Nello scorso weekend alla “Behind the Rocks” a Moab, Utah, non ho corso solo io, ma hanno corso anche gli atleti americani allenati da me per il progetto “My Road To Ultra”, creato insieme a Vibram. Ed è stato un successo.
Cos’era questo progetto? Era un’idea che bazzicava da tempo, ma che a causa della pandemia era stata ovviamente messa in pausa. Una volta avviata da parte di Vibram la ricerca di atleti americani da seguire e sponsorizzare, si è potuto realizzare in parallelo questo progetto, cercando dei giovani per portarli a correre il loro primo ultratrail, allenati da me e supportati da Vibram grazie a Laurel, la Sport Marketing Manager americana.
Non è stato facile promuovere l’application, io negli Stati Uniti sono praticamente uno sconosciuto, ma le adesioni sono state comunque buone, pur senza arrivare a numeri esagerati e senza attrare i più giovani sui quali si puntava (i più talentuosi o sono già sponsorizzati, o sono al college, o finito il college non hanno tempo e voglia di correre ultra una volta entrati nel mondo del lavoro). La scelta è stata ugualmente non facile, erano tanti i profili interessanti, le storie e le persone che avrebbero meritato di essere selezionati e seguiti, anche perché era importante trovare un certo equilibrio tra uomini e donne e tra i diversi stati americani.
Alla fine i nomi sono usciti tra persone tra i 26 e 35 anni, 3 donne e 3 uomini, distribuiti tra 6 stati abbastanza diversi tra di loro, California, Washington, Wyoming, Idaho, West Virginia, Virginia. Sarebbe stato bello qualcuno del sud, ma in effetti da quelle parti ci sono pochi trail runners. Non vi dico quanti erano gli applicants dal Colorado, per esempio…
L’allenamento è durato 4 mesi, ed è stato complicatino. L’inverno è stato molto rigido, e proprio il fatto che molti di loro vivessero in luoghi particolarmente freddi in questa stagione è stata una difficoltà in più. Solo il ragazzo dalla California, Karan, non ha avuto problemi di tremende ghiacciate o nevicate. Dato il periodo, quasi tutti loro hanno avuto malanni stagionali, con diverse settimane perse, più qualche acciacco. Purtroppo una di loro, Myranda, ha avuto un problema che le ha impedito di terminare l’allenamento e partecipare alla gara. Anche un’altra ragazza, Fairlee, non è riuscita a partecipare alla gara a causa di problemi lavorativi. Peccato perché essendo un’ex biker ero curioso di vedere come se la sarebbe cavata.
Il piano di allenamento partiva per tutti da una base più o meno simile, i chilometraggi abituali per loro fino a quel momento erano simili, le esperienze nel trail running pure, la possibilità di fare cross training anche. Con l’andare delle settimane l’allenamento si è differenziato sempre di più tra di loro, sia per via dei malanni stagionali, che ovviamente per le diverse risposte agli stimoli allenanti e ai diversi feedback. Per i 3 ragazzi l’ultimo mese è andato ottimamente, senza allenamenti saltati e senza problemi fisici. Per la ragazza rimasta, Hannah, tutto bene fino ad un paio di settimane dalla gara, quando un virus l’ha costretta a fermarsi per diversi giorni.
Una cosa interessante di questi 6 ragazzi che ho seguito è che hanno rappresentato un vero microcosmo di quello che accade con tutte le altre persone che alleno o ho allenato. C’è chi ti scrive quasi ogni giorno e dà feedback continui, chi fa domande apparentemente sciocche, ma per chiarimenti su cose che non sono per nulla scontate, c’è chi non dà mai alcun feedback, ma svolge ogni seduta spaccata al secondo, senza sgarrare di una virgola, c’è chi tende sempre a fare di più, ad andare più veloce, e che è sempre necessario riuscire a fermare e rallentare, e c’è chi non compila mai nulla e non dà feedback, facendomi andare avanti col programma un po’ alla cieca, che non è per niente l’ideale per un buon allenamento. Ma non sono di certo colpe, ognuno è diverso, ognuno ha il tempo che ha, ognuno ha una motivazione differente. Per me è sempre stimolante rapportarmi in modo diverso con ognuno in base alla persona che mi trovo davanti.
A Moab è stato molto bello incontrarci di persona, dare gli ultimi suggerimenti sul pre gara e sulla gara, vedere il loro entusiasmo per la realizzazione finale del percorso che abbiamo seguito insieme.
La gara è andata bene per tutti, 3 finisher sulla 50 km (a metà classifica Karen e Hannah, la quale non ha avuto problemi nonostante lo stop delle ultime settimane, e Corey, il più dotato del gruppo, al 9° posto assoluto) e uno sulla 50 miglia, Mike. Tutti contenti e soddisfatti, senza grosse difficoltà, senza dolori eccessivi al termine della gara e il giorno successivo. Solo Karan ha avuto un dolore al ginocchio a causa di una botta dopo essere scivolato mentre aiutava un altro partecipante caduto, ma senza enormi patimenti. Mike ha un po’ faticato nella seconda parte di un percorso che era comunque davvero tosto, con gran caldo, ristori molto distanti tra loro, ma per essere la prima ultra questa 50 miglia non era per niente facile, le sue condizioni all’arrivo erano ottime, ho visto persone arrivare molto più disintegrate per molto meno.
Nessuno di loro ha mostrato la minima delusione, anzi. Ma neppure tra i finisher che vedevo mentre ero ancora in zona arrivo ho mai visto o sentito qualcuno lamentarsi della propria prestazione o della difficoltà del percorso. Quante volte ci creiamo troppe aspettative, senza goderci semplicemente il momento e quello che riusciamo a fare… Me compreso.