martedì 20 settembre 2022

Il processo e il risultato

All’UTMB 2021 mi ero ritirato a Courmayeur, dopo una contrattura alla coscia posteriore praticamente inspiegabile arrivata dopo pochissimi minuti dalla partenza, problemi digestivi, sensazioni pessime in salita con tanto di capogiri… Insomma, un disastro. Eppure, mi sentivo in forma, ero in forma. Forse non nella miglior forma della mia vita, ma quasi. Il ritiro era stata di certo una cosa non buona per il morale, dopo il 2020 praticamente buttato, dopo quasi 2 anni lontano dall’Italia e dai sentieri alpini, ma nonostante la delusione per l’occasione sprecata, per l’impegno che avevo messo nella preparazione, per l’investimento generale che avevo fatto, non ero così completamente affranto (quella sensazione sarebbe arrivata nelle settimane successive, dopo varie vicissitudini, una forma che stava tendendo a calare e altri problemi che si sono riflessi fino a quest’anno…). Ero stato contento dell’allenamento che avevo fatto, della ripresa delle gare dopo i periodi più bui della pandemia, delle sensazioni che avevo avuto nelle settimane e nei giorni prima della gara, delle ore passate finalmente sui sentieri, delle pedalate sulla bici da strada dopo tanto tempo, degli acciacchi che sembravano un lontano ricordo. Mi ero davvero goduto il processo di avvicinamento alla partenza della gara. Pensavo solo secondariamente alla gara e ad un possibile risultato, che sarebbe arrivato “semplicemente” correndo come avrei potuto fare e nel modo che era nelle mie corde.


Poi certo, una volta ritirato, si sarebbe potuto dire qualsiasi cosa riguardo i motivi del disastro: mi ero allenato troppo o troppo poco, troppo intensamente o troppo lentamente, i giorni prima ho fatto troppo o troppo poco, ho mangiato troppo o troppo poco, ero troppo tranquillo o ero troppo stressato. Tutto e il 
contrario di tutto. A posteriori qualcosa di diverso l’avrei sicuramente fatto, ma è troppo facile dirlo ora. Però mi ero goduto quel processo di avvicinamento e per quel periodo mi aveva fatto stare meglio, mi aveva fatto stare bene, allontanando – almeno momentaneamente – i brutti pensieri e la negatività generale arrivati insieme alla pandemia.

Il ritiro da una gara, una giornata storta, un imprevisto che precluda il risultato sperato (non bisognerebbe sperarlo il risultato, ma è automatico pensarlo e cosa difficile da non fare), una tattica sbagliata, non devono (non dovrebbero) far pensare di aver buttato il periodo di preparazione, sono cose che possono succedere, ma di certo un buon allenamento fatto in modo consapevole, godendoselo e divertendosi (anche qua con giornate a volte buone, altre volte negative) può ridurre il rischio che queste cose accadano.

Ora mi ritrovo in una situazione molto diversa, ma anche molto simile. Non mi sto allenando per un UTMB, ma sto cercando di immergermi in un processo di ripresa di forma fisica e di benessere psicologico, di fiducia in me stesso, non tanto (o non solo) per allontanarmi dai brutti momenti degli ultimi mesi e delle vicende personali che mi hanno messo a dura prova (ma quale prova, poi?), ma per cercare di fare in modo di reggere, di navigare sopra l’onda che mi è arrivata addosso, senza tentare di frenarla, che sarebbe impresa inutile, fin troppo faticosa e che mi farebbe concentrare solo sul raggiungimento di un risultato finale, e non sul processo. L’obiettivo non è il risultato, l’obiettivo è il percorso stesso. Sembrerà una frase fatta, una banale frase motivazionale, o che richiama qualche altro famoso aforisma, ma delle volte - o forse sempre - è davvero così.

Ora mi sto di nuovo allenando bene, provando cose nuove, concentrato sul momento, sul processo di allenamento, e non sul potenziale risultato. Se questo processo continua così bene, col puro piacere della preparazione, senza che diventi fonte di stress, senza pensare al risultato che potrei raggiungere quando tornerò ad indossare un pettorale, questo stesso risultato potrà arrivare in automatico. E se non arriverà? Mi sarò goduto questi mesi e cercherò di fare altrettanto nel futuro.

lunedì 12 settembre 2022

Il mio Tour du Mont Blanc di quest'anno, in bici

Quest’anno non ho corso l’UTMB, ma il giro del massiccio del Monte Bianco l’ho fatto comunque, anche se in bici. Dopo il ritiro dalla LUT e in un periodo difficile sotto tanti punti di vista, avevo pensato che una bella pedalata avrebbe potuto aiutarmi. In fondo gli acciacchi erano legati al movimento della corsa (la pubalgia), la forma non era al top ma non era nemmeno così orribile. Avevo già pedalato non poco tra maggio e giugno ed era un modo per cercare di uscire dalle altre difficoltà non legate allo sport. Così, dopo aver partecipato nel 2019 al Tour du Mont Blanc in bici, ho pensato potesse essere una buona occasione anche quest’anno, il 16 luglio.
Tre anni fa mi stavo preparando per il Tor des Geants, e dopo l’esperienza del 2018 in vista dell’UTMB, avevo in mente di fare tanto volume in bici a luglio, anche perché è uno sforzo che al caldo è molto più gestibile rispetto a correre a basse quote.


Il percorso, con partenza e arrivo a Les Saisies, in Francia, è lungo “circa” 330 km, con 8000 metri di dislivello. Dico circa perché tra GPS e dichiarazione dell’organizzazione c’è sempre qualche piccola discrepanza. Passare per Saint Gervais les Baines, Les Houches, Chamonix, Vallorcine, Trient, Col de la Forclaz mi fa ovviamente sempre ricordare l’UTMB. C’erano due piccole differenze tra quest’anno e tre anni fa, anche se forse ho finito per fare stessi chilometri e dislivello, e finendo praticamente con lo stesso tempo, 14h39’ quest’anno e 14h30’ la prima volta.
Nel 2019 non si saliva a Champex-Lac, ma da Martigny si andava direttamente verso il Gran San Bernardo, inoltre da La Salle, in Valle d’Aosta, si faceva il Colle San Carlo, una mazzata, tra le salite più dure delle Alpi e che al Giro ha fatto sempre gran danni. In realtà quell’anno si faceva anche un’altra salita, senza scendere ad Aosta, ma per un mio errore e senza aver visto una deviazione durante la discesa dal Gran San Bernardo, ero sceso fino a valle, risalendo poi tutta la strada statale verso Courmayeur da solo. Anche risalendo non so se avrei capito dove svoltare, poi non si trattava di una gara vera e propria, senza classifica (anche per questo la strada non era chiusa al traffico e le segnalazioni erano minime), pur con partenza in gruppo e con una leggera competizione (almeno per le prime posizioni), quindi non me ne veniva niente ad aver tagliato involontariamente una salita.


Quest’anno ho avuto la sensazione di essere andato molto meglio. Intanto ero appunto forse meglio allenato per la bici, avendo già inserito allenamento lunghi da maggio. La forma non era pessima come sembrava, nonostante acciacchi, nervosismo e forse pure un paio di chili in più. E poi ho trovato una giornata in cui testa e fisico sono andati d’accordo sin da subito, anzi, dal giorno prima.
Ero tranquillo, naturalmente non avevo alcuna pressione, speravo solo di non forare, poi in qualche modo la bici l’avrei portata in giro per i vari passi alpini. Una cosa che ho capito (ma in realtà è abbastanza scontata) è che tra le granfondo in bici e gli ultratrail le probabilità di ritirarsi sono molto diverse, in bici è molto più facile mangiare e digerire, infiammazioni o problemi fisici vari sono di meno e di minor gravità, quindi mi era sufficiente continuare ad alimentarmi bene, bere (visto il gran caldo che sarebbe arrivato durante la giornata) e godermi la pedalata. Proprio per la tranquillità che avevo, ero curioso di partire leggermente davanti e provare ad attaccarmi a gruppetti buoni, risparmiando così forse anche qualche energia nei tratti più semplici del percorso.
La partenza in discesa (a velocità controllata, ma pur sempre in gruppo e quindi dove non era facile tenere buone posizioni senza rischi inutili) e i primi chilometri facili mi hanno fatto spendere un po’ per non perdere le ruote, ma ero riuscito a rimanere nella prima parte del gruppo (partenti circa in 400, a memoria). Con le prime salite ho preso il mio ritmo regolare, pur spingendo non poco. Il mio Garmin Epix 2 mi dava una frequenza cardiaca un po’ alta, ma era giusta, ero relativamente fresco e stavo tirando, pur senza fuorigiri. La tattica di cercare di stare davanti mi ha aiutato davvero, sono rimasto sempre con buoni gruppetti nei tratti in pianura o in falsopiano, recuperando a volte qualche posizione in salita o nei ristori dove io mi fermavo un po’ meno di altri. A fine gara ho notato come la frequenza cardiaca sia stata mediamente molto alta, calando leggermente ad ogni salita, per via della stanchezza e sicuramente anche per una partenza più allegra rispetto a quello che potevo permettermi, ma ulteriore segno che la forma non era proprio da buttare.

638 km ??

L’assistenza teoricamente non era permessa, ma ho visto decine di persone e auto fare da ammiraglia, soprattutto sulle salite più lunghe, dove mi capitava di incontrare le stesse persone più o meno ogni mezzo chilometro: davano la borraccia al ciclista, risaliva in auto, avanzano di un paio di tornanti, e così via. Ai fini della classifica non me ne fregava niente, avrei potuto finire qualche decina di posizione in meno se tutti avessero fatto quello che andava fatto, perdendo come me una mezzora totale tra tutti i ristori fatti da me in modo indipendente, il tifo che facevano poteva anche essere positivo, ma trovarmi auto che continuavano a sorpassarmi e che magari poi trovavo in discesa non era piacevole, soprattutto visto che in oltre 300 km di auto ce ne sono state già più che abbastanza. L’unica assistenza che potevo avere era attraverso due sacche lasciate all’organizzazione e che avrei trovato in due punti, dove in pratica avevo solo messo gel, sali e cibo. Mi faceva perdere qualche minuto, ma almeno non davo fastidio a nessuno.


Non so di preciso la classifica, ma credo di aver piano piano rimontato più o meno fino al 30° posto, almeno fino ai 200 km, poi però caldo e fatica si sono fatti sentire, con mancanti forse un gel o due verso il Piccolo San Bernardo. Dopo 280 km, salendo al Cormet du Roseland, sono andato proprio in crisi. Caldo, leggero vento contro, stanchezza generale (oltre a dolori da bici: soprassella, mani e polsi, schiena contratta…). Ma ero in una giornata buona, e a differenza dei trail con partenza al tardo pomeriggio o in notturna, in eventi che si affrontano lungo la giornata e senza deprivazione di sonno riesco a superare meglio certe difficoltà. Così mi sono messo lì, pazientemente, a raggiungere la cima, cercando di gestire l’alimentazione che ad un certo punto si era lo stesso fatta difficile, dopo litri e litri e migliaia di calorie.


L’ultima salita permetteva di recuperare ogni tanto, così che negli ultimi chilometri, pur cotto, pur stanco, ho provato a spingere, finendo credo poco oltre il 40° posto e arrivato cotto, ma soddisfatto. I primi hanno finito in 11h30’-12h (gente che vince le granfondo, altro motore), poi pochi altri intorno alle 13 ore, e poi più o meno quelli con cui ho spesso condiviso tratti di percorso, sulle 14 ore, alte o basse a seconda di un calo finale o meno (bè, io ero nel mezzo).

Nonostante il periodo grigio era stata una giornata dove i pensieri erano solo concentrati sul mio gesto, sulla gestione dello sforzo, sul piacere della fatica. Certe volte le giornate di “flow” possono arrivare anche durante un periodo difficile e complicato, in modo indipendente dalla forma psicofisica e inaspettato, mentre altre volte non arrivano quando tutto sembra perfetto, il tutto probabilmente a causa delle aspettative.


Purtroppo dopo quel giorno ho passato ancora qualche settimana non buona, ma diciamo che mi ha fatto capire che non ero messo così male a livello atletico e che qualcosa di interessante potrei ancora farlo...