mercoledì 14 ottobre 2020

Meglio allenarsi dove si va già bene o dove si fa più fatica?

Per un trailrunner, è meglio allenare un terreno, una caratteristica, una particolarità dove già si va bene e ci si sente già a proprio agio? Oppure allenare dove si hanno più difficoltà? Bè, sia una che l’altra, ma bisognerebbe allenare di più dove si va peggio, soprattutto in funzione degli obiettivi. Se si subisce la camminata su salita molto ripida ma non si hanno in programma gare o percorsi su quel terreno ha poco senso dedicarci del tempo. Stesso discorso al contrario, se si ha in programma un percorso (o più percorsi o gare) su terreni ultratecnici con percorsi di montagna non è necessario dedicare troppo tempo alla corsa in piano, sebbene sia sempre da non tralasciare. C’è anche da considerare poi il fatto, per niente banale, che ci si allena dove si riesce. Se si ha in programma qualcosa di importante con salite molto lunghe e grandi dislivelli ma si vive in pianura, ecco, si fa di necessità virtù, non c’è troppa alternativa; si possono comunque adattare e integrare l’allenamento in piano con esercizi funzionali alla salita, quindi molto potenziamento ed eventualmente bicicletta. Oppure capita anche il contrario, che si vive in zone collinare o proprio di montagna e non si hanno a disposizione percorsi pianeggianti che potrebbero essere utili per i progetti che si hanno in mente. Una delle cose più difficili, ad esempio, è allenare la discesa. Chi vive in montagna, oltre ad avere una maggiore possibilità di sfruttare i dislivelli, ha anche una naturale predisposizione dovuta all’abitudine con certi sentieri e il tipo di sforzo muscolare, mentre per chi vive in pianura o in zone senza discese ripide e tecniche è ovviamente più complicato, se non impossibile, allenarsi sul terreno specifico, e al massimo può lavorare sulla muscolatura e sulla reattività dei piedi.

Insomma, il trail running è sempre uno sport parecchio complicato (ma anche semplicissimo) per via dell’enorme diversità dei sentieri, delle distanze e dei dislivelli delle gare e dei percorsi, oltre che delle condizioni meteo e mille altre variabili. E questo è il suo bello, non basta semplicemente correre. Meglio si è preparati per tutti i diversi tipi di sentieri che si incontreranno (salita ripida da camminare, salita facile da correre, scalini, discese ripide o scorrevoli, continui saliscendi o salite lunghe, lunghi rettilinei, e così via), meglio è. A fare a differenza è la capacità di adattarsi ai continui cambi di sforzo muscolare e di ritmo. Riuscire a combinare nel modo migliori i diversi stimoli allenanti, soprattutto concentrandosi sulle proprie carenze, può aiutare molto a sostenere egregiamente ogni diverso percorso.

Faccio qualche esempio sulla mia esperienza.

Quando ho iniziato a correre regolarmente trail e ultratrail non ero particolarmente bravo nel camminare in salita, anche se ero forse abbastanza predisposto per via della muscolatura e non la pativo così troppo. Però venendo dalla pianura e senza grossi trascorsi in montagna era di sicuro un gesto che mi richiedeva più fatica che la pura corsa. Così per diverso tempo, durante i miei inizi tra 2010 e 2011, mi sono concentrato ad abituarmi sempre di più alle ripide pendenze, sacrificando forse persino troppo la velocità in piano. Però col tempo affrontare salite lunghe dove camminare è stato sempre più facile, fino al punto che in gara delle volte non vedo l’ora di incontrare un tratto ripido dove poter camminare.

Altro esempio. Nel 2014 dovevo correre il Trofeo Kima. Avevo già affrontato quella gara nel 2012, ma ero piuttosto impedito nei tratti più tecnici, nonostante in discesa generalmente mi difendessi decentemente. Nei tratti attrezzati con catene ero lento, impacciato, insicuro, inoltre faticavo molto su tutte quelle pietraie e su salite così ripide a ritmi intensi ad alta quota. Nel 2014 già durante l’anno avevo corso molte gare più tecniche, con molte skyrace in alta quota. L’ultimo mese poi mi concentrai ancora di più sui tratti attrezzati, andando a cercare in allenamento dei percorsi con catene da affrontare su e giù per decine di minuti, sia per abituarmi all’esposizione che per migliorare la tecnica e non perdere troppo tempo a capire dove mettere mani e piedi. Addirittura un paio di volte mi ero allenato in casa su una scala allungabile legata al balcone di casa, facendo su e giù per decine di minuti e abituandomi a un minimo di esposizione (pochi metri, ma pur sempre qualcosa). In gara poi mi sentii tranquillamente a mio agio facendo una buona prestazione per le mie capacità, con solo una piccola crisi prima dell’ultima salita che mi fece perdere la possibilità di entrare nella top 20 che era sicuramente a portata.
Ma c’è stato anche l’esempio al contrario. Ad esempio nei miei primi anni nel mondo trail, tra 2010 e 2013 circa, come accennato mi concentravo solo ad accumulare dislivello trascurando quasi del tutto la corsa in piano. Così in ogni gara finivo nella condizione paradossale di soffrire proprio i tratti più corribili, nonostante vivessi in pianura!
Negli ultimi anni invece mi sono dedicato a migliorare la corsa in salita, cosa che fa la differenza specialmente in gare lunghissime. Credo che saper correre senza particolare dispendio energetico su molti tratti in salita dove normalmente, anche a buoni livelli, si cammina, sia stato uno dei motivi che più mi ha aiutato a raggiungere il risultato dell’UTMB nel 2018.
Solo col tempo, affinando gli allenamenti e stando più attento a certi particolari, sono riuscito a trovare spesso il modo migliore per prepararmi dove mi sento più carente prima di una specifica gara.

Insomma, spostare la propria comfort zone e migliorare nei terreni dove si va peggio non è facilissimo, ma è sicuramente un ottimo modo per divertirsi di più su tutti i percorsi.