giovedì 10 febbraio 2022

Meglio come Kipchoge o come Kawauchi? Magari una via di mezzo...

Meglio essere come lo stakanovista giapponese della maratona Yuki Kawauchi, capace di correre svariate maratone ogni anno in tempi ottimi, o come il kenyano Eliud Kipchoge, che da anni corre “solo” 2 gare all’anno, maratone, ok, ma proprio gare in generale, senza nemmeno corse brevi di preparazione, ma confermandosi sempre come forse il più grande interprete di tutti i tempi sui 42 km?

Allora, premetto che secondo me non bisogna essere totalmente a favore di un approccio e totalmente a sfavore di un altro. Entrambi gli atleti hanno il loro perché, la propria bellezza in quello che fanno, il loro modo di avere successo, le loro motivazioni. Kawauchi è fonte di ispirazione per la sua “follia”, il suo essere un po’ naif e poco programmatore; Kipchoge per la meticolosa preparazione e non sbagliare praticamente mai una gara. Entrambi lo sono per la passione e la capacità di trasmettere gioia nella corsa. E per seconda premessa, la maratona è una cosa totalmente a sé, diversa dal trail e da ogni altra competizione a piedi. Infatti, come dico sempre, se penso ad uno sport vicino a trail e ultratrail penso di più al triathlon, che alla “semplice” corsa. E nel triathlon ,i più forti al mondo - anche gli specialisti dell’ironman - non corrono poche gare.

Ma ci deve essere per forza un meglio o un peggio? C’è una soluzione vincente che si può applicare al trail, tra il correre gare ogni weekend e puntare solo su pochissimi obiettivi? Allora, diciamo che – come scritto sopra – una maratona è diversa da ogni altra cosa, e lo è ancora di più per chi è il migliore al mondo, o chi è tra i migliori, rispetto a chi corre con ambizioni minori, quindi gli esempi dei due fenomeni citati rimangono relativi a loro, e sono da prendere per quello che valgono, un pretesto da cui partire. Ma mi sto dilungando.

Allora, nel trail, meglio fare poche gare ben preparate o molte, una dietro l’altra? Nessuna risposta certa, non lo so, ognuno faccia quello che vuole… ma… se si vuole raggiungere un qualche risultato, per chi ha certe qualità fisiche, credo non ci siano dubbi che fare molte gare comprometta la possibilità di allenarsi bene, aumentando il rischio di infortuni. A livello personale non mi piace la bulimia da gare, anche quando molte di queste sono fatte per allenamento o per divertimento (che dovrebbe esserci sempre, sottointeso), perché comunque una gara non sarà mai allenamento, a meno che non la si prenda davvero comoda, ma un top runner difficilmente può e vuole alzare il piede dall’acceleratore se ha la possibilità di un risultato.

Certo, ho sofferto anch’io del difetto di voler correre ogni weekend, o quasi. Ai tempi avevo i miei motivi per farlo, e rimango convinto che quelle esperienze mi abbiano fatto imparare moltissimo. E rimanevo comunque un atleta di buon livello nazionale nel trail, non certo di livello mondale. Quando negli ultimi anni ho raramente corso gare per più weekend consecutivi, ho racchiuso questi periodi in un arco di tempo ristretto. E parliamo di gare brevi – o relativamente brevi. Sia chiaro che non voglio quindi fare critiche a nessuno. Anche perché pure il preparare poche gare ha dei rischi, e io lo so bene. Non sono pochi gli anni in cui la mia stagione è sembrata buttata, dopo che l’obiettivo clou è andato male. Lo scorso anno all’UTMB è stato l’esempio massimo, o il Tor de Geants del 2019.

Il discorso potrebbe essere lunghissimo, eterno forse, senza arrivare ad una soluzione, perché una soluzione non c’è. Una cosa sono gare brevi, un’altra sono ultra trail xl, una cosa è puntare a vittorie o piazzamenti importanti, un’altra è essere finisher. Però possiamo quindi dire che tra il puntare a pochissime gare, preparate al massimo delle proprie possibilità, e gareggiare ogni weekend, una buona soluzione può essere una via di mezzo? Secondo me sì. Ho visto negli anni tanti/e elite (soprattutto italiani/e) sfiancarsi con tante gare ravvicinate, senza adeguati tempi di recupero, senza costruire solide basi con l’allenamento o periodi con richiami specifici, con poche (o nulle) pause durante l’anno, con infortuni o burnout più o meno importanti, e spesso saltando alla gara più importante (ma ne so bene pure io qualcosa, non ho niente da insegnare). Io sono passato dal fare una trentina di gare (di cui una quindicina - o anche più - ultra) nel 2011, a una decina negli ultimi anni (lo scorso anno no, forse troppe in un paio di periodi, anche se brevi, o finite prima del tempo), a programmarne 6 o 7 in tutto il 2022, e che già mi sembrano tante.

Insomma, per mettere un po’ di ordine.

Pro tante gare:
- divertimento continuo (se si sta bene);
- possibilità di raggiungere più risultati, assoluti, o come finisher;
- accumulare tanta esperienza in minor tempo;
- conoscere sempre nuovi posti, nuove persone;
- avere subito la possibilità di rifarsi quando le cose vanno male in una gara (se si sta bene).

Contro tante gare:
- rischio di “carriera atletica” più breve;
- rischio infortuni o problemi fisici di varia natura;
- scarsa possibilità di allenarsi bene e migliorare fisicamente in modo progressivo, perché gareggiare può portare alcuni miglioramenti, ma farlo sempre, soprattutto raschiando spesso il fondo, porta ad un peggioramento, o almeno, a miglioramenti minori o molto più rallentati;
- rischio di raccogliere delusioni continue se si entra in un periodo no;
- rischio di perdita di motivazioni se la forma viene meno;
- rischio di non riuscire a portarsi dietro ricordi profondi da ogni gara, ricordarsi 50 gare fatte in un anno è diverso dal ricordarne 5.

Pro poche gare:
- possibilità di allenarsi bene per lunghi periodi;
- godere appieno di ogni evento come qualcosa di unico, con ricordi più profondi;
- possibilità di gestire con più calma possibili periodi con acciacchi o infortuni;
- risparmio economico rispetto ad andare in giro ogni weekend.

Contro poche gare:
- se una gara va male, per qualsiasi motivo, rischia di passare per un insuccesso tutto l’anno, oscurando il divertimento avuto durante la preparazione (come successo a me per l’ultimo UTMB e il Tor);
- dover attendere più tempo per potersi rifare;
- rischio di avere troppo stress prima della gara, sia a causa della scarsa abitudine agli eventi, sia per le aspettative che si ripongono.

Bè, poi ce ne sono sicuramente decine di altri pro e contro una e l’altra, e ognuna delle cose scritte meriterebbe un lungo approfondimento (è un po’ il mio problema quando scrivo, aprirei continuamente un ipertesto dove ogni situazione riconduce ad altre situazioni che conducono ad altre situazioni…).

Per arrivare però ad una conclusione, meno gare, meglio preparate, ma senza lo stress di un singolo evento su cui porre tutte le speranze. Una sorta di via di mezzo.
Kipchoge rimane unico. Come Kawauchi.


2 commenti:

  1. Della tua interessante analisi voglio sottolineare un aspetto che mi ha colpito e condivido. A quello del ricordo. Se faccio poche gare, le preparo, le pianifico, le vivo profondamente. Diventano importanti, me le gusto prima, durante e dopo. Se faccio una gara ogni week end, dopo un po' non le ricordi, le confondi, le sovrapponi. Ciascuno fa quello che gli pare, ma i bulimici da gare secondo me hanno qualche problema. Converrebbe fermarsi e ragionarci su.

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    1. Esatto. Anche se una gara preparata a lungo mi andasse male, ho il ricordo del percorso fatto per arrivare fin lì. Con tante gare, si perde tanto. Poi una cosa è farlo per un breve periodo, un "periodo gare", un'altra è farlo tutto l'anno, tutti gli anni.

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