Insomma, il trail running è sempre uno sport parecchio complicato (ma anche
semplicissimo) per via dell’enorme diversità dei sentieri, delle distanze e dei
dislivelli delle gare e dei percorsi, oltre che delle condizioni meteo e mille
altre variabili. E questo è il suo bello, non basta semplicemente correre. Meglio
si è preparati per tutti i diversi tipi di sentieri che si incontreranno
(salita ripida da camminare, salita facile da correre, scalini, discese ripide
o scorrevoli, continui saliscendi o salite lunghe, lunghi rettilinei, e così
via), meglio è. A fare a differenza è la capacità di adattarsi ai continui
cambi di sforzo muscolare e di ritmo. Riuscire a combinare nel modo migliori i
diversi stimoli allenanti, soprattutto concentrandosi sulle proprie carenze,
può aiutare molto a sostenere egregiamente ogni diverso percorso.
Faccio qualche esempio sulla mia esperienza.
Quando ho
iniziato a correre regolarmente trail e ultratrail non ero particolarmente
bravo nel camminare in salita, anche se ero forse abbastanza predisposto per
via della muscolatura e non la pativo così troppo. Però venendo dalla pianura e
senza grossi trascorsi in montagna era di sicuro un gesto che mi richiedeva più
fatica che la pura corsa. Così per diverso tempo, durante i miei inizi tra 2010
e 2011, mi sono concentrato ad abituarmi sempre di più alle ripide pendenze,
sacrificando forse persino troppo la velocità in piano. Però col tempo
affrontare salite lunghe dove camminare è stato sempre più facile, fino al punto
che in gara delle volte non vedo l’ora di incontrare un tratto ripido dove
poter camminare.
Altro esempio. Nel
2014 dovevo correre il Trofeo Kima. Avevo già affrontato quella gara nel 2012,
ma ero piuttosto impedito nei tratti più tecnici, nonostante in discesa
generalmente mi difendessi decentemente. Nei tratti attrezzati con catene ero
lento, impacciato, insicuro, inoltre faticavo molto su tutte quelle pietraie e
su salite così ripide a ritmi intensi ad alta quota. Nel 2014 già durante
l’anno avevo corso molte gare più tecniche, con molte skyrace in alta quota.
L’ultimo mese poi mi concentrai ancora di più sui tratti attrezzati, andando a
cercare in allenamento dei percorsi con catene da affrontare su e giù per
decine di minuti, sia per abituarmi all’esposizione che per migliorare la
tecnica e non perdere troppo tempo a capire dove mettere mani e piedi. Addirittura
un paio di volte mi ero allenato in casa su una scala allungabile legata al
balcone di casa, facendo su e giù per decine di minuti e abituandomi a un
minimo di esposizione (pochi metri, ma pur sempre qualcosa). In gara poi mi
sentii tranquillamente a mio agio facendo una buona prestazione per le mie
capacità, con solo una piccola crisi prima dell’ultima salita che mi fece
perdere la possibilità di entrare nella top 20 che era sicuramente a portata.
Ma c’è stato anche l’esempio al contrario. Ad esempio nei miei primi anni nel
mondo trail, tra 2010 e 2013 circa, come accennato mi concentravo solo ad
accumulare dislivello trascurando quasi del tutto la corsa in piano. Così in
ogni gara finivo nella condizione paradossale di soffrire proprio i tratti più
corribili, nonostante vivessi in pianura!
Negli ultimi anni invece mi sono dedicato a migliorare la corsa in salita, cosa
che fa la differenza specialmente in gare lunghissime. Credo che saper correre senza
particolare dispendio energetico su molti tratti in salita dove normalmente,
anche a buoni livelli, si cammina, sia stato uno dei motivi che più mi ha
aiutato a raggiungere il risultato dell’UTMB nel 2018.
Solo col tempo, affinando gli allenamenti e stando più attento a certi
particolari, sono riuscito a trovare spesso il modo migliore per prepararmi
dove mi sento più carente prima di una specifica gara.
Insomma, spostare la propria comfort zone e migliorare nei terreni dove si va peggio non è facilissimo, ma è
sicuramente un ottimo modo per divertirsi di più su tutti i percorsi.