mercoledì 26 ottobre 2022

La mia UTLO 2022 - seconda parte (la gara)

La gara

Ho sempre sofferto le partenze con lunghe salite, quindi avevo deciso di fare un riscaldamento di una decina di minuti, niente di esagerato, ma per una partenza alle 5 del mattino, dopo mesi senza pettorale, facendo subito 1100 metri di dislivello positivo verso il Mottarone, sentivo di averne bisogno.
Avendo fatto quella salita per due volte nelle settimane precedenti, e coi riferimenti delle gare del 2021 e del 2019, avevo ben presente il ritmo da tenere. Infatti in cima ero proprio soddisfatto. Tempo più basso rispetto allo scorso anno di 3’ circa, ma arrivando molto più fresco, in terza posizione, a poco meno di 2’ da Sprenger e Salvetti che erano da subito andati in testa. Jonas Russi, il favorito (8° all’UTMB e vincitore del Tor de Geants nell’arco di meno di 3 settimane) circa 2’ dietro.
La leggera e facile discesa verso Armeno non è però tra i miei terreni preferiti (nonostante un paio di brevi risalite), e sono stato così passato da Tucci, Marchi e Russi, il quale ha iniziato così la sua rimonta. Avevo solo un minuto o due di ritardo da loro, ma quasi 6 da Salvetti, che aveva allungato in testa. Nel tratto fino a Orta ho perso ancora un paio di minuti a causa di una sosta in bagno. Da lì ho provato a spingere un po’ per non perdere ancora e lentamente ho iniziato ad avvicinarmi. Dopo Carcegna, ristoro del 37° km, c’era il tratto a me più congeniale su salite corribili, dove ho raggiunto e superato Tucci e Marchi. Anche la discesa più tecnica verso Omegna (dove finiva la prima parte di gara) era da me preferita rispetto alle altre più semplici, così ero tornato a 5’-6’ da Sprenger e Russi e rimasto a 10’ circa da Salvetti.

(Foto Canofotosports)

A questo punto speravo di poter recuperare ancora. Mi sentivo proprio bene, senza problemi muscolari, né energetici. Così ho deciso di salire verso il Mazzuccone provando a tirare un po’. Verso metà ho dovuto però rallentare, per non rischiare di esplodere. Arrivato in cresta sentivo leggeri crampi e gambe che non riuscivano a rilanciare come volevo quando il terreno spianava. Sono quindi stato costretto ad andare per diversi chilometri “in difesa”, senza poter spingere come volevo.
Il distacco dai primi (nel frattempo Salvetti era stato raggiunto e passato dai due svizzeri) lentamente ha iniziato ad aumentare. Dopo l’Alpe Sacchi, nel lungo tratto verso Boleto, c’erano ancora discese facili e corribili, dove io perdo in modo naturale molto più di quanto potrei su una salita molto pendente. Non ero in pessime condizioni finché non sono caduto, picchiando il braccio sinistro a terra, ma soprattutto infilandomi un riccio di castagne nella mano, con centinaia di spine conficcate (e che sto togliendo ancora…).
Arrivato a Boleto (81 km) ero stanchino e malconcio. Però a livello energetico stavo bene. Avendo corso per ore a quei ritmi, dopo non esserci riuscito da diversi mesi, era normale per me calare un po’. A quel punto avevo iniziato ad avere anche un gran mal di piedi, sempre per la mancanza di gare così lunghe per molto tempo. La pubalgia era leggera e sopportabile, niente di troppo limitante. In questi ultimi 20 km però ho continuato a perdere dai primi, per la difficoltà a correre in modo efficace in piano, a scendere brillantemente e ad essere leggero in salita, camminando su tratti dove avrei pensato di riuscire a correre facilmente.

(Foto Canofotosports)

All’arrivo ho chiuso in 11h54’, circa mezzora in meno dello scorso anno, dove ero andato più in controllo nella prima parte e spingendo maggiormente nella seconda parte, con una forma credo peggiore di quest’anno, ma col distacco dal vincitore Russi salito a 48’, e a 39’ da Salvetti, terzo.
Quest’anno c’era qualche piccola variazione che faceva aumentare leggermente il dislivello (soprattutto intorno agli ultimi due ristori), ma vabbè, cosa da pochissimi minuti. Nell’ultimo terzo di gara, pur rallentando, non sono andato malissimo (sono gli altri che non hanno mai calato), ma potevo sicuramente andare meglio, guardando i dati su Strava e confrontando quelli della gara con quelli del 2021 e della prova percorso su questo tratto.

Dopo la gara

Non mi sono mai commosso al traguardo di una gara. Solo all’UTMB del 2018, ma era comunque una commozione di gioia, leggera, senza vere lacrime. In questo arrivo di Omegna invece la voce era davvero rotta e gli occhi lucidi. Più che vera gioia era… non so cos’era, uno sfogo forse. Avevo troppe cose in testa. Avevo raggiunto qualcosa, e mancava qualcos'altro. Fino a tre mesi prima pensavo di non correre nemmeno più ultratrail, con pensieri che è meglio non dire, mentre ora mi trovavo a terminare una gara così dura dopo aver dato tutto per un’intera mezza giornata ed essere stato (relativamente) bene.
Non sono più un giovanotto, i margini di miglioramento sono minimi, al limite potrei tornare alla forma di 3-4 anni fa, ci sono sempre più atleti più forti, giovani e freschi di me, ma il percorso compiuto per prepararmi a questa gara e quello fatto poi col pettorale indossato mi hanno ridato una buona dose fiducia per sgomitare ancora un poco, consapevole dei miei limiti e di quello che potrò ancora raggiungere.

(Foto Yulia Baykova)


martedì 25 ottobre 2022

La mia UTLO 2022 - prima parte (la preparazione)

(Foto Canofotosports)
Prima (ma non dovevo non correre più ultra?)

Dopo il ritiro alla LUT di quest’anno avevo detto che non avrei più corso gare di quel genere. Non lo dicevo sull’onda della negatività, ma con consapevolezza, per via degli acciacchi continui, del bisogno di una nuova fase della mia vita (e soprattutto della sua incertezza), conscio che a livello sportivo non avessi più molto da chiedere e che serviva svoltare in qualche modo, concentrandomi più sull’allenare che sull’allenarmi.

Poi è arrivato luglio, il Tour du Mont Blanc in bici andato bene, ma il covid nei giorni successivi che mi aveva abbattuto fisicamente e mentalmente. Non andava bene, avevo bisogno di riprendermi, di riprendere forma fisica, calma psicologica, trovando la motivazione per qualcosa di nuovo, non per forza una gara e un risultato competitivo, ma qualcosa che mi avrebbe spinto a divertirmi con un’attività fisica che fosse più dell’uscita di mezzoretta fuori da casa o del giro in bici col gruppetto di pensionati (per quanto piacevoli).

Così dal 1° agosto ho ripreso ad allenarmi con un certo metodo, anche se non sapevo per cosa. Pensavo magari qualche corsa in autunno, oppure chissà. L’importante era vedere che fisicamente fossi ancora in grado di allenarmi decentemente, e la concentrazione da dedicare ad esso sarebbe stata una buona scusa per distrarmi dalle cose che mi preoccupavano.
L’idea era questa: faccio il mese di agosto allenandomi come se fosse la base per qualcosa in autunno, poi vediamo come sto, se me le sentirò di fare una gara e di che distanza, se molto breve, se di distanza “normale” o se qualcosa di lungo.

Il caldo era leggermente più sopportabile rispetto a luglio, così si poteva correre decentemente e anche il recupero e il sonno erano migliori. Da subito fisicamente avevo reagito bene, ma non volevo rischiare nuovi infortuni, quindi inserivo ancora una buona dose di bici evitando lunghi e dislivelli sui sentieri.
Dopo alcune settimane ho pensato che magari la 100 km dell’UTLO non sarebbe stata impossibile. In fondo sono 7 o 8 anni che tento di iscrivermi alla Western States, non volevo lasciare cadere così tutto quanto, e la UTLO sarebbe stata gara qualificante. Di certo non era l’unico motivo, ma ha giocato una buona fetta sulla decisione di pensare a quella distanza, nonostante quello che avessi detto un paio di mesi prima. Anche se questi 100 km, con partenza alle 5 del mattino, sono una distanza per me più facilmente gestibile rispetto a gare notturne, come appunto la LUT, dove ho spesso problemi (ne avevo scritto qui, un articolo dove osservavo la mia scarsa propensione alle ultra con partenza la sera).

La preparazione

La base di forma da cui partivo non era il massimo, ma non ero nemmeno messo così male. Al Tour du Mont Blanc in bici ero comunque andato benino. Il problema principale alla LUT era stata la pubalgia, che ad un certo punto era diventata insopportabile. Nelle settimane successive, con pochissime corse e molto brevi, tutto si era sfiammato velocemente, ma il pericolo di un ritorno dei dolori ci sarebbe stato con chilometraggi maggiori.
I giorni di covid mi avevano parecchio buttato giù, fisicamente e mentalmente (ancora più giù rispetto a prima), due settimane con tosse, gran spossatezza generale e morale ai minimi storici. Quando ho ripreso ad allenarmi pesavo 3-4 kg oltre il mio peso migliore, sui 67 kg. Considerando che in quelle due settimane forse avevo anche perso un poco di massa muscolare, visto il poco o nulla che avevo fatto, non ero proprio al mio meglio.

Per il primo mese ho quindi evitato allenamenti troppo intensi, ma ho provato a fare più ritmi medi, che spesso avevo trascurato in passato e fatto un po’ col contagocce, sia in pianura che su dislivelli, anche se leggeri. Poi sprint in salita ed esercizi di forza alle gambe e al tronco. Avrei forse dovuto fare un po’ più di volume a ritmi lenti, ma non essendo proprio al meglio, ho cercato di aumentare in modo molto graduale, mantenendo una buona dose di bici per poi lentamente diminuire e lasciare più spazio alla corsa, stando attento a come rispondeva il corpo.

(Primo mese di "base", poi aumento dei km, con leggera diminuzione in vista del vertical a due settimane dalla gara, ma con più intensità)

Anche per questo sono ritornato ad usare la misurazione dell’HRV il mattino, cosa che avevo smesso da qualche mese, prima per la difficoltà logistica nel farlo, poi per problemi con l’app, infine perché ad un certo punto era già un’impresa riuscire ad allenarmi e la misurazione della mia forma attraverso un’app era l’ultima cosa a cui pensavo.
Ho anche aggiunto e modificato gli esercizi per prevenire la pubalgia, e per tutto agosto, senza allenamenti troppo lunghi, tutto era andato bene sotto quel punto di vista.
Con l’arrivo di settembre sono tornato a fare sedute intense, riuscendo dopo anni ad inserire allenamenti misti di variazioni in salita e in pianura, cosa capace di fare una bella differenza nel mio stato di forma. Sono tornato molto più sui sentieri, lavorando sulla camminata in salita e sulla discesa come non facevo da tempo. I km settimanali continuavano ad aumentare, mentre calavano quelli in bici, a cui ho via via dedicato sempre meno tempo e praticamente solo in forma di recupero attivo molto blando.

(In bici qualche ora nelle prime settimane per fare volume, poi graduale riduzione fino a fare solo giri blandi di recupero 30'-60')

In realtà il volume durante la settimana non era altissimo, visto che concentravo le sedute più sull’intensità, ma stavo via via aumentando i lunghi nel weekend, con diversi sopralluoghi sul percorso della UTLO. Avendo i riferimenti degli anni scorsi (in particolare nel 2021, visto che nel 2019 avevo corso la 140 km, con tratti diversi, in notturna e con un tempo da lupi), cercavo di provare i ritmi gara, e non coi lenti-molto-lenti che negli ultimi anni mi ero abituato a fare.
Il 1° ottobre ho inserito il Vertikal Sass de Ferr, utile per capire se la forma generale fosse buona, se il programma stesse funzionando e soprattutto se mi sarei ancora divertito come un tempo a faticare col pettorale. Missione compiuta (qua ne avevo parlato qui).

L’unico cambiamento rispetto al programma ideale che avevo in mente è avvenuto proprio per via del vertical inserito due settimane prima della UTLO. L’ideale sarebbe stato fare un ultimo bel lungo proprio quel weekend, che ho invece così dovuto anticipare alla settimana precedente. Il giorno dopo il vertical avrei voluto fare un mezzo lungo pianeggiante (visto che la UTLO è non poco corribile), ma alla fine non ero riuscito per il poco tempo a disposizione.
L’ultimo allenamento lunghetto è stato fatto 8 giorni prima della gara, sui 27 km iniziali del percorso, a ritmo buono. Forse anche questo avrei potuto farlo uno o due giorni dopo, e forse un po’ più lungo, ma la sostanza non sarebbe cambiata molto. Avevo sempre un po’ timore di esagerare, volevo tenere un certo margine.

A pochi giorni dalla gara la forma era sicuramente buona. Peso tornato sui 63.5 km circa e gambe in buono stato. A questo punto avevo paura di fare troppo, ma anche di fare troppo poco, il solito dilemma di chi corre ultra, o di chi corre in generale. Dal ritiro dello scorso anno all’UTMB ho avuto troppo spesso sorprese nei giorni precedenti le gare che avevo preparato, o durante la gara stessa. Essere tornato anche a meditare dopo diversi anni mi ha aiutato non poco a rallentare i cattivi pensieri e a concentrarmi solo sul percorso del momento, lasciando scorrere meglio i giorni di tensione prima della gara.
Alla partenza ero ben preparato e riposato, consapevole di non essere ancora al 100%, ma sicuramente in una forma che non avevo da tempo.

(...to be continued...)

giovedì 13 ottobre 2022

Essere più in forma e andare più lenti (partendo troppo forte). Il mio Vertikal Sass de Fer

Sabato 1 ottobre ho corso al Vertikal Sass del Fer, a Laveno Mombello, gara organizzata da 100%AnimaTrail. Gara corta ma dura e sicuramente fuori dal mio genere, 3.5 km di salita con 900 m+, quasi tutta lungo il sentiero sotto la funivia che dal Lago Maggiore porta alla vista panoramica appunto del Sass del Fer (poco meno di 3 km per la traccia su Strava).

È stata la mia prima gara dal ritiro della LUT di fine giugno (oltre alla StraMazzate di inizio luglio, meno di un km per 4’ di corsa, e il Tour du Mont Blanc in bici di metà luglio), dopo un periodo parecchio difficile e una graduale ripresa ad allenamenti strutturati. È stato anche il primo vertical dopo quasi un anno esatto dall’ultima volta, sempre qua. Avendo così a disposizione un confronto con i tempi e coi dati di Strava, ho potuto notare cose interessanti (oltre al fatto che la mia velocità su queste gare non si schioda neanche a cannonate). In realtà è la terza volta che faccio questa gara, anche se nel 2018 non caricavo gli allenamenti su Strava e la partenza era leggermente spostata, quindi forse più veloce di qualche decina di secondi.

Dunque, quest’anno ho impiegato 39’52”, mentre lo scorso anno 39’34”. Nel 2018 39’24”, in primavera, la settimana dopo la vittoria alla Maratona Alpina di Val della Torre. Sempre considerando che le prestazioni possono anche dipendere dal clima, dal terreno (quest’anno aveva piovuto la notte precedente, ma non si può certo dire che ci fosse terreno pesante, anzi, mi è parso ininfluente), la prima curiosità è che le sensazioni in gara sono state contrarie rispetto al tempo fatto. Nel 2018 ero probabilmente nel mio anno di forma migliore in assoluto, ma non avevo fatto una gran gara, partito troppo spavaldo, ero calato nella seconda parte, senza nemmeno spingere a tutta fino alla fine. Non ero abituato a usare i bastoni e avevo avuto l’impressione che mi fossero stati più d’impaccio che di aiuto.
 
(foto Francesco Berlucchi)

La partenza era forse qualche centinaio di metri più breve, ma a memoria forse mancava anche un drittone sul prato nell’ultima parte di corsa, che avrebbe compensato quella discrepanza (ma non ricordo bene, potrei sbagliarmi). In ogni caso, avevo la sensazione di aver fatto schifo.
Lo scorso anno non ero di certo nella mia forma migliore, venivo da un paio di gare che sfortunate è dir poco (e dal ritiro all’UTMB del mese prima), scarsa voglia di allenarmi, un paio di chili in più, ma partito più cauto mi ero trovato a non stare così male, spingendo nella seconda parte e finendo discretamente soddisfatto, visto il periodo.

Quest’anno la forma era sicuramente migliore dopo questi due mesi di allenamenti fatti bene. Peso tornato praticamente al mio standard e voglia di faticare e spingere. Proprio per questo motivo mi sono trovato però a partire troppo allegramente. Viste le buone gambe che sentivo, ho spinto abbastanza sin dalla partenza, cercando di non rimanere bloccato prima dell’imbocco del sentiero e della stretta parte con le scalinate della prima parte di gara. Mi sentivo bene, ma forse ho spinto decisamente troppo.

Osservando i dati di Strava, ho visto che nei primi 500 metri (quelli più facili) quest’anno ho impiegato 20” in meno dello scorso anno, e nel primo km (con salita già iniziata) addirittura un minuto meno, 7’04” contro 8’09”, che anche considerando eventuali piccoli errori da parte del GPS sarebbe comunque tantissimo. Mi trovavo infatti credo al 7° posto, attaccato al 6° e con un gruppetto dietro che mi pareva ben più lento. Dopo il primo terzo di salita, con le pendenze più dure dei vari scalini, ho passato chi mi era davanti, ma sono stato sorpassato a mia volta. Ho sentito presto che le gambe non mi permettevano di cambiare ritmo, così, credo poco dopo metà gara, il gruppetto dietro si è lentamente avvicinato per poi passarmi. Purtroppo, non essendoci tratti dove respirare, provare a rallentare leggermente e gestire il passo non ha aiutato in ogni caso. Pur non perdendo troppo, ho continuato a mantenere un’andatura insufficiente per ritornare sotto. Arrivato nel brevissimo tratto di respiro prima dell’ultimo sentiero, il più facile, non avevo ancora sufficiente tempo per riprendere velocità, così ho potuto solo mantenere la mia posizione, senza riuscire a recuperare qualche posizione.
Osservando sempre su Strava le differenze tra lo scorso anno e quest’anno, ho potuto notare come nei due segmenti della parte più dura, il sentiero sotto la funivia, ho perso 15” nella prima parte (su poco meno di 15’) e 39” nella seconda (su circa 12’). Nell’ultimissimo tratto non so, ma più o meno ho fatto un tempo simile.

(foto Mario Dambrosio)

Riassumendo, forma migliore, migliori sensazioni, ma tempo peggiore. Ma in una prova così conta non solo la forma, serve anche dosare bene le energie, nello stesso modo in cui serve per gare ultra. Se in una gara di 10 km dovessi partire 20” o 30” al km più veloce delle mie possibilità, nel finale perderò molto di più di quel tempo, perderei forse anche un paio di minuti. In un vertical succede la stessa cosa. Avendone corsi pochissimi e non essendo la specialità in cui riesco a rendere al meglio, ho sempre patito la gestione dello sforzo. Solo lo scorso anno nel VK1 da Courmayeur al Pavillon del venerdì sera ero andato bene, ma in quel caso i primi chilometri su pendenza tranquille mi avevano fatto partire con calma (oltre al fatto che la mancanza di quel tipo di sforzi dopo 2 anni senza salite di quel genere mi avevano suggerito una partenza cauta), carburando il mio motore diesel e affrontando la parte centrale in buona spinta.

Bisogna avere una forma buona e gestire bene le forze, e non farsi troppi problemi se il risultato è minore di altre volte in cui si era in una forma peggiore. Anche se alla fine quello è il mio livello, non c’è molto altro da fare. Come avevo detto nell’ultimo articolo? L’importante non è il risultato, ma il percorso fatto per arrivare fin lì. Quindi va bene così.