Fin qua, tutto ok, si potrebbe pensare. Un bel numero di un giovane ciclista promettente che nelle ultime settimane si era dimostrato sempre più forte e pronto a cogliere una vittoria importante, soprattutto dopo il Giro delle Fiandre (chiuso in 4° posizione dopo una caduta e un inseguimento da applausi) e il successo alla Freccia del Brabante dopo un attacco da lontano e una volata in un gruppo ristretto con lo stesso Alaphilippe. Anche se in effetti qualcosa di particolare dovrebbe essere saltato all’occhio, ovvero il fatto che Van der Poel sia campione nazionale in tre specialità diverse, evento davvero incredibile se pensiamo alla specializzazione sempre più esasperata nello sport professionistico, figuriamoci poi nel ciclismo. Ma non è solo campione nazionale, perché è anche Campione del Mondo in carica di ciclocross. Anzi, in inverno ha dominato praticamente tutta la stagione, con 31 vittorie su 33 gare (l'anno precedente 29 su 35). E la scorsa estate, nel pieno dell'attività fuoristrada con la mountain bike, è arrivato 2° al Campionato Europeo su strada di Glasgow dietro all'azzurro Matteo Trentin. In quella settimana aveva anche partecipato al Campionato Europeo di mountain bike, senza però trovare una giornata felice (e per fortuna, si potrebbe dire, dimostrando di essere umano). Nel ciclocross vanta un altro campionato del mondo assoluto (nel 2015, a 20 anni, seguito da un 5° posto e due 2° dietro l'eterno rivale, il belga Wout Van Aert, altro ottimi ciclista polivalente, con il quale sta dando vita ad una rivalità che ha ridato seguito internazionale al mondo del ciclocross) e innumerevoli vittorie in Coppa del Mondo e Superprestige. È stato anche campione del mondo juniores su strada a Firenze nel 2013. E nella mountain bike, dopo essersi affacciato con qualche gara nel 2017, lo scorso anno ha partecipato ai Mondiali (3° posto) e Coppa del Mondo, piazzandosi alla fine al 2° posto e dando spesso del filo da torcere a Nino Schurter, autentico dominatore dell’ultimo decennio nella specialità. Insomma, praticamente da 2 anni Mathieu Van der Poel è protagonista di una lunghissima e infinita attività, con brevissime pause di poche settimane tra una disciplina e l'altra, passando velocemente e agevolmente da una bicicletta all'altra.
Non è difficile capire anche per un profano quanto sia diverso il tipo di sforzo fisico a seconda della specialità. Nel ciclocross le gare sono di un'ora circa, con una potenza media paragonabile quasi a quella di una cronometro, ma frutto di continui picchi dovuti dagli sprint e dalle ripartenze nelle tortuosità dei percorsi, spesso con la necessità di correre con bici in spalla o in spinta. Nella mountain bike lo sforzo può sembrare simile, dato che le gare durano circa un'ora e mezza (ma in Coppa del Mondo è presente anche al formula sprint, della durata di 15’-20' circa, dove Van der Poel ha vinto 3 volte lo scorso anno), però con picchi di sforzo più prolungati a causa di ripide salite solitamente più lunghe che nel ciclocross, senza parlare della differenza del mezzo motorio e della tecnica. Ci sono stati casi di atleti capaci in entrambe le discipline, ma raramente con gli stessi risultati di Van der Poel. E se parliamo dello sforzo nel ciclismo su strada, bè, è evidente che si tratti di qualcosa di nettamente diverso. Ok, ci sono sempre degli alti picchi di potenza, ma è essenziale avere doti di endurance. Non sono molti i ciclocrossisti di alto livello che sono riusciti a ritagliarsi dei buoni spazi nel ciclismo su strada. Il più delle volte hanno dovuto abbandonare il fango e i campi per poter proseguire l'attività su asfalto: pensiamo ad esempio Lars Boom o Zdenek Stybar. Ciò non significa che chi fa ciclocross sia più “scarso" degli stradisti. Claudio Chiappucci partecipava a non poche gare di ciclocross, ma nei circuiti veniva facilmente doppiato dai migliori. Anche Matteo Trentin ha partecipato a gare su sterrato, dati i suoi trascorsi giovanili con le ruote da cross, ma senza riuscire a competere coi migliori ciclocrossisti.
Insomma, arriviamo al dunque. Van der Poel è un fenomeno. Ok, su questo non ci piove. È nipote e figlio d'arte (Poulidur è suo nonno, Adri Van der Poel suo padre, ormai lo sanno anche i muri). Quello che fa lo compie grazie a doti fisiche straordinarie. Qualcuno già specula sulle sue qualità sparando alto, fino al Tour de France. Attenzione, pur non trovando nemmeno io impossibile a questo punto un suo potenziale risultato alla Grand Boucle nel futuro, si parla di fantaciclismo, qualcosa di davvero estremo e terribilmente complicato, forse impossibile, e che dovrebbe lui per primo avere bene in testa, cosa che da quanto si è percepito non è nei suoi programmi. Ecco, ma finalmente arrivo a parlare di quello di cui volevo parlare. La cosa che davvero lo rende così speciale credo sia la testa. Ma non parlo di capacità di soffrire, di impegno, di carattere, di grinta, di resistenza, di motivazione, insomma, quelle cose lì, quelle classiche, ma parlo di mindset, ovvero – a grandi linee - la capacità di modulare la propria testa a seconda dell'attività e dell'obiettivo. In uno sport esasperato come il ciclismo gli specialisti di un terreno o di una particolare gara il più delle volte si precludono a priori il tentativo di provare altro. Certo, spesso a volte anche a causa di sponsor o programmazione o altro, e questo è un altro discorso che riprendo dopo. E quanto può insegnare quello che sta facendo il giovane olandese!! E quanto può anche aprire la mente di team manager e allenatori! La corsa, la corsa! Da anni seguo con passione la stagione di ciclocross, ci sono gare dove i tratti di corsa hanno un’importanza essenziale, ma quante volte ho letto e sentito che la corsa “inquina" le qualità muscolari dei ciclisti, a causa della contrazione eccentrica. (Piccola parentesi: quanto pagherei per vedere un ciclocrossista di buon livello cimentarsi durante la stagione estiva ai Vertical, e vedere quanto eventualmente potrebbe guadagnare in una disciplina e nelll'altra!). Ricordo anni fa di aver letto di alcuni studi del grande Aldo Sassi (ex direttore del Centro Mapei) che mostravano dei miglioramenti nel gesto tecnico della pedalata dopo allenamenti specifici di contrazione eccentrica, mentre nella pedalata la contrazione è puramente concentrica (un'altra volta magari spiegherò la differenza, qua mi sto già dilungando troppo). Qualcuno li ha ritirati fuori? Qualcuno li utilizza? Magari sì, magari no, non so. Ma sarei molto curioso di sapere se qualche allenatore lo propone…
Chissà cosa accadrà. Se Van der Poel prima o poi abbandonerà totalmente il fuoristrada per darsi alla strada, come ha fatto ad esempio anche Peter Sagan (ma ricordate lo slovacco nel 2016?, quando dopo aver preparato le Olimpiadi di Rio nella mountain bike – andate poi male a seguito di problemi meccanici – andò a vincere il suo 2° titolo mondiale?) o se proseguirà alternando le attività, cosa che sinceramente mi auguro. Per farlo pare stia rifiutando contratti importanti che probabilmente lo costringerebbero ad abbandonare ciclocross e mountain bike, come accaduto a praticamente tutti quelli che lo hanno preceduto. Ormai da tempo assistiamo ai britannici che dalla pista si danno con successo ai grandi giri, a ex biker protagonisti in montagna, grazie a qualità fisiche acquisite e poi “trasformate" sull'asfalto, ma nessuno è riuscito a fare “di tutto un po'". A causa degli sponsor, dei team manager, dei preparatori atletici, oppure, perché no, per colpe proprie, per la paura di uscire dalla propria comfort zone, dalla difficoltà di avere uno sviluppato mindsetting, o dalla troppa importanza che si dà a chi dice di "non farlo”.
Un discorso che potrebbe benissimo venire buono anche nel trail running, tra Corsa in Montagna, Skyrace, Ultratrail, Ultramaratona su Strada, dove è difficile trovare atleti polivalenti, soprattutto in Italia.
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