martedì 12 aprile 2022

A che velocità è meglio camminare in salita anziché correre

Per molti spesso è difficile capire fino a che punto correre in salita e quando è meglio camminare. Soprattutto in allenamento, magari su percorsi collinare con brevi ripide rampe, in molti tendono a voler correre sempre, rischiando però di affaticarsi prima del tempo, o di fare dei tratti “fuorigiri” all’interno di una seduta che dovrebbe essere di recupero, o di base aerobica. E questo succede anche in gara, dove soprattutto nelle prime salita si tende a forzare più del dovuto (ma in questo caso è più complessa la situazione, vista la “spinta” ricevuta dal gruppo, il rischio di rimanere bloccati in coda nei single track, eccetera).

Ma a che punto è conveniente camminare anziché correre? Premesso che ognuno è diverso, che molto dipende dal terreno, dal percorso, dalla lunghezza dell’allenamento o della gara, dal grado di allenamento, dalla stanchezza fisica e muscolare, dalle proprie caratteristiche fisiche e da mille altre cose, tendenzialmente la transizione tra camminata e corsa avviene intorno ai 7-8 km/h in pianura, e a velocità un po’ più basse su salite pendenti.

È molto relativo il livello atletico, perché intorno a queste velocità è meglio camminare per chiunque. Uno skyrunner di livello mondiale si troverà a camminare solo su pendenze estreme, proprio quando la sua velocità diventerà inferiore a 6 o 7 km/h. Una persona con abilità fisiche più basse può camminare anche a pendenze molto lievi, soprattutto se è una gara molto lunga (non parliamo di ultra oltre le 15-20 ore, dove da un certo punto in poi si può camminare spesso anche in pianura).

7 km/h corrisponde a circa 8’30”/km, mentre 6 km/h corrisponde a 10’/km, giusto per conoscenza. Ciò non vuol dire che bisogna continuare a guardare la velocità sull’orologio e regolarsi con esso. La cosa importante è conoscersi, riuscire a comprendere quando è meglio camminare, e avere il coraggio di tirare il freno quando la propria percezione dello sforzo è troppo alta rispetto a quello richiesto dall’allenamento o dalla lunghezza della gara. Non si migliora spingendo sempre, ma facendolo con una certa cognizione solo quando serve davvero.

giovedì 31 marzo 2022

Come sono andati alla "Behind the Rocks" li atleti che ho allenato per My Road To Ultra

Nello scorso weekend alla “Behind the Rocks” a Moab, Utah, non ho corso solo io, ma hanno corso anche gli atleti americani allenati da me per il progetto “My Road To Ultra”, creato insieme a Vibram. Ed è stato un successo.

Cos’era questo progetto? Era un’idea che bazzicava da tempo, ma che a causa della pandemia era stata ovviamente messa in pausa. Una volta avviata da parte di Vibram la ricerca di atleti americani da seguire e sponsorizzare, si è potuto realizzare in parallelo questo progetto, cercando dei giovani per portarli a correre il loro primo ultratrail, allenati da me e supportati da Vibram grazie a Laurel, la Sport Marketing Manager americana.

Non è stato facile promuovere l’application, io negli Stati Uniti sono praticamente uno sconosciuto, ma le adesioni sono state comunque buone, pur senza arrivare a numeri esagerati e senza attrare i più giovani sui quali si puntava (i più talentuosi o sono già sponsorizzati, o sono al college, o finito il college non hanno tempo e voglia di correre ultra una volta entrati nel mondo del lavoro). La scelta è stata ugualmente non facile, erano tanti i profili interessanti, le storie e le persone che avrebbero meritato di essere selezionati e seguiti, anche perché era importante trovare un certo equilibrio tra uomini e donne e tra i diversi stati americani.

Alla fine i nomi sono usciti tra persone tra i 26 e 35 anni, 3 donne e 3 uomini, distribuiti tra 6 stati abbastanza diversi tra di loro, California, Washington, Wyoming, Idaho, West Virginia, Virginia. Sarebbe stato bello qualcuno del sud, ma in effetti da quelle parti ci sono pochi trail runners. Non vi dico quanti erano gli applicants dal Colorado, per esempio…

L’allenamento è durato 4 mesi, ed è stato complicatino. L’inverno è stato molto rigido, e proprio il fatto che molti di loro vivessero in luoghi particolarmente freddi in questa stagione è stata una difficoltà in più. Solo il ragazzo dalla California, Karan, non ha avuto problemi di tremende ghiacciate o nevicate. Dato il periodo, quasi tutti loro hanno avuto malanni stagionali, con diverse settimane perse, più qualche acciacco. Purtroppo una di loro, Myranda, ha avuto un problema che le ha impedito di terminare l’allenamento e partecipare alla gara. Anche un’altra ragazza, Fairlee, non è riuscita a partecipare alla gara a causa di problemi lavorativi. Peccato perché essendo un’ex biker ero curioso di vedere come se la sarebbe cavata.

Il piano di allenamento partiva per tutti da una base più o meno simile, i chilometraggi abituali per loro fino a quel momento erano simili, le esperienze nel trail running pure, la possibilità di fare cross training anche. Con l’andare delle settimane l’allenamento si è differenziato sempre di più tra di loro, sia per via dei malanni stagionali, che ovviamente per le diverse risposte agli stimoli allenanti e ai diversi feedback. Per i 3 ragazzi l’ultimo mese è andato ottimamente, senza allenamenti saltati e senza problemi fisici. Per la ragazza rimasta, Hannah, tutto bene fino ad un paio di settimane dalla gara, quando un virus l’ha costretta a fermarsi per diversi giorni.

Una cosa interessante di questi 6 ragazzi che ho seguito è che hanno rappresentato un vero microcosmo di quello che accade con tutte le altre persone che alleno o ho allenato. C’è chi ti scrive quasi ogni giorno e dà feedback continui, chi fa domande apparentemente sciocche, ma per chiarimenti su cose che non sono per nulla scontate, c’è chi non dà mai alcun feedback, ma svolge ogni seduta spaccata al secondo, senza sgarrare di una virgola, c’è chi tende sempre a fare di più, ad andare più veloce, e che è sempre necessario riuscire a fermare e rallentare, e c’è chi non compila mai nulla e non dà feedback, facendomi andare avanti col programma un po’ alla cieca, che non è per niente l’ideale per un buon allenamento. Ma non sono di certo colpe, ognuno è diverso, ognuno ha il tempo che ha, ognuno ha una motivazione differente. Per me è sempre stimolante rapportarmi in modo diverso con ognuno in base alla persona che mi trovo davanti.

A Moab è stato molto bello incontrarci di persona, dare gli ultimi suggerimenti sul pre gara e sulla gara, vedere il loro entusiasmo per la realizzazione finale del percorso che abbiamo seguito insieme.

La gara è andata bene per tutti, 3 finisher sulla 50 km (a metà classifica Karen e Hannah, la quale non ha avuto problemi nonostante lo stop delle ultime settimane, e Corey, il più dotato del gruppo, al 9° posto assoluto) e uno sulla 50 miglia, Mike. Tutti contenti e soddisfatti, senza grosse difficoltà, senza dolori eccessivi al termine della gara e il giorno successivo. Solo Karan ha avuto un dolore al ginocchio a causa di una botta dopo essere scivolato mentre aiutava un altro partecipante caduto, ma senza enormi patimenti. Mike ha un po’ faticato nella seconda parte di un percorso che era comunque davvero tosto, con gran caldo, ristori molto distanti tra loro, ma per essere la prima ultra questa 50 miglia non era per niente facile, le sue condizioni all’arrivo erano ottime, ho visto persone arrivare molto più disintegrate per molto meno.

Nessuno di loro ha mostrato la minima delusione, anzi. Ma neppure tra i finisher che vedevo mentre ero ancora in zona arrivo ho mai visto o sentito qualcuno lamentarsi della propria prestazione o della difficoltà del percorso. Quante volte ci creiamo troppe aspettative, senza goderci semplicemente il momento e quello che riusciamo a fare… Me compreso.

mercoledì 30 marzo 2022

La mia Behind the Rocks 50 miles

Correre nel deserto è sempre qualcosa di particolare, quasi ancestrale. Ma non ho troppa voglia di dilungarmi in concetti intellettualoidi, taglio questa parte, parlo solo della mia gara, di cosa è andato e cosa no.

L’obiettivo principale era essere a Moab, Utah, per seguire gli atleti americani che ho allenato per 4 mesi per il progetto My Road To Ultra, creato e sviluppato insieme a Vibram, ma vista l’occasione avevo pensato di partecipare alla 50 miglia della Behind the Rocks. Degli atleti, di come si sono allenati e di come hanno corso ne scriverò in un altro articolo.

Dunque, per me era l’occasione per vedere se il nuovo approccio nel mio allenamento stava funzionando, oltre che correre in posti incredibili, ovvio. Non sarei arrivato alla partenza al top della forma, gli appuntamenti clou per me saranno più avanti, stavo però sicuramente meglio rispetto ai mesi precedenti, ero sempre più fiducioso, convinto che fosse tutto a posto, ma proprio nel momento del tapering (o scarico pre gara, per chi non ama gli inglesismi) mi è venuta una delle mie solite contratture ai flessori della coscia. Anche stavolta in modo quasi incomprensibile. Di sicuro ho il bacino che mi dà parecchi problemi da sempre, per cui a rotazione mi vengono contratture ai flessori della coscia, infiammazioni ai flessori dell’anca, pubalgia, oppure sciatalgia o lombalgia. E più invecchio, più facilmente mi vengono, sto notando, chissà perché. Sono di base tutto storto, ed è sempre difficile trovare il giusto equilibrio per non avere nulla, o al massimo qualcosa però facilmente gestibile. Ma tra questo qualcosa, di sicuro contratture/infiammazioni/o-quel-diavolo-che-sono ai flessori della coscia sono le cose più fastidiose e limitanti.

Insomma, alla partenza di sabato non ero per niente a posto, avevo ancora fastidio, anche se andava sicuramente meglio rispetto a lunedì, quando avevo dovuto interrompere la corsa dal dolore. Fisioterapia, esercizi e riposo dalla corsa avevano fatto migliorare, ma non sufficientemente. Partire o non partire era un bel dilemma. Non volevo però lasciarmi sfuggire l’occasione di vedere quei posti incredibili che avevo sognato per tutto l’inverno.

I primi chilometri piuttosto corribili non erano il massimo per il dolore, anzi. Il problema maggiore era l’impossibilità di portare avanti la gamba destra, quella infortunata. La lunghezza del mio passo era praticamente dimezzata, era più un galoppo che una corsa. Il gruppetto dei migliori andava ad un ritmo che avrei potuto tenere tranquillamente in condizioni normali, erano appena davanti a me, ma non potevo spingere. E quella corsa stramba, caricando tutto con la gamba sinistra e spingendo con il polpaccio destro, era pure molto dispendiosa. Quando dopo una decina di chilometri è iniziata una parte più tecnica, in cui il passo sul sentiero era continuamente modificato, ho recuperato molte posizioni, pur dovendo sempre andare molto più lento di quanto avrei potuto e voluto, andando in discesa caricando con la gamba sinistra, o saltando con entrambe le gambe, senza poter essere agile come su certi tratti potrei essere. Dopo 55 km ero addirittura a un paio di minuti dal podio, nonostante la mia lentezza.

Qua è iniziato il tratto più caldo della gara, vicino ai 30° C, sullo stesso sentiero in senso inverso rispetto alla partenza, che dopo il freddo inverno in Maryland non era il massimo, anche se essendo un caldo secco non mi ha infastidito più di tanto. Se sul tecnico continuavo a difendermi, su tratti più semplici, in salita, faticavo molto. Anche su pendenze facili non riuscivo più a correre, sia a causa del dolore, rimasto più o meno immutato (anzi, dopo circa 2 ore, a causa di una quasi caduta, avevo patito per decine di minuti, mentre dopo, forse grazie al caldo, ad alcune salite dove poter camminare, e magari alle endorfine, non ci facevo più molto caso), sia per via dei crampi, dovuti al caldo e alla mia corsa zoppicante. A livello energetico stavo bene, mai avuto un calo di forze o momenti di crisi. In ogni caso non aveva più senso per me spingere per sfinirmi, tanto un piazzamento importante era ormai irraggiungibile.

L’obiettivo era solo finire senza peggiorare la situazione. Tanto che ad un paio di km dalla fine mi ha passato un ragazzo che correva con grande freschezza, ed un altro a mezzo km dal traguardo mentre camminavo zoppicante sull’ultima facile salitella, concludendo al 7° posto in 8h43’, con un ritardo di “solo” un’ora dal primo, che per come ho corso, mi dà un discreto rimpianto. Ma tant’è, di rimpianti potremmo riempirci gli oceani, quindi mi prendo il buono di quest’esperienza.

Di solito sto lontano da certa retorica, tipo la “pain cave” o cose simili, ma ammetto che stavolta ci sono stato per ben immerso in quella cavolo di caverna del dolore. Di sicuro ora il mio bacino è ancora più storto di prima, ma spero di non aver peggiorato le cose con la mia coscia e di poter riprendere dopo una settimana di riposo.

E comunque, che gara, che posti, che esperienza. Tutto ben aldilà della mia prestazione. Ma le cose più belle di solito le tengo per me.

venerdì 18 febbraio 2022

Distanza + dislivello = quanti km?


Una cosa che mi capita spesso di vedere (o sentire, o leggere) è l’atleta che dice di aver fatto l’allenamento lungo troppo lentamente. Poi vado a guardare i dati (chilometri, distanza e dislivello) e noto che non era per niente un ritmo lento, o meglio, magari proprio il giusto ritmo lento per il tipo di allenamento proposto (visto che queste cose le vedo soprattutto nelle persone che alleno). Perché sembra di essere andati lenti? Questo non lo so, forse perché si guarda la media finale “al km”, che però ha poco senso se c’è molto dislivello, perché si pensa di dover andare ad un ritmo da gara.

C’è un metodo per capire meglio, che probabilmente do troppo per scontato - e che i più esperti conoscono - ma che non tutti sanno, utile per avere almeno a grandi linee un riferimento sulla velocità tenuta. Ovvero, la trasformazione dei chilometri e del dislivello nel corrispettivo dei chilometri in pianura. Non è precisissimo, ci sono tanti fattori che possono influenzare il reale valore del risultato finale, ma è uno strumento facile e che spesso funziona per avere idee leggermente più chiare. Ci sono anche delle app in grado di calcolare il ritmo tenuto in salita con un corrispettivo in pianura. Pure su Strava dovrebbe esserci una funzione simile che calcola la media sul percorso totale.

Quindi, facciamo un esempio. Facciamo un lungo di 3h30’ su un percorso di 30 km e 1200 metri di dislivello positivo. Per calcolare il corrispettivo dei chilometri in pianura basta sommare i km con le centinaia di metri del dislivello, ovvero, in questo caso, 30+12, il cui risultato dà 42. In pratica una maratona. E se quei 42 km sono fatti in 3h30’, significa avere una media “pianurizzata” di 5’/km, che per essere un allenamento a ritmi lenti, per molti vuol dire un ritmo non così male.
Altro esempio: 40 km, 2000 metri di dislivello; 40+20=60 km. Se fatti in 6 ore vuol dire aver corso a 6’/km su un ritmo “pianurizzato” (perdonate il neologismo, ma mi piace). Capire se quel ritmo è molto lento o meno dipende dal proprio motore e dall’obiettivo dell’allenamento.
Non è un calcolo precisissimo, perché ci sono da considerare diversi fattori.
Più è lungo l’allenamento, più è normale che il ritmo tenderà a rallentare. Se già in gara è normale che oltre le 4 o 5 ore il proprio ritmo tenda a scemare (a meno che di essere atleti di buon livello, essere estremamente allenati e aver avuto una perfetta tattica di gara), in allenamento questo diminuirà ancora di più, perché è più difficile mantenere la stessa concentrazione e lo stesso ritmo che si hanno in gara (e se è un allenamento, nessuno ci corre dietro, altrimenti faremmo appunto una gara), non si hanno ristori a disposizione, si prenderanno con più calma alcuni momenti di riposo in cui magari camminare anche in pianura, oppure si guarderà un po’ di più il panorama, si faranno foto, eccetera.

C’è poi da considerare, nell’imperfezione del calcolo, che il ritmo può essere molto influenzato dalla tecnicità del percorso, soprattutto in discesa, e dalle proprie abilità, sia appunto in discesa, che su tratti meno corribili suppur con poco dislivello. I 170 km e 10000 metri di dislivello dell’UTMB sono molto più veloci della stessa distanza (o anche qualcosa meno) della Diagonale des Fous, per fare un esempio dove incide il tipo di terreno, oltre che al clima e l’orario di partenza. Ma è un esempio estremo, vista la distanza. Per un esempio più semplice, 20 km con 1200 metri di dislivello con salite e discese su pietraie o su single track tortuosi sono ben più lenti dello stesso rapporto km dislivello su sentieri puliti e scorrevoli.
Anche se ci si è portato dietro (e quanto) da bere e da mangiare durante il giro influenzerà non poco la prestazione. Se in 3h30’ si ha solo mezza borraccia d’acqua, il ritmo sarà diverso rispetto all’essersi portati un gel da prendere ogni 45’, magari con la possibilità di bere da fontane ogni ora/ora e mezza.

Vabè, non sto qua a complicare con mille altri esempi, ma spero che questo piccolo calcolo che magari non tutti conoscevano ancora possa aiutare a guardare in modo diverso le proprie prestazioni.

mercoledì 16 febbraio 2022

La mia Mid-Maryland 50k. Si rivede la luce

Sabato 12 ho corso la prima gara dell’anno, la Mid-Maryland 50k, ormai un classico, essendo la mia quarta partecipazione. Non ci sono molte gare nei dintorni, è molto comoda, sempre in un buon periodo, divertente (nonostante i giri da ripetere, o forse proprio grazie a quello), quindi mi piace tornarci. Purtroppo, pur essendo ufficialmente sempre di 50 km, in realtà il percorso è ogni volta leggermente diverso.

Allora, partiamo da quest’anno. Risultato finale, 2° posto, in 3h43’10” (per un problema col chip risulto 20” più lento, quisquiglie), ad un solo minuto dal vincitore Patrick Blair. Ho conosciuto Patrick nel 2020 alla Patapsco 50k, dove avevo vinto staccandolo ad un paio di km dalla fine, dopo una prima parte di gara insieme e dopo che lui aveva guadagnato un paio di minuti verso metà gara. Su questi percorsi è più o meno al mio livello, i suoi tempi su strada sono paragonabili ai miei, quindi è sempre un bel riferimento. Questa volta è partito decisamente forte, dopo pochi km aveva già un minuto di vantaggio, che poi è aumentato più lentamente, fino a diventare 3’ verso metà gara. Nel finale ho recuperato, ma non abbastanza. Ok, questo dal punto di vista del risultato. Poi il resto.

La gara è fatta da un percorso di poco più di 8 km da fare 6 volte. Sul GPS mi è risultato 48.3, ad altri è risultato sui 49, o anche più. No, non ho tagliato. Anche lo scorso anno era un percorso da ripetere 6 volte, ma leggermente diverso nei primi 2 km, un poco più corto e con un leggero dislivello in meno, mentre quest’anno alcuni sentieri nuovi erano un po’ più scorrevoli. Anche il meteo quest’anno era molto meglio, tra i 10° e 15°, la giornata più calda da novembre a questa parte, dopo un inverno decisamente freddo (il giorno dopo ha nevicato, comunque), mentre lo scorso anno si era molto sottozero. Guardando su Strava, nel 2021 il percorso mi risultava di 48 km netti, con 50 metri di dislivello in più, 777 contro 725 (ma il dislivello col mio Garmin su salite così corte e brevi può avere un certo margine di errore). Tempo dello scorso anno, dove feci una pessima gara, con gambe dure e finale super affaticato, 3h54’. Media velocità 2021: 4’50”/km. Media 2022: 4’37:/km. Al netto di sempre possibili margini di errore del GPS, anche le mie sensazioni confermano di essere andato meglio. Provando a guardare i parziali e l’unico segmento di Strava presente sul percorso (un breve single track di alcune centinaia di metri, circa 3’ di durata), quest’anno sono stato sempre più veloce. Lo scorso anno ero forse troppo stanco dai tanti chilometri fatti nei 2 mesi precedenti, mentre ora ho rivisto un po’ i miei piani, mi alleno meno, ma in modo più redditizio. Almeno spero.


La gara era sui 5 giri nel 2018 e nel 2020 (vinto in entrambe le occasioni). Pur essendo anche allora circa 48 km (ma vado a memoria, perché non ho le tracce registrate da nessuna parte), era più scorrevole. Avevo corso in 3h31’ e 3h37’. Certo, forse ero anche più in forma (tra poco ci arrivo), ma era appunto più veloce il percorso, pur sulla stessa distanza. Quel km circa in più ogni giro era quasi interamente su dei prati, tipo corsa campestre. Anche il dislivello totale era quindi forse leggermente meno, forse anche un centinaio di metri, il che può significare un paio di minuti. E poi una parte quest’anno piuttosto fangosa, lunga poco meno di un minuto, ma che ingolfava per bene le gambe, era molto meno difficile gli scorsi anni. Quindi mi sento quasi di poter dire che il 3h43’ possa valere quanto il 3h37’ di 2 anni fa. Ma nel 2018? Quell’anno volavo. Spesso penso che in quella gara ho avuto la miglior forma in assoluto della mia vita. Peccato non ci fosse un riferimento a poterlo constatare, ma quando ripenso a quel giorno, a come spingevo su ogni singolo strappetto, a come feci ogni giro come un metronomo, a come feci il mio personale sulla mezza il mese precedente e feci altre belle gare poi al rientro in Italia, sono sempre convinto di avere avuto una delle mie migliori giornate, sportivamente parlando, nel periodo di forma migliore.

E poi il resto, che fin qua sono stato troppo tecnico e noioso. Lo scorso anno era stata la prima vera gara “normale” dall’arrivo della pandemia, era stato un successo anche solo per quello. Quest’anno forse lo è stato ancora di più, record di iscritti e una vera festa per tutti. Per me, dopo mesi di sfighe e di forma fisica pessima è stato un modo per riprendere bene, fiducioso di essere sulla strada giusta.

giovedì 10 febbraio 2022

Meglio come Kipchoge o come Kawauchi? Magari una via di mezzo...

Meglio essere come lo stakanovista giapponese della maratona Yuki Kawauchi, capace di correre svariate maratone ogni anno in tempi ottimi, o come il kenyano Eliud Kipchoge, che da anni corre “solo” 2 gare all’anno, maratone, ok, ma proprio gare in generale, senza nemmeno corse brevi di preparazione, ma confermandosi sempre come forse il più grande interprete di tutti i tempi sui 42 km?

Allora, premetto che secondo me non bisogna essere totalmente a favore di un approccio e totalmente a sfavore di un altro. Entrambi gli atleti hanno il loro perché, la propria bellezza in quello che fanno, il loro modo di avere successo, le loro motivazioni. Kawauchi è fonte di ispirazione per la sua “follia”, il suo essere un po’ naif e poco programmatore; Kipchoge per la meticolosa preparazione e non sbagliare praticamente mai una gara. Entrambi lo sono per la passione e la capacità di trasmettere gioia nella corsa. E per seconda premessa, la maratona è una cosa totalmente a sé, diversa dal trail e da ogni altra competizione a piedi. Infatti, come dico sempre, se penso ad uno sport vicino a trail e ultratrail penso di più al triathlon, che alla “semplice” corsa. E nel triathlon ,i più forti al mondo - anche gli specialisti dell’ironman - non corrono poche gare.

Ma ci deve essere per forza un meglio o un peggio? C’è una soluzione vincente che si può applicare al trail, tra il correre gare ogni weekend e puntare solo su pochissimi obiettivi? Allora, diciamo che – come scritto sopra – una maratona è diversa da ogni altra cosa, e lo è ancora di più per chi è il migliore al mondo, o chi è tra i migliori, rispetto a chi corre con ambizioni minori, quindi gli esempi dei due fenomeni citati rimangono relativi a loro, e sono da prendere per quello che valgono, un pretesto da cui partire. Ma mi sto dilungando.

Allora, nel trail, meglio fare poche gare ben preparate o molte, una dietro l’altra? Nessuna risposta certa, non lo so, ognuno faccia quello che vuole… ma… se si vuole raggiungere un qualche risultato, per chi ha certe qualità fisiche, credo non ci siano dubbi che fare molte gare comprometta la possibilità di allenarsi bene, aumentando il rischio di infortuni. A livello personale non mi piace la bulimia da gare, anche quando molte di queste sono fatte per allenamento o per divertimento (che dovrebbe esserci sempre, sottointeso), perché comunque una gara non sarà mai allenamento, a meno che non la si prenda davvero comoda, ma un top runner difficilmente può e vuole alzare il piede dall’acceleratore se ha la possibilità di un risultato.

Certo, ho sofferto anch’io del difetto di voler correre ogni weekend, o quasi. Ai tempi avevo i miei motivi per farlo, e rimango convinto che quelle esperienze mi abbiano fatto imparare moltissimo. E rimanevo comunque un atleta di buon livello nazionale nel trail, non certo di livello mondale. Quando negli ultimi anni ho raramente corso gare per più weekend consecutivi, ho racchiuso questi periodi in un arco di tempo ristretto. E parliamo di gare brevi – o relativamente brevi. Sia chiaro che non voglio quindi fare critiche a nessuno. Anche perché pure il preparare poche gare ha dei rischi, e io lo so bene. Non sono pochi gli anni in cui la mia stagione è sembrata buttata, dopo che l’obiettivo clou è andato male. Lo scorso anno all’UTMB è stato l’esempio massimo, o il Tor de Geants del 2019.

Il discorso potrebbe essere lunghissimo, eterno forse, senza arrivare ad una soluzione, perché una soluzione non c’è. Una cosa sono gare brevi, un’altra sono ultra trail xl, una cosa è puntare a vittorie o piazzamenti importanti, un’altra è essere finisher. Però possiamo quindi dire che tra il puntare a pochissime gare, preparate al massimo delle proprie possibilità, e gareggiare ogni weekend, una buona soluzione può essere una via di mezzo? Secondo me sì. Ho visto negli anni tanti/e elite (soprattutto italiani/e) sfiancarsi con tante gare ravvicinate, senza adeguati tempi di recupero, senza costruire solide basi con l’allenamento o periodi con richiami specifici, con poche (o nulle) pause durante l’anno, con infortuni o burnout più o meno importanti, e spesso saltando alla gara più importante (ma ne so bene pure io qualcosa, non ho niente da insegnare). Io sono passato dal fare una trentina di gare (di cui una quindicina - o anche più - ultra) nel 2011, a una decina negli ultimi anni (lo scorso anno no, forse troppe in un paio di periodi, anche se brevi, o finite prima del tempo), a programmarne 6 o 7 in tutto il 2022, e che già mi sembrano tante.

Insomma, per mettere un po’ di ordine.

Pro tante gare:
- divertimento continuo (se si sta bene);
- possibilità di raggiungere più risultati, assoluti, o come finisher;
- accumulare tanta esperienza in minor tempo;
- conoscere sempre nuovi posti, nuove persone;
- avere subito la possibilità di rifarsi quando le cose vanno male in una gara (se si sta bene).

Contro tante gare:
- rischio di “carriera atletica” più breve;
- rischio infortuni o problemi fisici di varia natura;
- scarsa possibilità di allenarsi bene e migliorare fisicamente in modo progressivo, perché gareggiare può portare alcuni miglioramenti, ma farlo sempre, soprattutto raschiando spesso il fondo, porta ad un peggioramento, o almeno, a miglioramenti minori o molto più rallentati;
- rischio di raccogliere delusioni continue se si entra in un periodo no;
- rischio di perdita di motivazioni se la forma viene meno;
- rischio di non riuscire a portarsi dietro ricordi profondi da ogni gara, ricordarsi 50 gare fatte in un anno è diverso dal ricordarne 5.

Pro poche gare:
- possibilità di allenarsi bene per lunghi periodi;
- godere appieno di ogni evento come qualcosa di unico, con ricordi più profondi;
- possibilità di gestire con più calma possibili periodi con acciacchi o infortuni;
- risparmio economico rispetto ad andare in giro ogni weekend.

Contro poche gare:
- se una gara va male, per qualsiasi motivo, rischia di passare per un insuccesso tutto l’anno, oscurando il divertimento avuto durante la preparazione (come successo a me per l’ultimo UTMB e il Tor);
- dover attendere più tempo per potersi rifare;
- rischio di avere troppo stress prima della gara, sia a causa della scarsa abitudine agli eventi, sia per le aspettative che si ripongono.

Bè, poi ce ne sono sicuramente decine di altri pro e contro una e l’altra, e ognuna delle cose scritte meriterebbe un lungo approfondimento (è un po’ il mio problema quando scrivo, aprirei continuamente un ipertesto dove ogni situazione riconduce ad altre situazioni che conducono ad altre situazioni…).

Per arrivare però ad una conclusione, meno gare, meglio preparate, ma senza lo stress di un singolo evento su cui porre tutte le speranze. Una sorta di via di mezzo.
Kipchoge rimane unico. Come Kawauchi.


lunedì 7 febbraio 2022

Calendario 2022, niente UTMB, ma una 100 miglia americana...

Niente UTMB per me quest’anno, anzi, proprio niente Chamonix. Non per protesta, o boicottaggio (a chi vuoi che interessi che io non vada?), semplicemente volevo provare a fare altro. Ogni anno è difficile incastrare nel calendario le varie gare che si vorrebbero fare, poi con la pandemia e la difficoltà dei viaggi, soprattutto per me che vivo negli USA, non ne parliamo. Volevo rifare finalmente una 100 miglia americana, e se per la Western States di questo passo dovrò aspettare la pensione, per altre potevo sperare in un po’ più di fortuna nelle lotteries meno ambite, così ho puntato sulla Wasatch 100, a inizio settembre, nello Utah, una delle 4 gare del Grand Slam americano (le altre sono Vermont, corsa nel 2017, Leadville e Western States).

Tra l’altro quest’anno non avrei avuto la possibilità di correre l’UTMB facilmente, ma attraverso il sorteggio, visto che ormai sono sotto gli 800 punti ITRA (non ne ho mai avuti molti, ma con gli ultimi 2 anni con solo un paio di gare fatte con punteggio, e andate male, non sono riuscito a mantenermi alto). Avevo la più che mezza idea di correre la CCC (lì avrei avuto i punti necessari), ma appunto, volevo provare a correre altro negli USA, anche perché a giugno correrò la LUT. Sì, ancora, per la sesta volta. Ho un conto in sospeso con questa gara, spero prima o poi di farla come sento di poter fare.

Insomma, quest’anno saranno davvero poche le mie gare, ma un po’ più sparse negli USA. Gare locali forse solo una o due. E un altro ritorno, alla UROC. Qua non ho conti in sospeso, ma si incastra sempre bene nel programma e la trovo ottima in funzione della LUT. Forse troppo impegnativa due mesi prima di Cortina? Secondo me si possono fare entrambe bene, basta non strafare a inizio stagione e gestire bene (meglio di come ho fatto in passato) il periodo tra le due gare.

In estrema sintesi, queste saranno le mie principali gare di quest’anno.
26 marzo: Behind the Rocks, 50 miglia, Utah
30 aprile: UROC, 100k, Virginia
24 giugno: LUT, 120k, Italia
9 settembre: Wasatch, 100 miglia, Utah

Forse qualcosa a fine luglio negli USA, ma dipende da quanto starò in Italia, dove probabilmente farò qualcosina in Italia a inizio giugno. Purtroppo non riuscirò a venire a marzo per il Campo dei Fiori Trail. Ci tenevo un sacco a tornare sui sentieri dove sono cresciuto sportivamente, ma in quel periodo è troppo complicato col visto e altre mille cose.

A fine stagione non so. Credo di venire in Italia in ottobre, ma non so se farò gare e quali, dipenderà da come starò post Wasatch. O magari qualcos’altro di molto esotico (...), ma dipenderà da che piega prenderà la stagione. Oppure potrei tornare alla JFK a fine novembre ben preparato per chiudere anche qua il piccolo conto rimasto in sospeso.

Comunque, considerando anche le gare più “piccole” che farò, di sicuro non arriverò a 10 competizioni. Credo non più di quelle 7 o 8 accennate. Ah, la prima sarà la Mid-Maryland il 12 febbraio, un classico di inizio stagione per me, una 50 km utile per mettere un po’ di tenuta al ritmo e capire a che punto sono della forma. Anche questa un’abitudine. Sì, faccio spesso le solite gare, ma mi piace confrontarmi col giovane me stesso, facendomi spesso del male.