mercoledì 30 marzo 2022

La mia Behind the Rocks 50 miles

Correre nel deserto è sempre qualcosa di particolare, quasi ancestrale. Ma non ho troppa voglia di dilungarmi in concetti intellettualoidi, taglio questa parte, parlo solo della mia gara, di cosa è andato e cosa no.

L’obiettivo principale era essere a Moab, Utah, per seguire gli atleti americani che ho allenato per 4 mesi per il progetto My Road To Ultra, creato e sviluppato insieme a Vibram, ma vista l’occasione avevo pensato di partecipare alla 50 miglia della Behind the Rocks. Degli atleti, di come si sono allenati e di come hanno corso ne scriverò in un altro articolo.

Dunque, per me era l’occasione per vedere se il nuovo approccio nel mio allenamento stava funzionando, oltre che correre in posti incredibili, ovvio. Non sarei arrivato alla partenza al top della forma, gli appuntamenti clou per me saranno più avanti, stavo però sicuramente meglio rispetto ai mesi precedenti, ero sempre più fiducioso, convinto che fosse tutto a posto, ma proprio nel momento del tapering (o scarico pre gara, per chi non ama gli inglesismi) mi è venuta una delle mie solite contratture ai flessori della coscia. Anche stavolta in modo quasi incomprensibile. Di sicuro ho il bacino che mi dà parecchi problemi da sempre, per cui a rotazione mi vengono contratture ai flessori della coscia, infiammazioni ai flessori dell’anca, pubalgia, oppure sciatalgia o lombalgia. E più invecchio, più facilmente mi vengono, sto notando, chissà perché. Sono di base tutto storto, ed è sempre difficile trovare il giusto equilibrio per non avere nulla, o al massimo qualcosa però facilmente gestibile. Ma tra questo qualcosa, di sicuro contratture/infiammazioni/o-quel-diavolo-che-sono ai flessori della coscia sono le cose più fastidiose e limitanti.

Insomma, alla partenza di sabato non ero per niente a posto, avevo ancora fastidio, anche se andava sicuramente meglio rispetto a lunedì, quando avevo dovuto interrompere la corsa dal dolore. Fisioterapia, esercizi e riposo dalla corsa avevano fatto migliorare, ma non sufficientemente. Partire o non partire era un bel dilemma. Non volevo però lasciarmi sfuggire l’occasione di vedere quei posti incredibili che avevo sognato per tutto l’inverno.

I primi chilometri piuttosto corribili non erano il massimo per il dolore, anzi. Il problema maggiore era l’impossibilità di portare avanti la gamba destra, quella infortunata. La lunghezza del mio passo era praticamente dimezzata, era più un galoppo che una corsa. Il gruppetto dei migliori andava ad un ritmo che avrei potuto tenere tranquillamente in condizioni normali, erano appena davanti a me, ma non potevo spingere. E quella corsa stramba, caricando tutto con la gamba sinistra e spingendo con il polpaccio destro, era pure molto dispendiosa. Quando dopo una decina di chilometri è iniziata una parte più tecnica, in cui il passo sul sentiero era continuamente modificato, ho recuperato molte posizioni, pur dovendo sempre andare molto più lento di quanto avrei potuto e voluto, andando in discesa caricando con la gamba sinistra, o saltando con entrambe le gambe, senza poter essere agile come su certi tratti potrei essere. Dopo 55 km ero addirittura a un paio di minuti dal podio, nonostante la mia lentezza.

Qua è iniziato il tratto più caldo della gara, vicino ai 30° C, sullo stesso sentiero in senso inverso rispetto alla partenza, che dopo il freddo inverno in Maryland non era il massimo, anche se essendo un caldo secco non mi ha infastidito più di tanto. Se sul tecnico continuavo a difendermi, su tratti più semplici, in salita, faticavo molto. Anche su pendenze facili non riuscivo più a correre, sia a causa del dolore, rimasto più o meno immutato (anzi, dopo circa 2 ore, a causa di una quasi caduta, avevo patito per decine di minuti, mentre dopo, forse grazie al caldo, ad alcune salite dove poter camminare, e magari alle endorfine, non ci facevo più molto caso), sia per via dei crampi, dovuti al caldo e alla mia corsa zoppicante. A livello energetico stavo bene, mai avuto un calo di forze o momenti di crisi. In ogni caso non aveva più senso per me spingere per sfinirmi, tanto un piazzamento importante era ormai irraggiungibile.

L’obiettivo era solo finire senza peggiorare la situazione. Tanto che ad un paio di km dalla fine mi ha passato un ragazzo che correva con grande freschezza, ed un altro a mezzo km dal traguardo mentre camminavo zoppicante sull’ultima facile salitella, concludendo al 7° posto in 8h43’, con un ritardo di “solo” un’ora dal primo, che per come ho corso, mi dà un discreto rimpianto. Ma tant’è, di rimpianti potremmo riempirci gli oceani, quindi mi prendo il buono di quest’esperienza.

Di solito sto lontano da certa retorica, tipo la “pain cave” o cose simili, ma ammetto che stavolta ci sono stato per ben immerso in quella cavolo di caverna del dolore. Di sicuro ora il mio bacino è ancora più storto di prima, ma spero di non aver peggiorato le cose con la mia coscia e di poter riprendere dopo una settimana di riposo.

E comunque, che gara, che posti, che esperienza. Tutto ben aldilà della mia prestazione. Ma le cose più belle di solito le tengo per me.

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