mercoledì 29 dicembre 2021

Strava ha rovinato tutto? O no?

Arriva fine dicembre, e puntuali arrivano gli screenshot dei propri numeri di Strava a riassumere l’intero anno. Altrettanto puntuali arrivano i complimenti di amici/tifosi/conoscenti, oppure le lamentele di chi non approva/apprezza. Perché già, Strava ha rovinato tutto, secondo molti. Oppure è la più grande novità tecnologica dell’ultimo decennio per quanto riguarda lo sport outdoor, secondo altri.

Lamentarsi sui social è lo sport principale degli ultimi anni, tutti possono essere vincitori, basta ricevere qualche like o qualche commento di approvazione. Più difficile è guardare le cose da punti di vista diversi e più allargati.
Lo ammetto, qualche anno fa non mi piaceva molto Strava, ma almeno ho evitato di lamentarmene, semplicemente non lo usavo. Caricavo solo qualche gara, quando mi ricordavo e quando mi andava, e poco altro. Non seguivo nessuno in particolare. Poi però ho iniziato ad usarlo per vedere gli atleti che allenavo e alleno, oltre che qualche atleta di alto livello (nel trail o nel ciclismo) per curiosità. Dall’autunno 2020 ho iniziato a caricare regolarmente anche i miei allenamenti, almeno quelli outdoor, a piedi o in bici. Magari prima o poi metterò anche quelli indoor, ma sempre meglio tenersi qualche segreto per sé (ih ih).

Ci sono stati decenni in cui si sperava di trovare su riviste (prima) o su siti (poi) i diari o le tabelle di allenamento dei campioni, programmi dai quali prendere spunto, capire meglio i presunti “segreti” degli atleti più forti. Ora è diventato più semplice, basta seguirli su Strava, anche se non tutti caricano ogni singolo allenamento, e non ci sono nemmeno tutti sulla piattaforma. Trovo davvero interessante sbirciare e capire come alcuni atleti si allenano. E non parliamo per le persone che alleno io, posso scovarli molto meglio quando vanno troppo veloce nei “lenti” (la cosa più difficile in assoluto da fare passare a chi si allena, far capire che per andare più veloci bisogna allenarsi molto più tempo andando piano che andando veloce). E poi il vantaggio sui miei stessi allenamenti.
Sono sempre stato pigro e non ben organizzato. Diari di allenamento li ho sempre tenuti a periodi. Per mesi riuscivo a segnare tutto, poi per altri mesi non lo facevo. Così più o meno da quando ho iniziato a correre. Ma mi sono trovato con la comodità estrema di Strava, dove posso controllare i ritmi anche nei famosi “segmenti”, sia che si tratti di allenamenti intensi, che lenti, oppure di gare su percorsi già fatti più volte. Senza parlare poi della possibilità di scoprire sentieri nuovi.
Come ogni nuovo strumento, il segreto sta nello sfruttarne i vantaggi. Lasciamo perdere chi fa i record dei segmenti barando, andando in bici (su un segmento caricato a piedi) o in moto (su segmenti caricati in bici). Ci sono, ma pace al loro cervello. Questa cosa dei segmenti col record da creare o da battere delle volte può essere eccessiva, ma può anche essere positiva o motivante in altri casi. Qualcuno può trovare voglia di impegnarsi e divertirsi nel tentare di fare un tempo in un certo segmento, per competere coi propri amici o per confrontarsi coi top.
L’importante è prenderlo per ciò che è, un gioco.

Ci si può sempre lamentare di ogni novità, dei tempi che cambiano, della gente che ora corre “per il segmento su Strava” o “per mostrare i propri numeri a fine anno” e non per il semplice gesto della corsa e basta, di chi va più forte su Strava che in gara, di chi carica anche le passeggiate col cane per avere più km, di chi fa più ore di allenamento perché vede che gli altri si allenano più di lui. E se invece Strava avesse anche aiutato? Ci sono pro e contro, come ogni novità, come ogni cosa a cui non si era abituati. Come ogni cosa in generale. Ci sono sì i casi di chi si fa prendere dall’ansia nel vedere altri che su Strava caricano quantità enormi di dislivello, tempi fenomenali, finendo così per fare troppo per mettersi alla pari e sentirsi più preparati, o meno sminuiti. Ripeto che l’importante è prenderlo per ciò che è, un gioco, oltre che uno strumento che può aiutare. Tutto qua.
Una cosa negativa di Strava però oggettivamente c’è. Tanti si allenano troppo. E andate tutti troppo veloce.

giovedì 23 dicembre 2021

Bilanci e idee per il nuovo anno

Fine anno. Tempo di bilanci. No, aspetta, troppo banale. Rifaccio.

Fine anno. Punto. Più che fare un bilancio (negativo per i risultati nella seconda parte di anno, ma positivo se relativo a tutto il resto), mi piace capire dove sento di essere migliorato ancora, dove ho sbagliato negli allenamenti e nelle gare, e pensare a cosa eventualmente cambiare nell’anno nuovo.
Intanto, la pausa e la ripresa. Dopo la JFK, 2 settimane di riposo totale, necessarie nonostante altre settimane prese qua e là da settembre in poi. Successivamente 2 settimane con poche corse, molto brevi e molto lente, giusto per riprendere il movimento, puramente per stare bene. E infine la vera ripresa della preparazione per la nuova stagione, un mese dove inserire interval training, forza, aumentando leggermente i chilometri, ma molto poco, solo come base.

Cosa cambiare rispetto al 2021? Sotto il punto di vista dell’allenamento, più cross training in inverno, che lo scorso anno avevo quasi del tutto evitato e che mi aveva portato a qualche acciacco prima del primo importante appuntamento primaverile, la UROC. Quindi, nonostante non ami particolarmente il freddo e abbia tante scomodità, farò un po’ più di mountain bike. Aggiungerò anche qualche giro sullo stairmill, che avevo dovuto evitare a causa della mascherina obbligatoria in palestra, e spinning, che dopo averlo sfruttato parecchio durante il lockdown mi aveva nauseato un tantino. Esercizi di forza come sempre, forse qualcosa in più, forse qualcosa di diverso, senza esagerare, che le cose più utili sono spesso le più semplici.
Come nel 2020, e come gli anni precedenti, inserirò delle settimane di recupero totale durante l’anno, soprattutto dopo le gare più lunghe ed esigenti. Un po’ più di allenamenti combinati corsa+bici, come facevo qualche anno fa. Meno lunghissimi, molto pochi. Meno gare, soprattutto mai più gare back to back, ovvero in settimane consecutive. Quest’anno l’ho fatto in due periodi, a giugno, con 3 gare 50 km consecutive, pensate come allenanti, che invece erano state parecchio stancanti alla lunga, e tra settembre e ottobre, dove la permanenza in Italia, i tanti inviti ricevuti da parte di amici e la delusione post UTMB mi avevano fatto fare decisamente troppo, il tutto con una punta di sfiga abbastanza ragguardevole, che mi aveva causato un calo di forma e di motivazioni mica da ridere.
Probabilmente calerò anche il volume generale di allenamento, non solo con meno lunghi, ma anche con meno ore in generale in settimana. Fare di più può farmi guadagnare un 2% importante (percentuale inserita a caso), ma anche il rischio di stancarmi, farmi male, perdere motivazione se poi le cose vanno male. La vita ha anche altre priorità. Quel 2% non mi farebbe mai comunque diventare un fenomeno, meglio ricordarmi di tenere basse aspettative, per prendere tutto il buono di quello che viene. Meno stress da prestazione, che di solito me lo ricordo a inizio anno, ma che con l’andare del tempo spesso viene meno, soprattutto dopo imprevisti o gare andate male. Maledetta entropia.

Riassumendo:
+ cross training;
+ mountain bike in inverno e anche dopo;
+ combinati corsa+bici;
+ stairmill;
- gare ravvicinate;
- volume in generale;
- stress da prestazione.

venerdì 17 dicembre 2021

Come programmare l'anno di gare, più o meno

Nel finale di anno è sempre stimolante pensare alla nuova stagione. Si sognano un sacco di gare da voler fare, si fanno i conti coi sorteggi, con le lotterie, con le ferie, con la disponibilità economica, con la famiglia, e con mille altre cose. Nel programmare gare non va però tralasciata anche l’importanza di una struttura nell’allenamento e nella concatenazione delle varie distanze che abbia un certo senso, o si corre il rischio di fare troppo, o male, o entrambe le cose.

Di solito per prima cosa si cerca la gara clou, chiamiamolo obiettivo A, che per la maggior parte dei trail runners corrisponde alla gara più lunga, anche se c’è spesso (sempre) il problema di sorteggi e lotterie da attendere... Però intanto si può avere un’idea, e magari una o due alternative. A questo punto, andando a ritroso, si cercano altri obiettivi, chiamiamoli B, da sfruttare come allenamento, ma dove si può sempre arrivare in buona forma se tra una gara e l’altra c’è un buono spazio per recuperare e riprendere ad allenarsi. E poi eventuali obiettivi C, di solito gare più brevi, da usare come allenamento e che in genere si possono recuperare più velocemente. Tendenzialmente sarebbe meglio non farne ogni settimana, altrimenti più che allenanti queste gare faranno ristagnare la forma, anche se spesso è difficile resistere alla tentazione. Si potrebbe sì inserire un periodo di gare brevi fatte consecutivamente, però seguito da un adeguato periodo di recupero prima di riprepararsi per gli obiettivi (o l’obiettivo) futuro.

Ma quanto tempo ci vorrebbe per preparare l’obiettivo A? Eh, dipende, come più o meno ogni cosa della vita, date le infinite combinazioni. Di certo allenarsi per 8 o 10 mesi senza pause per una sola gara rischia di affaticare troppo, a meno che ogni tot mesi non si prendano delle pause rigeneranti, lunghe una o due settimane, dove fare davvero poco e ricaricare completamente le energie. Ad esempio, inserire una gara B ogni due mesi può dare il tempo di recuperare e poi riprendere, incrementando di volta in volta l’allenamento, con un corpo via via più adattato alle distanze. Di solito aumentare la distanza ad ogni gara può essere d’aiuto, se in mezzo si inseriscono periodi di recupero.

In ogni caso l’ideale sarebbe fare dei periodi di allenamento intenso per non più di 3 o 5 mesi, massimo 6, con in mezzo gare B, o anche C, certo. In caso di una lunga preparazione di mesi e mesi, se dopo la gara A rimangono ancora energie (e se non si tratta di una distanza lunghissima che facciamo per la prima volta e che ci prosciuga), si può attaccare una coda più o meno lunga di altre settimane (fino a due mesi, al massimo) dove fare distanze minori o gare senza grossi obiettivi, per puro divertimento (che poi in realtà dovrebbe esserci sempre, il divertimento).

Insomma, sì, alla fine è un casino. I punti fondamentali rimangono però questi:
- porsi un obiettivo A;
- avere obiettivi B, ma che siano con una distanza decente di tempo, almeno 3 settimane una dall’altra, meglio se 4 o 5;
- aggiungere obiettivi C, ma senza esagerare, e su distanze accessibili per non prosciugarsi;
- lasciarsi i giusti tempi di recupero, sia che si corrano poche gare, che molte;
- nel caso di doppio obiettivo A (o triplo, o quadruplo, e così via all’infinito, cosa non rara…), meglio averli a distanza di 4 o 5 mesi. Anche 3 mesi possono andare bene, 2 sono un po’ tirati (nulla toglie che ci sia chi riesce a farne in settimane consecutive, meglio non prenderli in considerazione però – ma se guadiamo ai top, quanti riescono ad esempio a finire LUT e UTMB benissimo nello stesso anno?). Ma in effetti, se si punta a finire certe gare in condizioni buone e senza ambizioni di classifica, si può fare più o meno tutto.
- difficile pensare di essere attivi e in forma per 52 settimane all’anno (anche se c’è chi lo fa, certo, e magari pure bene), quindi normalmente si dovrebbe anche pensare di avere periodi di riposo anche durante la stagione più bella.

Ok, alla fine non è che si sia capito molto. La realtà è appunto che tutto dipende da ogni singolo caso, dall’obiettivo che si ha, dalla storia sportiva, da quanto ancora si vuole correre in futuro, da quel è la personale visione delle gare. E dai sorteggi. Dai maledetti sorteggi.

martedì 7 dicembre 2021

Ultranormale

Un anno fa, a fine novembre, mi capitarono due esperienze negative nell’arco di una settimana: l’errore di percorso alla JFK 50 mile dopo pochi km, con decine di minuti persi, sconforto totale e seguente ritiro al primo punto disponibile per fermarmi; il tentativo di record sul tratto di Appalachian Trail in Maryland, detenuto da John Kelly, interrotto a 6 km più o meno dalla fine, dopo una serie di incomprensioni per l’assistenza e altre sfighe. Era già stato un anno pessimo, con l’arrivo della pandemia, le gare saltate, l’impossibilità di tornare in Italia e godermi un minimo di montagna, ma anche semplicemente di muovermi al di fuori del Maryland. Qualche gara ero riuscito a farla, e anche a vincerla, sebbene fossero fatte con restrizioni di diverso tipo, partenze a cronometro, gruppetti, altre gare erano saltate all’ultimo momento, e non sempre a causa covid. Però ero riuscito ad allenarmi – divertendomi – in modo costante per tre mesi per la JFK, una delle pochissime gare di una certa importanza che si sono riuscite a correre negli USA nel 2020, e che infatti proprio per questo aveva attirato tanti tra i migliori ultramaratoneti americani.

E poi è andata come andata. E aldilà del ritiro, anche qualche commento poco simpatico sui social, teso a minimizzare la mia delusione, aveva contribuito ad aumentare il mio sconforto. Avevo poi trovato una possibile nuova occasione, iscrivendomi alla Bandera 100 k, gara in Texas a gennaio, ma un pesante malessere a dicembre mi aveva fatto saltare pure quella.
Già tra marzo e aprile avevo iniziato a scrivere un po’ di cose, con la vaga idea di pubblicarle poi sotto forma di libro, ma erano forse eccessivamente deprimenti. Anche in estate ero andato avanti a scrivere, raccontando aneddoti sulle mie tante gare corse, oppure facendo considerazioni generali sul mondo del trail e non solo. C’erano anche delle risposte a molti detrattori delle gare ultra, spesso fatte da parte di chi conosce davvero poco - o nulla completamente – l’ambiente e le persone che corrono in questi eventi, probabilmente mal suggeriti dalla retorica della resistenza a tutti i costi che viene spesso raccontata su media e social, e sì, a volte anche dagli atleti stessi.
Durante l’inverno così ho pensato di riprendere in mano quello che avevo scritto lungo l’arco dei mesi precedenti, ammorbidendo il testo (ma non troppo, ho volutamente mantenuto dei toni forti in alcune parti – quantomeno per come sono conosciuto io di solito, eppure mi sono trattenuto molto), completando le parti mancanti, arricchendo con aggiunte e formando una struttura particolare al racconto. Chissà, rileggendolo ora forse mi pentirei di alcune cose scritte, ma credo di avere sempre questo problema, penso che sarei in grado di vergognarmi anche di cose scritte due settimane fa, perché in effetti tutto ciò che ho prodotto o che produco è migliorabile, e penso sempre che avrei potuto fare molto meglio, che ho inserito elementi trascurabili e non ho detto altri concetti molto importanti. Però non me ne pento, no di certo.
È stato catartico scrivere quello che poi è diventato “Ultranormale”. Mi ha riconnesso coi motivi per cui corro (sempre che ci siano dei motivi chiari) e per cui mi piace l’ultratrail. Almeno credo. Poi infatti quest’anno mi sono divertito per gran parte del tempo, fino a quando la stanchezza generale mi ha fatto perdere un po’ la rotta. Cosa che mi succede più o meno ciclicamente, e che no, non è legata ai risultati.
Ora credo di essere in una fase simile a quella dello scorso anno. Ma non scrivo un altro libro, vi risparmio.

(Qua per acquistarlo)
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