All’UTMB 2021 mi ero ritirato a Courmayeur, dopo una contrattura alla coscia posteriore praticamente inspiegabile arrivata dopo pochissimi minuti dalla partenza, problemi digestivi, sensazioni pessime in salita con tanto di capogiri… Insomma, un disastro. Eppure, mi sentivo in forma, ero in forma. Forse non nella miglior forma della mia vita, ma quasi. Il ritiro era stata di certo una cosa non buona per il morale, dopo il 2020 praticamente buttato, dopo quasi 2 anni lontano dall’Italia e dai sentieri alpini, ma nonostante la delusione per l’occasione sprecata, per l’impegno che avevo messo nella preparazione, per l’investimento generale che avevo fatto, non ero così completamente affranto (quella sensazione sarebbe arrivata nelle settimane successive, dopo varie vicissitudini, una forma che stava tendendo a calare e altri problemi che si sono riflessi fino a quest’anno…). Ero stato contento dell’allenamento che avevo fatto, della ripresa delle gare dopo i periodi più bui della pandemia, delle sensazioni che avevo avuto nelle settimane e nei giorni prima della gara, delle ore passate finalmente sui sentieri, delle pedalate sulla bici da strada dopo tanto tempo, degli acciacchi che sembravano un lontano ricordo. Mi ero davvero goduto il processo di avvicinamento alla partenza della gara. Pensavo solo secondariamente alla gara e ad un possibile risultato, che sarebbe arrivato “semplicemente” correndo come avrei potuto fare e nel modo che era nelle mie corde.
Poi certo, una volta ritirato, si sarebbe potuto dire qualsiasi cosa riguardo i motivi del disastro: mi ero allenato troppo o troppo poco, troppo intensamente o troppo lentamente, i giorni prima ho fatto troppo o troppo poco, ho mangiato troppo o troppo poco, ero troppo tranquillo o ero troppo stressato. Tutto e il
contrario di tutto. A posteriori qualcosa di diverso l’avrei sicuramente fatto, ma è troppo facile dirlo ora. Però mi ero goduto quel processo di avvicinamento e per quel periodo mi aveva fatto stare meglio, mi aveva fatto stare bene, allontanando – almeno momentaneamente – i brutti pensieri e la negatività generale arrivati insieme alla pandemia.
Il ritiro da una gara, una giornata storta, un imprevisto che precluda il risultato sperato (non bisognerebbe sperarlo il risultato, ma è automatico pensarlo e cosa difficile da non fare), una tattica sbagliata, non devono (non dovrebbero) far pensare di aver buttato il periodo di preparazione, sono cose che possono succedere, ma di certo un buon allenamento fatto in modo consapevole, godendoselo e divertendosi (anche qua con giornate a volte buone, altre volte negative) può ridurre il rischio che queste cose accadano.
Ora mi ritrovo in una situazione molto diversa, ma anche molto simile. Non mi sto allenando per un UTMB, ma sto cercando di immergermi in un processo di ripresa di forma fisica e di benessere psicologico, di fiducia in me stesso, non tanto (o non solo) per allontanarmi dai brutti momenti degli ultimi mesi e delle vicende personali che mi hanno messo a dura prova (ma quale prova, poi?), ma per cercare di fare in modo di reggere, di navigare sopra l’onda che mi è arrivata addosso, senza tentare di frenarla, che sarebbe impresa inutile, fin troppo faticosa e che mi farebbe concentrare solo sul raggiungimento di un risultato finale, e non sul processo. L’obiettivo non è il risultato, l’obiettivo è il percorso stesso. Sembrerà una frase fatta, una banale frase motivazionale, o che richiama qualche altro famoso aforisma, ma delle volte - o forse sempre - è davvero così.
Ora mi sto di nuovo allenando bene, provando cose nuove, concentrato sul momento, sul processo di allenamento, e non sul potenziale risultato. Se questo processo continua così bene, col puro piacere della preparazione, senza che diventi fonte di stress, senza pensare al risultato che potrei raggiungere quando tornerò ad indossare un pettorale, questo stesso risultato potrà arrivare in automatico. E se non arriverà? Mi sarò goduto questi mesi e cercherò di fare altrettanto nel futuro.