“Chi vince festeggia, chi perde spiega”. Questa frase di Julio Velasco la trovo sempre molto vera, anche se non vale proprio sempre. E quando si parla di sport individuali, soprattutto se si parla di trail, vincono in tanti. Si può vincere anche terminando con tempi molto più alti delle proprie possibilità e arrivando tantesimi. Ma si può parlare di sconfitta quando ci si ritira. In questo posso ritenermi un esperto.
Quindi le mie saranno giustificazioni al mio ritiro? Si potrebbe anche interpretarle tali, ma no, la spiegazione più semplice è che non ho il fisico. Non sono scuse, se ho dolori e altri problemi, se sono mezzo acciaccato da tempo, non è per chissà quali motivi. Avrei anche potuto fare le cose meglio, in modo diverso, magari mi sarei potuto allenare in maniera migliore, ma di base rimane che più di così, nel weekend della LUT, era difficile fare.
Bè, ci sarebbero anche mille motivi extrasportivi che mi hanno fatto allenare male nelle ultime settimane, che mi hanno fatto recuperare ancora peggio, spesso dormire quasi nulla, ma questo è un altro discorso. Insomma, raccontando la mia gara posso spiegare un po’ meglio cosa non è andato.
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(Foto Geraldine Roma) |
In partenza mi sentivo abbastanza bene. Negli ultimi giorni mi sembrava di avere recuperato un minimo di freschezza fisica, anche se era logico che non fossi al top. Proprio per questo avevo però meno aspettative. Nei primi 2 km su asfalto ero fiducioso, corsa sciolta e leggera, ma sapevo che era solo l’inizio. Davanti il gruppone dei favoriti era partito per un’altra gara (sicuri che sia stata una buona idea per tutti tentare di rimanere col gruppo e non puntare a tenere il proprio ritmo?), dietro altri atleti sparsi, tra cui me. Durante la prima salita avevo davvero ottime sensazioni, mi sembrava di correre molto bene, facile, con poco impegno. Terminata la salita, durante il piccolo tratto di balconata ho perso qualche posizione, ma niente panico, è sempre stato così per me, puntando a tenere il mio passo e risparmiando energie. Nella prima discesa idem, ma andavo meglio di quanto pensassi. Durante il successivo tratto ancora corribile verso il primo ristoro di Ospitale (18° km) continuavo ad avere ottime sensazioni in salita, meno in piano. Però ero contento del mio passo. Ero anche contento delle tante persone sul percorso che riconoscendomi mi incitavano.
Durante la successiva salita, ancora buone sensazioni, con qualche posizione nuovamente recuperata. Qualche goccia di pioggia in alto verso lo scollinamento (e sui 2000 metri sentivo un poco l’altitudine, ma lo sapevo), senza però dovermi coprire, visto che durante la discesa verso Passo Tre Croci aveva già smesso. Nei saliscendi verso Federavecchia (dove una volta c’era il ristoro con la prima assistenza) ho iniziato però a perdere brillantezza. Gambe via via più pesanti, senza riuscire a rilanciare nei tratti corribili e con il principio di ritorno della pubalgia.
Ecco, la pubalgia. Ne soffrivo nei primi anni di trail, ma sempre gestendola bene, visto che era dovuta più all’eccesso di gare che ad altro, e forse era anche retaggio degli anni di giovanili di calcio (come più o meno tutti i miei acciacchi). Col tempo era passata praticamente del tutto. Solo qualche leggero fastidio dopo lunghissime gare, ma direi normali dolori da ultra, niente di più. Lo scorso novembre, nel finale della JFK 50 mile, mi era però saltata fuori in modo prepotente. Anche in quel caso pensavo fosse solo per la particolarità della gara, tutta corribile negli ultimi 55 km. Nei giorni successivi avevo avuto parecchia infiammazione, ma quando ho ripreso gli allenamenti, non sembrava nulla di grave. Per tutto l’inverno ci ho convissuto. Mi veniva soprattutto dopo gli allenamenti più lunghi nel weekend. Avendo però inserito un giorno di totale riposo nel lunedì, mi passava velocemente. Sì, un po’ di fastidio ogni tanto, ma niente di troppo debilitante. Però più aumentavo il volume e le ore dei lunghi, e più aumentava il dolore, tanto da iniziare a dover dormire con un cuscino tra le ginocchia.
E pure qua apro un’ulteriore parentesi. In inverno ho avuto un episodio di vertigine parossistica posizionale di notte, dovuta dalla mia posizione della testa durante il sonno, che mi causava appunto improvvise e tremende vertigini. Ho dovuto quindi iniziare a dormire con un cuscino supplementare sotto la testa e girandomi di lato, il che mi favoriva l’infiammazione in tutta la zona del bacino. Ecco perché ho dovuto inserire anche un cuscino in mezzo alle ginocchia, altrimenti si infiammava tutta la zona pubica, retto addominale, ileo psoas, adduttori… Poi pum!, a marzo pure la contrattura ai flessori posteriori della coscia.
Correndo di meno a causa di questa contrattura, con esercizi vari e sempre col cuscino tra le ginocchia, la pubalgia sembrava andare meglio, tanto che alla UROC non avevo avuto particolari problemi. Al Monte Soglio, invece, aldilà di gambe dure, poco fiato, poca testa, nel finale avevo nuovamente avuto fastidio, nonostante un percorso non molto corribile e un ritmo non troppo alto. Poi tutto subito passato nell’arco di pochi giorni, e che credevo ormai passato del tutto nel mese tra Soglio e LUT, visto che ho pedalato e corso non lunghissime distanze durante questo periodo. E tenendo sempre un cuscino pronto nel caso sentissi fastidio di notte.
Tornando alla gara, durante il tratto corribile prima del Lago Misurina, il passo era sempre più corto, sempre più pesante. Arrivato al lago non avevo grandi sensazioni. Inoltre avevo il mio solito incredibile problema di visibilità, con gli occhi che soffrono il freddo notturno. Non era un freddo così importante, avevo gli occhiali protettivi, e mi ero messo collirio prima di partire e poi anche proprio al ristoro del lago, ma il fastidio rimaneva. Niente da costringermi a fermarmi, era sopportabile, ma sicuro non aiutava per il morale, visto che in gare notturne mi viene 2 volte su 3, se non di più. Molto frustrante.
Insomma, ripartito dal ristoro, le sensazioni correndo intorno al lago erano sempre peggiori. Mi sono fermato per una sosta fisiologica, e chinandomi ho avuto un crampo tra adduttori e sartorio, cosa abbastanza incredibile, visto che non avevo tirato così tanto, mi stavo alimentando e idratando, e non mi era mai capitato con questi ritmi e in condizioni ambientali tutto sommato nella norma. Salendo poi verso il Rifugio Auronzo, gambe sempre più pesanti e sensazioni sempre peggiori. Girando poi intorno alle Tre Cime di Lavaredo, la pubalgia era sempre peggiore. Durante la discesa il passo era per forza sempre più corto, sempre più pesante. Nell’ultimo tratto della discesa il dolore stava diventando insopportabile. E quando è iniziato il tratto corribile verso Cimabanche (quello che tutti odiano, e che io credevo di poter riuscire a gestire meglio, dopo anni negli USA su percorsi corribili), alzare le gambe era diventata davvero un’agonia. Ogni passo era un lento trascinare dei piedi, rischiando pure di inciamparmi. Al retto femorale vere e proprie fitte, l’ileo psoas completamente contratto, zona lombare dolorante e contratta, persino i bastoni mi erano di poco aiuto. Così stop, ho iniziato a camminare pensando solo ad arrivare al ristoro e fermarmi.
Lo so, lo so, che le vere agonie sono altre, che c’è di peggio, ma sommato al mio stato mentale dell’ultimo periodo, alla forma fisica degli ultimi mesi e a tante altre cose, pensare di reggere quel fastidio per ancora altre 7, 8, 10 ore o forse di più era davvero troppo.
Ora bo, vedremo. Però, come avevo scritto già in un articolo qualche tempo fa, io in questo tipo di gare ho proprio dei problemi fisici e forse anche una scarsa attitudine mentale. Jim Walmsley ha paura di correre al buio e problemi? Eh, ce l’ho pure io paura, e ho anche un sacco di problemi fisici e non solo, come si può notare, che vi credete!? E non ho nemmeno manco alla lontana nei miei sogni il suo motore.
“Chi vince festeggia, chi perde impara”.