giovedì 31 marzo 2022

Come sono andati alla "Behind the Rocks" li atleti che ho allenato per My Road To Ultra

Nello scorso weekend alla “Behind the Rocks” a Moab, Utah, non ho corso solo io, ma hanno corso anche gli atleti americani allenati da me per il progetto “My Road To Ultra”, creato insieme a Vibram. Ed è stato un successo.

Cos’era questo progetto? Era un’idea che bazzicava da tempo, ma che a causa della pandemia era stata ovviamente messa in pausa. Una volta avviata da parte di Vibram la ricerca di atleti americani da seguire e sponsorizzare, si è potuto realizzare in parallelo questo progetto, cercando dei giovani per portarli a correre il loro primo ultratrail, allenati da me e supportati da Vibram grazie a Laurel, la Sport Marketing Manager americana.

Non è stato facile promuovere l’application, io negli Stati Uniti sono praticamente uno sconosciuto, ma le adesioni sono state comunque buone, pur senza arrivare a numeri esagerati e senza attrare i più giovani sui quali si puntava (i più talentuosi o sono già sponsorizzati, o sono al college, o finito il college non hanno tempo e voglia di correre ultra una volta entrati nel mondo del lavoro). La scelta è stata ugualmente non facile, erano tanti i profili interessanti, le storie e le persone che avrebbero meritato di essere selezionati e seguiti, anche perché era importante trovare un certo equilibrio tra uomini e donne e tra i diversi stati americani.

Alla fine i nomi sono usciti tra persone tra i 26 e 35 anni, 3 donne e 3 uomini, distribuiti tra 6 stati abbastanza diversi tra di loro, California, Washington, Wyoming, Idaho, West Virginia, Virginia. Sarebbe stato bello qualcuno del sud, ma in effetti da quelle parti ci sono pochi trail runners. Non vi dico quanti erano gli applicants dal Colorado, per esempio…

L’allenamento è durato 4 mesi, ed è stato complicatino. L’inverno è stato molto rigido, e proprio il fatto che molti di loro vivessero in luoghi particolarmente freddi in questa stagione è stata una difficoltà in più. Solo il ragazzo dalla California, Karan, non ha avuto problemi di tremende ghiacciate o nevicate. Dato il periodo, quasi tutti loro hanno avuto malanni stagionali, con diverse settimane perse, più qualche acciacco. Purtroppo una di loro, Myranda, ha avuto un problema che le ha impedito di terminare l’allenamento e partecipare alla gara. Anche un’altra ragazza, Fairlee, non è riuscita a partecipare alla gara a causa di problemi lavorativi. Peccato perché essendo un’ex biker ero curioso di vedere come se la sarebbe cavata.

Il piano di allenamento partiva per tutti da una base più o meno simile, i chilometraggi abituali per loro fino a quel momento erano simili, le esperienze nel trail running pure, la possibilità di fare cross training anche. Con l’andare delle settimane l’allenamento si è differenziato sempre di più tra di loro, sia per via dei malanni stagionali, che ovviamente per le diverse risposte agli stimoli allenanti e ai diversi feedback. Per i 3 ragazzi l’ultimo mese è andato ottimamente, senza allenamenti saltati e senza problemi fisici. Per la ragazza rimasta, Hannah, tutto bene fino ad un paio di settimane dalla gara, quando un virus l’ha costretta a fermarsi per diversi giorni.

Una cosa interessante di questi 6 ragazzi che ho seguito è che hanno rappresentato un vero microcosmo di quello che accade con tutte le altre persone che alleno o ho allenato. C’è chi ti scrive quasi ogni giorno e dà feedback continui, chi fa domande apparentemente sciocche, ma per chiarimenti su cose che non sono per nulla scontate, c’è chi non dà mai alcun feedback, ma svolge ogni seduta spaccata al secondo, senza sgarrare di una virgola, c’è chi tende sempre a fare di più, ad andare più veloce, e che è sempre necessario riuscire a fermare e rallentare, e c’è chi non compila mai nulla e non dà feedback, facendomi andare avanti col programma un po’ alla cieca, che non è per niente l’ideale per un buon allenamento. Ma non sono di certo colpe, ognuno è diverso, ognuno ha il tempo che ha, ognuno ha una motivazione differente. Per me è sempre stimolante rapportarmi in modo diverso con ognuno in base alla persona che mi trovo davanti.

A Moab è stato molto bello incontrarci di persona, dare gli ultimi suggerimenti sul pre gara e sulla gara, vedere il loro entusiasmo per la realizzazione finale del percorso che abbiamo seguito insieme.

La gara è andata bene per tutti, 3 finisher sulla 50 km (a metà classifica Karen e Hannah, la quale non ha avuto problemi nonostante lo stop delle ultime settimane, e Corey, il più dotato del gruppo, al 9° posto assoluto) e uno sulla 50 miglia, Mike. Tutti contenti e soddisfatti, senza grosse difficoltà, senza dolori eccessivi al termine della gara e il giorno successivo. Solo Karan ha avuto un dolore al ginocchio a causa di una botta dopo essere scivolato mentre aiutava un altro partecipante caduto, ma senza enormi patimenti. Mike ha un po’ faticato nella seconda parte di un percorso che era comunque davvero tosto, con gran caldo, ristori molto distanti tra loro, ma per essere la prima ultra questa 50 miglia non era per niente facile, le sue condizioni all’arrivo erano ottime, ho visto persone arrivare molto più disintegrate per molto meno.

Nessuno di loro ha mostrato la minima delusione, anzi. Ma neppure tra i finisher che vedevo mentre ero ancora in zona arrivo ho mai visto o sentito qualcuno lamentarsi della propria prestazione o della difficoltà del percorso. Quante volte ci creiamo troppe aspettative, senza goderci semplicemente il momento e quello che riusciamo a fare… Me compreso.

mercoledì 30 marzo 2022

La mia Behind the Rocks 50 miles

Correre nel deserto è sempre qualcosa di particolare, quasi ancestrale. Ma non ho troppa voglia di dilungarmi in concetti intellettualoidi, taglio questa parte, parlo solo della mia gara, di cosa è andato e cosa no.

L’obiettivo principale era essere a Moab, Utah, per seguire gli atleti americani che ho allenato per 4 mesi per il progetto My Road To Ultra, creato e sviluppato insieme a Vibram, ma vista l’occasione avevo pensato di partecipare alla 50 miglia della Behind the Rocks. Degli atleti, di come si sono allenati e di come hanno corso ne scriverò in un altro articolo.

Dunque, per me era l’occasione per vedere se il nuovo approccio nel mio allenamento stava funzionando, oltre che correre in posti incredibili, ovvio. Non sarei arrivato alla partenza al top della forma, gli appuntamenti clou per me saranno più avanti, stavo però sicuramente meglio rispetto ai mesi precedenti, ero sempre più fiducioso, convinto che fosse tutto a posto, ma proprio nel momento del tapering (o scarico pre gara, per chi non ama gli inglesismi) mi è venuta una delle mie solite contratture ai flessori della coscia. Anche stavolta in modo quasi incomprensibile. Di sicuro ho il bacino che mi dà parecchi problemi da sempre, per cui a rotazione mi vengono contratture ai flessori della coscia, infiammazioni ai flessori dell’anca, pubalgia, oppure sciatalgia o lombalgia. E più invecchio, più facilmente mi vengono, sto notando, chissà perché. Sono di base tutto storto, ed è sempre difficile trovare il giusto equilibrio per non avere nulla, o al massimo qualcosa però facilmente gestibile. Ma tra questo qualcosa, di sicuro contratture/infiammazioni/o-quel-diavolo-che-sono ai flessori della coscia sono le cose più fastidiose e limitanti.

Insomma, alla partenza di sabato non ero per niente a posto, avevo ancora fastidio, anche se andava sicuramente meglio rispetto a lunedì, quando avevo dovuto interrompere la corsa dal dolore. Fisioterapia, esercizi e riposo dalla corsa avevano fatto migliorare, ma non sufficientemente. Partire o non partire era un bel dilemma. Non volevo però lasciarmi sfuggire l’occasione di vedere quei posti incredibili che avevo sognato per tutto l’inverno.

I primi chilometri piuttosto corribili non erano il massimo per il dolore, anzi. Il problema maggiore era l’impossibilità di portare avanti la gamba destra, quella infortunata. La lunghezza del mio passo era praticamente dimezzata, era più un galoppo che una corsa. Il gruppetto dei migliori andava ad un ritmo che avrei potuto tenere tranquillamente in condizioni normali, erano appena davanti a me, ma non potevo spingere. E quella corsa stramba, caricando tutto con la gamba sinistra e spingendo con il polpaccio destro, era pure molto dispendiosa. Quando dopo una decina di chilometri è iniziata una parte più tecnica, in cui il passo sul sentiero era continuamente modificato, ho recuperato molte posizioni, pur dovendo sempre andare molto più lento di quanto avrei potuto e voluto, andando in discesa caricando con la gamba sinistra, o saltando con entrambe le gambe, senza poter essere agile come su certi tratti potrei essere. Dopo 55 km ero addirittura a un paio di minuti dal podio, nonostante la mia lentezza.

Qua è iniziato il tratto più caldo della gara, vicino ai 30° C, sullo stesso sentiero in senso inverso rispetto alla partenza, che dopo il freddo inverno in Maryland non era il massimo, anche se essendo un caldo secco non mi ha infastidito più di tanto. Se sul tecnico continuavo a difendermi, su tratti più semplici, in salita, faticavo molto. Anche su pendenze facili non riuscivo più a correre, sia a causa del dolore, rimasto più o meno immutato (anzi, dopo circa 2 ore, a causa di una quasi caduta, avevo patito per decine di minuti, mentre dopo, forse grazie al caldo, ad alcune salite dove poter camminare, e magari alle endorfine, non ci facevo più molto caso), sia per via dei crampi, dovuti al caldo e alla mia corsa zoppicante. A livello energetico stavo bene, mai avuto un calo di forze o momenti di crisi. In ogni caso non aveva più senso per me spingere per sfinirmi, tanto un piazzamento importante era ormai irraggiungibile.

L’obiettivo era solo finire senza peggiorare la situazione. Tanto che ad un paio di km dalla fine mi ha passato un ragazzo che correva con grande freschezza, ed un altro a mezzo km dal traguardo mentre camminavo zoppicante sull’ultima facile salitella, concludendo al 7° posto in 8h43’, con un ritardo di “solo” un’ora dal primo, che per come ho corso, mi dà un discreto rimpianto. Ma tant’è, di rimpianti potremmo riempirci gli oceani, quindi mi prendo il buono di quest’esperienza.

Di solito sto lontano da certa retorica, tipo la “pain cave” o cose simili, ma ammetto che stavolta ci sono stato per ben immerso in quella cavolo di caverna del dolore. Di sicuro ora il mio bacino è ancora più storto di prima, ma spero di non aver peggiorato le cose con la mia coscia e di poter riprendere dopo una settimana di riposo.

E comunque, che gara, che posti, che esperienza. Tutto ben aldilà della mia prestazione. Ma le cose più belle di solito le tengo per me.