Sarà forse
perché io mi sono ritirato molte volte, soprattutto nelle gare più dure e
competitive, che però ho molta simpatia per chi si ritira. Diciamolo, delle
volte si esagera con la retorica del finire a tutti i costi, del non mollare
mai, dell’essere più forti dei dolori e della fatica e dei malesseri. Ma ci
sono sempre casi e casi. Per qualcuno bravissimo a finire una gara con enormi
difficoltà e magari problemi fisici, c’è qualcun altro che ha preferito
mollare, ritirarsi, rispettare il proprio corpo e forse anche la propria testa.
Non sto dicendo che bisogni ritirarsi quando non ce la si fa più o non si ha
più voglia. Sono un allenatore, devo anche saper motivare, che diamine! E
motivo sempre le persone che seguo, ci mancherebbe altro. Ma trovo che ci
voglia ugualmente un certo equilibrio. Delle gare si possono finire sforzandosi
oltre la propria comfort zone, resistendo ai dolori, combattendo col desiderio
di fermarsi, farsi una doccia, mangiare e dormire, ma ci si può anche ritirare senza
che diventi vergogna.
Nell’ultimo
mese, tra UTMB e altre gare, ho visto diversi atleti molto forti ritirarsi, e
ammetto che quando capita li rispetto quasi più che quando vincono. Non che sia
contento, non sono così cinico, non auguro il male a nessuno, so la fatica che
hanno fatto per arrivare fin lì e so benissimo il dispiacere che porta un
ritiro. Anzi, è proprio perché so quanto costa un ritiro che spesso mi sento
molto più vicino a loro.
Come ammiro
l’atleta che sa andare oltre i propri limiti, ammiro anche l’atleta che li
accetta e sa fermarsi quando non è più necessario proseguire. Rimangono gare,
eventi, che sono importanti e fanno parte della nostra vita, certo, ma non sono
tutta la nostra vita.
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