In questo momento senza gare e con enorme incertezza per il resto dell’anno, si possono ugualmente fare belle cose e divertirsi correndo e facendo sport, anche senza pettorale. E allo stesso tempo sarebbe bellissimo se tra pochi mesi si potesse tornare gareggiando sane competizioni, sarebbe utile per moltissimi motivi. Ecco perché spesso me la prendo quando qualcuno spinge perché vengano annullate e cancellate gare. Perché una cosa che ha fregato molti è la paura dell’incertezza. Non si accetta il dubbio, gare sì-gare no, si preferisce la certezza di sapere che non ci saranno più gare, è più semplice. Io non voglio certo credere che ci sia gente che dica "non ci saranno più gare" solo per poi sentirsi dire "bravo avevi ragione" (un po’ come chi tifa che il numero dei contagiati salga per poter dire “ecco bisognava tenere tutto chiuso”, o semplicemente per prendersela con qualcuno, ma questa è un’altra storia). Io alla certezza del peggio preferisco di gran lunga l'incertezza del meglio. È un periodo di precarietà, questo lo sappiamo, da febbraio tutti i programmi dell’anno o persino della vite intere sono andati a farsi benedire, ed è difficile accettarlo ed adattarsi, perché prima i ritmi erano ben scanditi, si programmava, si facevano progetti, mentre ora è tutto in standby, tutto in attesa. Ecco il motivo per cui molti preferirebbero così profondamente sapere che non ci siano più gare. Sarebbe una pessima certezza, ma pur sempre una certezza. Anch'io preferirei conoscere già cosa poter fare tra poche settimane e pochi mesi, ma non in questo caso. Attendo, e spero.
Intanto sempre più attività e sempre più sport stanno riprendendo, riprogrammando la stagione, con misure restrittive più o meno importanti, ma si riprende. Anche gare di corsa, anche in Italia. Ovviamente c’è ancora da lavorare per capire come saranno fatte, sperando che la situazione continui ad evolvere in meglio, ma intanto chi 3 mesi fa diceva che “fino al vaccino non si farà più nulla” (dando per scontato, a inizio pandemia, che si sarebbe trovato un vaccino, cosa che nemmeno i virologi fanno) rimarrà per fortuna deluso. Anche in questo caso si vorrebbero certezze su quali protocolli e quali misure sarà necessario avere, ma in una situazione in continua evoluzione credo sia normalissimo non sapere cosa potrà accadere tra due o tre mesi. Ci vogliono pazienza ed elasticità.
C’è anche chi non vorrebbe più sport perché è pericoloso (ma nessuno vorrebbe riprendere se il rischio fosse troppo alto, penso che lo si sia capito – e se vogliamo il rischio zero per qualsiasi cosa, allora stiamo a casa distesi a letto, ma anche questo è un altro discorso, persone ben più autorevoli di me spiegano bene come il rischio zero non esista), per rispetto per i morti (come se non ci fossero morti ovunque ogni giorno per tantissime tragedie che ci sfiorano più di quanto non pensiamo), per rispetto per i tempi (cioe?), per rispetto di chi non ha più lavoro (certo, perché invece cancellare eventi sportivi non fa perdere lavoro...). Ma va bè, ognuno ha le proprie ragioni e convinzioni, e anch’io ho le mie ogni tanto.
Come finire questo non-articolo che non aggiunge niente di nuovo? Non lo so. Forse aggiunge un poco di fiducia. Da un lato quasi mi disturberebbe vedere con un pettorale chi per oltre due mesi ha sbraitato sul fatto che non ci saranno più gare fino a chissà quando, ma dall’altro lato sarei ben contento che ciò possa avvenire. Pensando a me stesso, invece, sto bene anche senza competizione, sì, ma so che la prossima volta che mi attaccherò un numero sulla maglietta ci sarà un gusto speciale.