pensare di non tornarci. Vedremo.