venerdì 28 maggio 2021

La mia ripresa dopo la UROC, preparandomi per l'estate

La ripresa dell’allenamento post UROC è stata faticosa nei primi giorni, con le gambe che non avevano ancora recuperato totalmente lo sforzo della gara, poi però le cose sono andate meglio.

Nella trepida attesa di poter tornare in estate in Italia e fare qualche bel trail alpino in preparazione per l’UTMB (che sì, lo farò, nonostante sia critico con la nuova formula che avrà nei prossimi anni, vorrei sfruttare quella che potrebbe essere per me l’ultima occasione, dopo un anno di attesa di tornare a correrlo), il programma era di riprendere con un volume medio, niente di esagerato, cercando di inserire più dislivello rispetto al solito, facendo più esercizi di forza (soprattutto step up, per prepararmi alle salite più ripide da camminare), inserendo mountain bike almeno 3 volte a settimana (anche se con pochissimo volume). Di certo fare dislivello dove abito non è per niente facile. L’unica soluzione per fare più dislivello sarebbe andare sugli Appalachi, ma tra lontananza, gran quantità di gente sui sentieri, caldo (è stato un maggio più simile a un luglio), non riesco ad andarci spesso, anzi, appena un paio di volte e per poco tempo.

Questo mese in sostanza è fatto settimanalmente di un allenamento breve e intenso in pista (interval training, ripetute, le solite cose) e un allenamento intenso in salita, sugli Appalachi o in qualche parco della zona. Lunghi non particolarmente lunghi, max 3h/3h30’, e nemmeno ogni settimana. Il mio solito e sempre più consolidato allenamento polarizzato. Insomma, il giusto per riprendere un carico allenante medio, senza esagerare, per arrivare ai due mesi precedenti l’UTMB pronto e allo stesso tempo abbastanza fresco. Troppo spesso sono arrivato all’estate un po’ cotto, meglio evitare e concentrarsi per i carichi maggiori quando sarà il momento e avrò l’opportunità.

A giugno un paio di gare di 50 km, con un poco più di dislivello rispetto al solito (ma sempre poco più di 1000 metri positivi), utili ancora per lavorare sulla velocità, per divertirmi, e poi speriamo di poter tornare in Italia e darci dentro con salite e discese più lunghe.

martedì 25 maggio 2021

Il mio recupero post gara

Come dopo ogni “gara obiettivo“ (almeno negli ultimi anni), dopo la UROC mi sono preso una settimana di recupero. Dopo 4 mesi di allenamenti intensi, con qualche acciacco e alti e bassi dovuti anche al periodo travagliato, avevo bisogno di un breve stacco generale prima di ripartire per prepararmi per le gare estive (mi auguro non negli Stati Uniti). Ne avevano bisogno anche le mie gambe, visti i DOMS dopo la gara, soprattutto ai vasti laterali. Era da tempo che non mi succedeva di aver dolori muscolari così intensi e che durassero così a lungo.

La settimana di recupero non è stata comunque di riposo totale. Solo per i primi 3 giorni non ho fatto nulla, sia per il gran mal di gambe, sia perché qualcosa da fare ce l’ho comunque sempre, non mi annoio se non mi alleno. Poi per qualche giorno brevissime pedalate di un’ora, o sullo spinning, o sulla solita mountain bike su asfalto, ad andature davvero tranquille, ma con qualche brevissima sgasata, senza esagerare, per aumentare l’afflusso di sangue nei muscoli e quindi velocizzare un po’ il recupero.

È una cosa che consiglio sempre anche alle persone che seguo, quella di fare una settimana post gara obiettivo (bè, se si parla di ultra trail, o di gara comunque più lunga e impegnativa rispetto ai propri standard). Serve sia come recupero fisico, che mentale. Di certo ci sono fenomeni della natura che fanno grandi prestazioni in gare impegnative una settimana dietro l’altra, ma sono appunto casi eccezionali da non prendere troppo da esempio. Una gara lunga fatta davvero a tutta, o con un allenamento non perfetto (e in genere, chi punta ad essere finisher di gare ultra, per quanto ben allenato, difficilmente può essere preparato in modo perfetto come un top runner, anche solo per capacità fisiche e di recupero, oltre che di tempo), lascia strascichi che magari pensiamo siano passati appena passa il mal di gambe, cosa che può avvenire in pochissimi giorni dopo l’evento, ma ciò non significa che si sia davvero recupero a dovere.

Dopo questa settimana di recupero ho ripreso per un mese di buoni allenamenti, ma senza esagerare, proprio perché il recupero non era ancora avvenuto in modo completo. Ma di questo ne parlerò in un prossimo articolo.

mercoledì 5 maggio 2021

Com'è andata la mia UROC (ovvero, quando un percorso più facile è in realtà molto più difficile)

Sì, i percorsi semplici sono quelli più difficili. Almeno per me, o in generale per chi ha più caratteristiche da trailrunner “alpino” che da ultramaratoneta, come spesso sono gli americani. La UROC originale avrebbe un percorso con diversi single track abbastanza divertenti, tratti ripidi dove camminare, discese ripide dove dosare il ritmo, il tutto su sentieri per nulla banali, anche se, certo, non si tratta di una skyrace ultra tecnica e avrebbe al suo interno lunghi tratti molto semplici su asfalto. E io mi ero allenato soprattutto per questo tipo di percorso, inserendo un po’ di bici nelle ultime settimane, anche visto un fastidioso dolore al tendine d’Achille. Purtroppo una settimana prima della gara è stato annunciato un percorso diverso, tutto su strade bianche, con solo un breve tratto su prati nella zona di partenza e arrivo, e su un percorso di 50 km da compiere due volte, a sua volta diviso da altri tratti da compiere out-and-back (avanti e indietro). In sostanza (al netto di un percorso che poi al GPS è risultato di 96 km) i chilometri erano una ventina, da compiere avanti e indietro per più volte, e appunto, tutto su strade bianche. Il dislivello era poco meno dell’originale, quasi 3000 metri positivi, quindi non di certo tutto pianeggiante, ma molto diverso da come sarebbero stati i 3000 metri prevalentemente sui sentieri dell’originale.

Fatta questa lunga premessa, perché era più difficile? Bè, primo perché le salite erano corribili, o almeno così sono state per la prima metà gara, visto che nella seconda parte ogni tanto io e David (con cui ho condiviso quasi tutti gli ultimi due terzi di gara, se non tutti insieme, sempre molto vicini) ci stufavamo di correre e camminavamo, quindi impegnativa per un gesto tecnico molto ripetitivo e pericoloso per le infiammazioni. La difficoltà quindi era anche mentale, su un percorso da compiere sempre avanti e indietro e su stradoni larghi e monotoni. E poi la difficoltà maggiore, quella che più mi ha condizionato, sono state le discese corribilissime, soprattutto una lunga leggera discesa di una dozzina di chilometri con 500 metri negativi, per nulla adatta al mio stile di corsa e per il quale non ero molto allenato. Infatti David Hedges, il vincitore, in questi tratti andava molto più forte di me, costringendomi a sforzi supplementari per non perdere terreno e recuperare nelle salite dove mi sentivo più a mio agio. Sul percorso originale, nonostante il maggior dislivello, avrei patito molto meno muscolarmente le discese. L’impatto col terreno su sentieri mediamente pendenti riesco a gestirlo molto meglio, più reattivo, più leggero, molto meglio rispetto ad una discesa corribile e dove è totalmente diverso l’appoggio e anche il movimento meccanico degli arti inferiori, sempre uguale, è deleterio per le mie fibre muscolari.


(foto UROC 2019)

A livello fisico sono stato sempre benissimo, mai una minima crisi, mai un cedimento, alimentazione perfetta e senza alcun intoppo. Purtroppo a un paio di chilometri dalla fine David mi ha staccato in salita, dove per tutta la gara credevo di averne di più, ma non per mia crisi, anzi, io spingevo ancora bene, lui andava semplicemente di più. Di certo avevo un gran mal di gambe causato dalla disabitudine a questo tipo di percorso e non riuscivo ad aumentare la mia andatura.

Una cosa simile mi era capitata anche nella 100 miglia del Vermont corsa nel 2017, che aveva un percorso con le identiche caratteristiche. Ho capito una volta di più che per certi tipi di percorsi americani devo cambiare completamente il mio allenamento, o meglio, devo dedicarmi più ad alcune cose che solitamente tralascio, abituandomi maggiormente a terreni facili e corribili, ancora più di quanto già non stia facendo.

(foto Vermont 2017)

Una cosa positiva, e che mi ha aiutato ad evitare maggiori problemi nel finale, è stata quella di usare i bastoni nella seconda parte di gara. Grazie al fatto che a metà gara si tornava in zona partenza, avevo lasciato lì i bastoni, pensando che vedendo il percorso una volta, avrei potuto poi decidere se usarli o meno, e sì, sono stati davvero utili per salvare un po’ la gamba sulle salite, nonostante le pendenze per nulla estreme. Inoltre i bastoni sono stati molto d’aiuto per sforzare di meno tallone e tendine d’Achille e ridurre il rischio che mi dessero problemi. Infatti, un po’ anche per via dello scarico pre gara che mi ha fatto bene per sfiammare il tutto, non ho avuto alcun dolore e ho finito in ottime condizioni.

Quindi com’è andata la preparazione? Direi bene, nonostante un po’ di fastidi, cambi di programma, stress vari, ma il giorno della gara ero in forma, veloce (ok, bè, relativamente alla distanza) e resistente, segno che l’allenamento polarizzato ha funzionato. Era un anno e mezzo che non facevo una distanza così lunga (quasi 9 ore di gara) e aver finito bene, senza alcuna crisi, mi ha confermato ancora una volta che non ho bisogno di fare mega allenamenti lunghissimi, e che per le mie caratteristiche fisiche naturali sono sufficienti pochi lunghi su distanze “umane” per avere la giusta resistenza. Se solo si fosse corso sul percorso originale, la preparazione si sarebbe confermata ancora migliore…
Ora un breve recupero, per evitare di essere affaticato in estate, e poi parto per allenarmi per le gare alpine che spero di poter correre tra pochi mesi, UTMB in testa.