giovedì 28 ottobre 2021

E se recuperare facendo un po' di dislivello fosse meglio che in pianura?

Dopo un allenamento particolarmente intenso, come delle ripetute a soglia o dell’interval training, è bene far seguire un giorno con una seduta blanda di recupero, per dare modo al fisico appunto di recuperare, ma in modo attivo. D’altronde si sa che il movimento a bassa intensità velocizza i tempi di recupero, favorendo la supercompensazione, e quindi il miglioramento. C’è chi non si allena praticamente mai per due giorni consecutivi, e in tal caso sarà sufficiente lasciar passere uno o due giorni di riposo prima del successivo allenamento (che se intenso, deve dare stimoli fisici diversi, chiaro).

È quindi norma abbastanza consolidata il far eseguire nel giorno post ripetute una corsa lenta, indicativamente tra i 30 e i 60’, a seconda del livello dell’atleta e del periodo. Eppure, non mi capita raramente di fare, e far svolgere – spesso con risultati migliori – un allenamento sì lento, ma collinare, se possibile su percorso propriamente trail, anche con brevi salite ripide dove camminare molto tranquillamente.

Perché questo? Se sono state fatte delle variazioni veloci su asfalto, o pista, o comunque su terreno pianeggiante, effettuare il giorno successivo un’altra seduta ancora in piano rischia di non far recuperare al meglio muscoli e articolazioni, specialmente se si parla di trailrunners non particolarmente abituati a correre – e veloce – su percorsi pianeggianti a causa della ripetitività del gesto atletico. Ecco perché inserire dei piccoli dislivelli, dove il passo cambia ampiezza e frequenza, dove il piede appoggia in modi diversi, può essere molto utile. Il leggero impegno muscolare supplementare di salite e discese può inoltre contribuire ad aumentare maggiormente l’afflusso di sangue alle gambe e di conseguenza velocizzare ulteriormente il recupero. Anche il non dover badare al ritmo, che altrimenti sarebbe probabilmente troppo intenso (un errore classico) può dare un aiuto psicologico nella sensazione di recuperare meglio. La camminata in salita, spesso trascurata nelle uscite, può essere davvero utile in questo tipo di allenamenti, anche se affrontata solo per brevi tratti, e anzi, può persino diventare allenante anche a ritmi molto blandi, cercando la maggior scioltezza possibile durante il gesto e migliorando la sua economicità.

Mi capita anche di fare (o far fare) allenamenti intensi di camminata in salita dopo sedute intense in piano, ma raramente e solo in particolari periodi, soprattutto poche settimane prima di una gara, per lavorare sulla forza specifica in condizioni di pre stanchezza.

Insomma, non credo possa essere niente di rivoluzionario, forse ho scoperto l’acqua caldo, o nemmeno quella, ma la trovo una soluzione molto utile per migliorare i nostri allenamenti e godersi meglio i sentieri.

lunedì 25 ottobre 2021

C'è riposo e "riposo"

Arrivati a fine ottobre, dopo mesi con gare finalmente tornate pressoché alla situazione pre pandemia (con alcuni accorgimenti), per alcuni è tempo di pensare alla prossima stagione, per altri di riposare, stanchi da allenamenti e gare. Ma meglio un riposo assoluto o un riposo attivo? O entrambi? Come più o meno per ogni cosa, la mia risposta è “dipende”. E da cosa dipende? Da un sacco di fattori, ovvio.

Intanto, io ad esempio faccio una settimana di riposo quasi totale due o tre volte durante l’anno, talvolta di più, dopo gli appuntamenti principali, giorni nei quali faccio al massimo qualche blanda pedalata, giusto per non stare del tutto fermo, visto che ingrasso subito (non scherzo) potendomi concentrare così su altre cose. A fine stagione, però, soprattutto se mi sento davvero stanco, faccio più settimane di riposo, inizialmente totale per qualche giorno, poi con qualcosa di alternativo, anche per un mese o più. In questo periodo non faccio allenamenti specifici, ma cerco di inserire ugualmente cose particolari e stimolanti, facendo però attenzione. Ad esempio a fine 2020 avevo inserito qualche sprint e pliometria, che non sono però stati utili, anzi, mi hanno fatto venire un dolore al bacino che mi ha infastidito per un mese almeno, forse proprio perché non avevo una buona base. Era un esperimento, non andato a buon fine, utile quindi per capire di non fare certe cose.

E alle persone che alleno, o in generale chi mi chiede, cosa consiglio? Dipende, appunto. Chi arriva stanco a fine anno fa benissimo a prendersi un periodo di stacco, l’importante è che questo non sia uno stop completo lungo mesi, altrimenti poi diventa difficile riprendere. Uno stacco totale da ogni attività fisica può durare due settimane, al limite anche un mese, ma oltre significa dover faticare enormemente di più per tornare in buona forma, col rischio di avere scarsa motivazione e quindi avere ancora maggiori difficoltà, in un circolo vizioso. L’ideale sarebbe che dopo un breve periodo di riposo totale si riprenda con settimane di allenamenti blandi, o anche semplici camminate, magari con attività alternative se si ha l’occasione. Il classico periodo di transizione, insomma.

C’è però anche chi ha sempre bisogno di fare attività fisica, anche poco, ma ogni giorno, o quasi. Farlo non significa di certo soffrire di “vigoressia”, può semplicemente voler dire avere la necessità di avere quotidianamente una piccola valvola di sfogo dallo stress. Anche solo mezzora di corsa, una camminata, una blanda pedalata indoor, yoga, semplici esercizi in casa, va tutto benissimo, l’importante è comunque prendersi delle settimane senza allenamenti intensi o impegnativi.
Questo però vale per chi corre costantemente durante tutto l’anno e arriva in autunno stanco, perché c’è anche chi corre abitualmente senza strafare, magari solo due volte durante la settimana più una nel weekend, e allora in quel caso, se non si è stanchi e non si hanno particolari ambizioni, non serve nemmeno prendersi un periodo di pausa. Basta solo fare il minimo per tenersi attivi, che più o meno già corrisponde a quello che si fa per buona parte dell’anno.

Insomma, alla fine tutto torna sempre lì, ognuno è diverso, ha esigenze e abitudini diverse, basta solo riuscire a trovare la cosa giusta per sé.

venerdì 22 ottobre 2021

Piccolo elogio a Ludovic Pommeret

Foto ©Géraldine Blandin

Non mi espongo quasi mai su un singolo atleta, ma lasciatemi un attimo parlare di Ludovic Pommeret. E lasciatemi essere schietto: a differenza di molti italiani, non provo particolare antipatia per i francesi, anzi, credo che sotto tantissimi aspetti siano stati decisamente avanti rispetto a noi vicini di casa (parlando di eventi endurance, sono loro ad aver inventato Tour de France, Paris-Dakar, UTMB, Marathons de Sables e un sacco di altri eventi simili), infatti mi chiedo se l’antipatia che proviamo non sia una forma di invidia… ma non voglio parlare di questo, sto già divagando.

Bé, ho potuto conoscere Ludovic, anche se senza parlarci per più di due frasi, data la riservatezza di entrambi, dopo la Diagonale des Fous del 2014, quando arrivai 7°, mentre lui arrivò 2°, più qualche veloce saluto in poche altre occasioni. Sicuramente è meno personaggio di altri, probabilmente è meno “dominatore” rispetto a plurivittoriosi da gare importanti (penso a D’Haene, ma ancora di più a Thevenard, non troppo diverso da Pommeret come carattere, probabilmente, davvero poco espansivo, ma molto più conosciuto e considerato dopo i suoi tanti successi), ma credo ugualmente sia il più sottovalutato in senso assoluto nel mondo trail, almeno in Italia, sebbene sia tra i più costanti e longevi.

Eppure ha vinto un UTMB, nel 2015, in una delle edizioni più folli, con continui cambi di classifica, ma forse la mancanza di uno dei classici dominatori ha fatto un po’ passare in secondo piano questo risultato. Quest’anno è arrivato 4° a Chamonix, il più anziano (46 anni) ad arrivare nei primi 5 dal 2009. È arrivato 3 volte secondo alla Diagonale des Fous, la prima volta nel 2009 (a testimonianza della longevità, non solo anagrafica). Ha vinto una gran quantità di classiche francesi con livelli tra i più alti al mondo, e dove non ha vinto, si è piazzato, con una costanza con pochi eguali (a partire da TDS e CCC, fino alle forse da noi meno considerate Maxi Race, SaintéLyon, Templiers, Ventoux, ma per nulla meno competitive).

Forse uno dei motivi per cui è poco “famoso” di quanto meriterebbe nel mondo e in Italia è proprio il fatto di non aver corso tantissime gare all’estero, soprattutto quelle che noi conosciamo di più. Un 2° posto alla Transvulcania nel 2017, ma nessuna partecipazione a classiche molto apprezzate da noi, come Trangrancanaria, Madeira, Lavaredo, Eiger, o altre ancora che ora non elenco, e nessuna gara americana.

Ma sapete la cosa che più apprezzo di lui e della sua carriera? Mi piace il suo passare da gare lunghissime come UTMB e Diagonale des Fous, ad altre più brevi, o meglio, forse il contrario, visto che gare oltre i 100 km ne ha fatte poche in confronto a distanze minori. Un esempio della sua costanza sono i piazzamenti nei mondiali trail, non importa su quale distanza. 7° nel 2019 su un percorso velocissimo di 44 km, dove molte nazionali si sono presentate con atleti provenienti dalla corsa in montagna, 6° sui 50 km del Trail Sacred Forest sugli Appennini due anni prima, ma anche i piazzamenti (5°, 5° e 6°) sulle più lunghe distanze oltre gli 80 km dei mondiali 2015, ‘16 e ‘18. Una costanza rara. Il tutto con pochissimi ritiri: a memoria - e con quello che ho visto cercando online - solo uno ad UTMB e Diagonale, ritiri ben compensati da altri grandi risultati nelle stesse gare, direi.

In inverno non disprezza gare brevi sulla neve (più volte, negli anni passati, l’ho visto vincente nelle gare poco oltre il confine alle quali partecipavo durante i mesi freddi), oltre allo scialpinismo, dove se la cava mica male, pur non essendo nel giro della nazionale, tanto da arrivare 5 volte nei primi 20 alla Pierra Menta, una delle più importanti gare sulla neve, una sorta di Tour de France della specialità.

Adoro gli atleti polivalenti che sanno destreggiarsi su distanze diverse, percorsi diversi, e anche sport diversi. Come tanti atleti più seguiti e famosi vengono giustamente esaltati per queste loro qualità (soprattutto se si tratta di americani), trovo che anche lui debba ricevere il giusto merito (anche se francese).

Concludo, per aggiungere che sono felicissimo anche per Daniel Jung, non vorrei sembrasse il contrario, ragazzo super in gamba, con gamba super, primo italiano a vincere la Diagonale des Fous. Ero sicuro prima o poi avrebbe vinto una grande gara, e sono convinto sia solo la prima.

mercoledì 20 ottobre 2021

Come ho finito bene la UTLO avendo una scarsa forma - Seconda parte

- seconda parte -

Ed eccomi a Omegna per la partenza. I giorni precedenti cerco di evitare di mangiare troppo. Questo è stato spesso un problema per me in gara, e forse un problema non solo mio. Problemi gastrointestinali sono la prima causa di ritiro negli ultratrail. Possono venire a causa del ritmo, degli sbalzi termici, delle difficoltà di mangiare bene lontano da casa, delle difficoltà di ingurgitare un gran numero di calorie sotto sforzo, ma anche (spesso) a causa di un eccesso di alimentazione prima della gara. In effetti, perché in gare più brevi a ritmi più intensi è più difficile avere questi problemi, mentre nelle ultra certi problemi vengono con tempistiche persino più veloci rispetto alla distanza di gare brevi? Mi è capitato spesso di aver esagerato coi pasti prima di un ultratrail, nonostante sappia benissimo - e sia io stesso sempre il primo a dirlo - che non serve mangiare troppo, le scorte si riempiono abbastanza facilmente. Ma vai a capire come funziona la testa con il cibo… Che all’UTMB abbia semplicemente mangiato troppo prima della partenza? Può essere, può essere, chissà…

Insomma, essendo la partenza per i 100 km della UTLO il sabato mattino alla 5, quando si dovrebbe cenare il venerdì sera? Il più presto possibile. Eppure, tra l’arrivo a Omegna, il ritiro pettorale, la presentazione del mio libro “Ultranormale”, l’incontro con tutto il Team Vibram, andiamo a cena non particolarmente presto, con ristorante strapieno e dove ci viene detto che la cosa più veloce da preparare è la pizza. Ok, sono affamato, leggero, una pizza non farà nulla, e poi tanto non ho intenzione di osare in gara. E così, nonostante la pizza sia finita nel mio stomaco ben oltre le 21, vado a dormire senza alcuna difficoltà digestiva, e anche il mattino non mi sento per nulla appesantito. Ottimo segno. Infatti anche in gara non ho mai avuto alcun problema a stomaco o intestino, solo una normale breve sosta fisiologica. Sì, ma ciò non significa che ora mangerò sempre una pizza solo 8 ore prima della partenza...
In genere non ho mai bisogno di fare enormi allenamenti lunghi, però di sicuro qualcosa mi manca. Non avendo fatto grandi distanze negli ultimi 2 mesi, ho comunque potuto sfruttare un minimo della rendita dei mesi estivi, dove di km e dislivello ne avevo fatti. Mettiamo però i chili in più, la mancanza di allenamenti o gare a ritmi mediamente intensi (sì, ne ho fatte di gare ultimamente, ma facendo forte solo le poche decine di minuti iniziali, prima delle varie vicissitudini, ma la tenuta che un trail di oltre 10 ore richiede per fare risultato è molto maggiore rispetto quello da agosto in poi), scarsità di dislivelli, non potevo osare rischiando di saltare in aria per l’ennesima volta.
E così parto lasciando andare chi ne ha più di me. Non sono al meglio e salendo al Mottarone i polpacci sono subito duri. Nel lungo successivo tratto corribile in discesa e in pianura tutti vanno davvero forte, ma io voglio e devo conservare energie. Recupero un po’ prima di metà gara, pensando magari di poter rimontare ancora nella seconda parte, però è dura, non ho proprio ritmi e tenuta. La muscolatura non mi dà problemi alle gambe in discesa come invece temevo, anche se non posso spingere. In salita quando provo a osare, sento abbastanza velocemente le energie diminuire. Se normalmente su questa distanza posso andare al 70-75% della mia massima velocità aerobica, e in forma top magari anche di più, questa volta devo andare al 60-65% (bè, numeri a grandi linee), oppure salto. Riesco ad alimentarmi però sempre in modo ottimale, come avevo previsto. Purtroppo ho sbagliato leggermente i calcoli, così arrivo a Boleto, 80 km circa, dopo una bella (o brutta) crisi di fame, non avendo più nulla con me.
Nel finale provo a recuperare ancora un po’, anche se ormai niente può schiodarmi dal 10° posto. Ma va bene così, per tutta la gara mi sono dovuto gestire senza poter forzare, eppure senza nemmeno passeggiare. Nell’ultimo km sul lungolago sento di stare davvero bene, così, pensando anche alla JFK, provo a vedere fin dove posso spingere, e i 4’10” al km dopo 12 ore di gara mi confermano che non sto poi così da schifo.
Se prendo questo finale come l’inizio di una forma che ritorna e non come il termine di una forma che ormai è andata, per quelle 50 miglia americane che mi aspettano c’è un buon margine di crescita…

martedì 19 ottobre 2021

Come ho finito bene la UTLO avendo una scarsa forma - Prima parte

Portare a termine i 100 km con 5000 e passa metri positivi della UTLO è stata una mezza impresa, considerando le ultime settimane di pessima forma e scarsa motivazione. Come ci sono riuscito? Un passo indietro per parlare delle difficoltà a partire dall’UTMB.

Chamonix, UTMB. Dolore tra flessori della coscia e ginocchio posteriore dopo pochi minuti dalla partenza. Problemi gastrointestinali sempre maggiori dopo pochi km, ma con avvisaglie già appena prima di partire. Corso comunque decentemente per 6 ore, camminato per altrettante ore fino a Courmayeur per ritirarmi. Tornato a casa ancora problemi di stomaco per un paio di giorni.
Settimana di riposo assoluto, massaggi, stretching, flessori meglio, anche se presente strana infiammazione al semitendinoso ancora per qualche giorno (a causa di posizioni da semi seduto, sospetto: causa anche del problema all’UTMB? Chissà…).
Ripresa con qualche allenamento intenso per ridare “giri al motore”, ma senza esagerare. 11 settembre, Via delle Giulie Trail, 37 km, ritirato dopo 20 km a causa di una caduta dopo una decina di km in discesa. Bene in partenza, mancanza di tenuta al ritmo sulla prima salita, poi la caduta con scivolata per una ventina di metri. Abrasioni e contusioni. Diverse notti con difficoltà a dormire e senza poter allenarmi. Ripresa con poche e blande uscite per qualche giorno, un paio di giri trail senza forzare.
18 settembre, Ultra Trail Lago Maggiore, 40 km. Partenza con forma pessima, decido di prendere il mio ritmo senza forzare. Errore di percorso nella prima discesa con più di 10’ persi, rientrato nel mezzo del gruppo, finisco la gara senza spingere.
Avrei poi dovuto correre l’Adamello Ultra Trail, 90 km, ma la forma era sempre pessima. Inoltre avevo ancora dolore a mano, polso e gomito post caduta, usare i bastoni per più di 10 ore sarebbe stato davvero difficile. Opto per fare il ben più corto e intenso Vertikal Sass de Fer a Laveno Mombello. Vado meno peggio di quanto pensassi, ma mi manca qualcosa.
A quel punto sarei dovuto tornare negli Stati Uniti e concentrare gli allenamenti sulla JFK 50 miles, ma per problemi burocratici ho dovuto spostare il volo. Torno ugualmente ad allenarmi un po’ di più in piano, ma ancora col contagocce. Partecipo all’Orsa Pravello Trail il 3 ottobre, 30 km con 2000 m+, ma la forma non c’è, letteralmente esplodo nemmeno finita la prima salita, provo a riprendermi in discesa, ma gambe e testa non ci sono. La finisco per onor di firma con parecchia fatica fisica, sperando di potermi riprendere nei giorni successivi.
Mi alleno ancora senza esagerare e un weekend senza gare mi fa rigenerare mentalmente. Tutto questo mese con diversi giorni di riposo, chilometraggi bassi, mancanza di motivazioni, serate di birre con gli amici mi fanno guadagnare 3-4 kg rispetto al peso pre UTMB. Approfitto comunque dell’occasione di essere rimasto in Italia per partecipare alla UTLO. Nonostante la scarsa forma punto alla 100 km. So che il risultato è difficile, ma almeno posso recuperare un ticket per la lotteria per la Western States (che altrimenti avrei dovuto saltare). Per la JFK ci penseremo dopo.

(fine prima parte)

venerdì 1 ottobre 2021

Il rimpianto della Transvulcania

Guardando le immagini del vulcano di La Palma è impossibile rimanere indifferenti, soprattutto per chi come me ci ha corso uno dei trail più suggestivi e belli degli ultimi anni, la Transvulcania. È proprio l’attività vulcanica ad aver creato il fascino e la bellezza dell’isola, e quindi anche della gara. Detto questo, ammetto che dopo averci corso in due edizioni, sogno da anni di poterci tornare, meglio allenato, meglio preparato, più consapevole. Chissà se succederà prima o poi. Dubito, ma lo spero.

Il desiderio di tornarci è spinto dal non aver fatto il mio meglio nelle due partecipazioni. Nel 2013 arrivavo da un inverno complicato a causa di una frattura da stress alla tibia, tanti (troppi) allenamenti in bici, forma scarsa, qualche fastidio durante le discese più difficili, gambe non ancora ben riadattate ai dislivelli sui sentieri. Nel 2014 ero sicuramente più pronto, ma feci un erroraccio. Torniamoci.

Durante l’inverno tra fine 2013 e inizio 2014 mi ero concentrato solo su gare brevi e intense, volevo migliorare il più possibile la mia velocità di base (per natura non altissima), tenermi tutta la voglia di lunghe distanze dalla primavera in poi, visto un calendario parecchio impegnativo con tanti eventi internazionali di alto livello. Quindi tra novembre e marzo feci decine e decine di gare, tra campestri, ciaspolate, corse sulla neve, serali su strada, un paio di mezze maratone, concludendo con un personale sulla maratona. Da lì ripresi sui sentieri. Un paio di gare (Maremontana non ancora bene allenato e una vittoria alla Maratona Alpina di Val della Torre), allenamenti più specifici, ma senza esagerare coi volumi. Vista l’esperienza dell’anno precedente a La Palma, dove patii tantissimo i 2400 metri di discesa continua da Roque de los Muchachos fino all’oceano nel finale della corsa, e con gran caldo, mi allenai appunto soprattutto per la discesa. Per la velocità e la forza muscolare ero già discretamente pronto. Almeno fino alla settimana pre gara mi sentivo pronto. Poi però…

Per godermi l’isola e per migliorare il mio adattamento al clima decisi di fare lì tutta l’intera settimana prima della gara. Pensai fosse una buona idea provare alcuni pezzi di percorso. Non volevo esagerare, ma mi feci prendere la mano. Il lunedì e il martedì feci due allenamenti di circa 3 ore ciascuno. Ero andato tranquillo, ma 3 ore si sentivano. Dal mercoledì al venerdì limitarmi ad una blanda mezzoretta sciogli gambe non fu ovviamente sufficiente. Alla partenza del sabato sentivo ancora le gambe pesanti e poco reattive. La partenza a tutta nella prima salita fu decisamente dura. In classifica ero parecchio indietro, ma la forma non era andata via, dovevo solo tenere duro e aspettare che le gambe si sbloccassero un po’. Così iniziai via via a rimontare. Anche senza mai riuscire a trovare brillantezza nella corsa, continuavo a recuperare. In cima al termine della lunga cresta (per chi non lo sapesse, la gara misurava 73 km con 4400 m+: la parte in cresta coi maggiori dislivelli terminava dopo circa 50 km, prima della lunghissima discesa, al termine del quale partiva l’ultima salita di 6 km circa verso l’arrivo) ero intorno al 40° posto. L’unica cosa vantaggiosa di quei lunghi allenamenti dei giorni precedenti fu che le mie fibre muscolari si erano ben adattate alle discese, così in quei 2400 metri di picchiata verso l’oceano riuscii a recuperare ancora, grazie anche agli allenamenti specifici fatti nei mesi precedenti. Nel finale ero stanco, ma guadagnai una posizione decente, 31° assoluto, 29° uomo (mi arrivarono davanti due donne) in 8h28’ in una delle edizioni più competitive, arrivando davanti ad un certo David Laney, con un tempo migliore di quello che avrebbero fatto l’anno successivo due giovani volti spagnoli, Manuel Merillas e Pau Capell (anche se il paragone dei tempi in anni diversa lascia sempre il tempo che trova). Senza quei due allenamenti così lunghi avrei molto probabilmente avuto una gamba più fresca e probabilmente mi sarei giocato una posizione migliore, magari vicino alle 8 ore.

Erano anni in cui ero fissato col dislivello, ma questo mi faceva perdere contatto da altri fattori altrettanto utili, se non di più, come ad esempio proprio la freschezza pre gara. Errore dopo errore sono riuscito a migliorare sempre di più l’allenamento, anche se la perfezione non esiste ed errori se ne commettono sempre. Soprattutto col senno di poi.