venerdì 18 dicembre 2020

La mia preparazione per JFK 50 miler e Appalachian Trail (sfighe a parte)

A fine novembre avevo in programma la JFK 50 miler, la più antica ultramaratona americana, nata nel ’63 dopo l’omicidio del presidente Kennedy, nonché una delle più competitive. Dopo un periodo di leggero calo di casi di coronavirus e visto il successo di alcune gare disputate con restrizioni e protocolli di sicurezza, è stato uno dei pochissimi eventi che si è potuto svolgere, anche se al limite, visto che proprio in quei giorni i contagi stavano di nuovo aumentando. Dopo un anno intero senza poter tornare in Italia e con pochissime gare fatte nei dintorni, per me era l’unica occasione di rilievo, a maggior ragione motivante vista la presenza di forti atleti. Essendo poi vicina a casa non avevo problemi di viaggio e logistica vari. Avevo anche in mente un piano b nel caso la gara fosse stata annullata, ovvero il tentativo di Fastest Know Time sull’Appalachian Trail del Maryland, che rimandavo costantemente dall’estate a causa di motivi vari.

La JFK è una gara particolare, in parte trail e in parte ultramaratona “classica”. Dopo la partenza da Boonsboro, i primi 4 km su asfalto sono in leggera salita, quindi un breve semplice tratto trail, una ripida salita su asfalto di circa 3 km, poi una parte di circa 16 km sull’Appalachian Trail piena di saliscendi e con passaggi non semplicissimi. Dal termine del tratto più tecnico del percorso, dopo circa 25 km di gara si parte per una vera e propria maratona su sterrato totalmente pianeggiante sul lungo fiume Potomac, per poi terminare con gli ultimi 13 km circa di asfalto su leggerissimi saliscendi che portano all’arrivo a Williamsport. Data la particolarità del percorso, anche la preparazione non è semplice. Io poi non sono molto portato per ultramaratone pianeggianti. Essendo poi questi lunghi chilometri in pianura nella seconda parte di gara, per me era ancora più complicato, visto che all’inizio non avrei comunque potuto strafare, ma piuttosto mantenere energie per il lungo tratto non troppo favorevole alle mie caratteristiche.

Intanto, la preparazione viene sempre da quello che si è fatto negli anni precedenti, e in generale in tutta la propria storia sportiva, quindi gli ultimi mesi sono solo una piccola parte della reale preparazione alla gara. Venendo da un’estate strana, con una corsa “vera” di 50 km (tra l’altro tutta pianeggiante, e quindi molto sofferta proprio per le mie caratteristiche, ma comunque vinta), un trail “virtuale” di 50 km spingendo forte e un altro trail “semi virtuale”, sempre di 50 km, fatto a ritmo moderatamente veloce, mi sentivo un po’ stanco. Il caldo di Baltimore mi ha quasi mai permesso allenamenti intensi (ho perso il conto del numero di sedute di velocità interrotte prima di svenire sotto gli oltre 40° C), quindi ho fatto molta mountain bike che era sì allenante, ma mi dava la sensazione di gambe troppo “piene” e poco reattive. I 3 mesi di preparazione alla JFK sarebbero quindi partiti con il mese di settembre con chilometraggio ridotto, pochissime pedalate (il cross training mi serve comunque sempre per ridurre il rischio di infortuni e avere diversi stimoli, oltre che divertirmi, che rimane le cosa principale), alcuni allenamenti di velocità, qualche semplice esercizio di pliometria per evitare di perdere forza, ma allo stesso tempo senza i classici esercizi di potenziamento per “asciugare” leggermente la muscolatura, e nessun allenamento lungo per predispormi mentalmente per il successivo periodo. A fine settembre un breve trail di 21 km (vinto) mi ha dato la conferma di una ritrovata brillantezza. Una settimana di recupero generale con qualche uscita in mountain bike senza spingere mi ha poi dato la giusta freschezza psicofisica (psico, più o meno, ma visto l’anno, anche quel poco era sufficiente). Da qui è partita la fase clou, 3 settimane di grosso aumento di volume, una settimana di recupero, 10 giorni di “affinamento” e 10 giorni di recupero (o tapering, per essere più moderni).

Senza entrare nello specifico di ogni singola seduta, ho modificato molte cose rispetto al mio solito, un po’ perché avevo l’impressione di avere un ristagno di prestazioni, un po’ perché avevo mentalmente bisogno di cambiare per avere più motivazione, e un po’ perché l’obiettivo era diverso rispetto al mio solito. I principali cambiamenti sono stati questi:
- molti più chilometri di corsa, con settimane di 135 km e una punta di 155, io che non sono amante dei mega chilometraggi, con solo una seduta a settimana di mtb su strada;
- lunghi “davvero” lunghi, soprattutto vista la mancanza di gare intermedie preparatorie: anche in questo caso non sono mai stato amante di lunghissimi, preferendo i back to back (2 o 3 giorni consecutivi di lunghi su distanze ridotte), ma inserire allenamenti di 4, 5 e 6 ore mi avrebbe aiutato molto in vista della gara (che avrei voluto teoricamente correre appunto intorno alle 6 ore); questi lunghi erano principalmente su percorsi trail non troppo complicati, con in mezzo qualche tratto pianeggiante; in totale pianura ho corso solo un lungo di 3 ore, tra l’altro parecchio a fatica visti alcuni dolori muscolari che avevo; una corsa di preparazione sono riuscito a farla, di 50 km, con percorso abbastanza mosso (poco più di 1000 metri di dislivello, pochissimo per gli standard italiani, ma molto per dove mi trovo), in 4h15’ circa, al termine delle prime 3 settimane di volume, con ottime sensazioni nonostante il carico;
- pochissimi allenamenti “doppi” in settimana, a favore di allenamenti singoli più lunghi;
- allenamenti il mattino a digiuno: non mi sono mai trovato a mio agio nel correre a digiuno, ma ho voluto provare a farlo più costantemente, anche se solo una volta a settimana e per corse tra i 30’ e i 60’ a ritmi molto blandi; erano questi i casi in cui ho poi fatto un secondo allenamento pomeridiano/serale;
- allenamenti di corsa anche il giorno successivo i lunghi, cosa che non facevo più da anni per il timore di infortuni; a volte qualche dolorino e fastidio c’erano, ma senza mai sentirmi a rischio di dovermi fermare; provando a osare e andando un po’ contro le mie vecchie abitudini ho ritrovato il vantaggio di queste sedute.

Questi erano i cambiamenti maggiori, in buona parte dovuti anche alle scarse possibilità di percorsi, ma anche nelle specifiche sedute ho fatto cose diverse dal mio solito, non troppo, però:
- molto fartlek intenso, quasi sempre dopo 1h o anche 1h30’ di corsa lenta;
- molta velocità in pista, sia con ripetute molto brevi (come 15x300, o 18x400), sia su distanze più lunghe (4x1500, 2x4000), ma sempre su volumi molto bassi (5-8 km di lavoro), per lavorare molto di più sulla potenza aerobica anziché sulla soglia anaerobica;
- ripetute su salite miste (con anche leggeri saliscendi) su asfalto, qua sì lavorando più sulla soglia anaerobica (ad esempio 5x6’), in vista della prima parte di gara;
- quasi nessun ritmo medio, e solo nelle ultime settimane, ma su distanze molto brevi (ad esempio 4x2500), per cercare scioltezza ed economicità del gesto senza affaticare troppo l’organismo; medi di 15, 20 o 25 km o ripetute su volumi maggiori come 10x1000 o 4x3000 mi avrebbero affaticato molto di più e avrebbero ridotto la possibilità di altre sedute impegnative nei giorni successivi, mentre allenamenti brevi e molto intensi sono più semplici da recuperare, meno dispendiosi mentalmente, e utili nel miglioramento delle qualità fisiche e dell’economicità del gesto; l’unico vero e proprio allenamento di tenuta di ritmi medio alti è stata proprio la gara di 50 km fatta un mese esatto prima della JFK e vinta con ottime sensazioni.

Facendo molti più chilometri rispetto al mio solito dovevo stare attento ai segnali di possibili infortuni, facendo attenzione al recupero. Ad esempio ho inserito spesso docce fresche alle gambe per ridurre il rischio di infiammazioni, ma senza sostituire o mascherare il normale e naturale adattamento del fisico, che è il cuore dell’allenamento. Anche qualche minuto di leggero spinning dopo le sedute più intense è stato utile per recuperare meglio. A parte alcuni giorni in cui avevo i flessori delle cosce un po’ duri e qualche leggero fastidio pubico dopo i lunghissimi, non ho avuto particolari problemi. Inserendo un giorno a settimana esercizi di tonificazione generale per il core e per i flessori i dolorini sono via via spariti in vista della gara.

In sostanza il mio allenamento è stato molto polarizzato, anzi, persino iper polarizzato. Molti chilometri lenti e pochi chilometri molto veloci, pochissimi ritmi a velocità moderata o ritmi gara. È il tipo di allenamento che trovo sempre più adatto a me, sia per caratteristiche fisiche che per livelli di motivazione e divertimento, ma sono sempre più direzionato a dare questo tipo di allenamento anche alle persone che seguo. In uno sport in cui c’è ancora moltissimo da esplorare e da scoprire sui metodi di allenamento, sto maturando l’idea che spesso questo sia una “ricetta” che funziona.

Ma poi com’è andata la gara? Come molti sapranno, purtroppo male a causa di un errore di percorso dopo pochissimi chilometri. In sostanza, all’inizio del tratto sull’Appalachian Trail dopo meno di 10 km, ho sbagliato direzione del sentiero, facendo un lungo giro extra di 2 km trail, più un altro paio di km della ripida salita in asfalto che avevo appena percorso. In una gara dove mi giocavo tempo e piazzamento sui minuti, avere sul groppone oltre un quarto d’ora e centinaia di persone da superare è stata una mazzata. Ho poi proseguito lentamente fino al 25° km circa, ritirandomi prima della parte totalmente corribile. Lì il senso di conservazione (e anche di frustrazione) ha prevalso, criticabile o meno che sia la decisione. Vista però la buona forma, ho pensato la settimana successiva di tentare quel percorso che pensavo dall’estate e che attraversa il Maryland sull’Appalachian Trail, il cosiddetto 4 State Challenge, che parte dal confine con la Pennsylvania, tocca la Virginia per terminare al confine con la West Virginia. Purtroppo anche in questo caso non è andata a buon fine, dovendo interrompere a soli 6 km dalla fine, prima a causa di alcune incomprensioni con l'assistenza sul percorso, poi a causa di un treno che ha bloccato il passaggio per oltre 10 minuti. Ho però avuto la conferma della bontà della mia preparazione. Il percorso del 4 State Challange è di 67 km e 2000 metri positivi circa su un terreno divertente. Il tempo che avrei dovuto impiegare sarebbe stato di circa 6h30’. Fermatomi praticamente dopo 60 km, ero in linea per battere il FKT.

Aveva funzionato la mia preparazione? Avrei fatto qualcosa di diverso? La sensazione che ho avuto nei primissimi chilometri della JFK era quella di essere al 95%, stavo bene, ma ancora leggermente “ingolfato”. Probabilmente mi sarei sbloccato con l’andare dei km e soprattutto nell’ultima parte, come spesso mi è accaduto, ma non ho la controprova. La settimana successiva invece la sensazione era di rara freschezza sin da subito, al 100% delle mie potenzialità. Spingevo continuamente in salita e in piano, anche l’agilità in discesa, nonostante non avessi allenato questa caratteristica, era quella dei giorni migliori. Nei pochi tratti corribili andavo facilmente su ritmi intesi appena oltre i 4’/km. La sensazione era quella di avere sempre margine, condizione che capita raramente e solo al termine di una preparazione perfetta. L’unica cosa quindi che avrei modificato sarebbe stato quello di iniziare lo scarico pre gara con qualche giorno in anticipo. Per il resto, sono impaziente di provare ancora questa ricetta in una gara futura, convinto della sua bontà. Speriamo nel prossimo anno.

mercoledì 14 ottobre 2020

Meglio allenarsi dove si va già bene o dove si fa più fatica?

Per un trailrunner, è meglio allenare un terreno, una caratteristica, una particolarità dove già si va bene e ci si sente già a proprio agio? Oppure allenare dove si hanno più difficoltà? Bè, sia una che l’altra, ma bisognerebbe allenare di più dove si va peggio, soprattutto in funzione degli obiettivi. Se si subisce la camminata su salita molto ripida ma non si hanno in programma gare o percorsi su quel terreno ha poco senso dedicarci del tempo. Stesso discorso al contrario, se si ha in programma un percorso (o più percorsi o gare) su terreni ultratecnici con percorsi di montagna non è necessario dedicare troppo tempo alla corsa in piano, sebbene sia sempre da non tralasciare. C’è anche da considerare poi il fatto, per niente banale, che ci si allena dove si riesce. Se si ha in programma qualcosa di importante con salite molto lunghe e grandi dislivelli ma si vive in pianura, ecco, si fa di necessità virtù, non c’è troppa alternativa; si possono comunque adattare e integrare l’allenamento in piano con esercizi funzionali alla salita, quindi molto potenziamento ed eventualmente bicicletta. Oppure capita anche il contrario, che si vive in zone collinare o proprio di montagna e non si hanno a disposizione percorsi pianeggianti che potrebbero essere utili per i progetti che si hanno in mente. Una delle cose più difficili, ad esempio, è allenare la discesa. Chi vive in montagna, oltre ad avere una maggiore possibilità di sfruttare i dislivelli, ha anche una naturale predisposizione dovuta all’abitudine con certi sentieri e il tipo di sforzo muscolare, mentre per chi vive in pianura o in zone senza discese ripide e tecniche è ovviamente più complicato, se non impossibile, allenarsi sul terreno specifico, e al massimo può lavorare sulla muscolatura e sulla reattività dei piedi.

Insomma, il trail running è sempre uno sport parecchio complicato (ma anche semplicissimo) per via dell’enorme diversità dei sentieri, delle distanze e dei dislivelli delle gare e dei percorsi, oltre che delle condizioni meteo e mille altre variabili. E questo è il suo bello, non basta semplicemente correre. Meglio si è preparati per tutti i diversi tipi di sentieri che si incontreranno (salita ripida da camminare, salita facile da correre, scalini, discese ripide o scorrevoli, continui saliscendi o salite lunghe, lunghi rettilinei, e così via), meglio è. A fare a differenza è la capacità di adattarsi ai continui cambi di sforzo muscolare e di ritmo. Riuscire a combinare nel modo migliori i diversi stimoli allenanti, soprattutto concentrandosi sulle proprie carenze, può aiutare molto a sostenere egregiamente ogni diverso percorso.

Faccio qualche esempio sulla mia esperienza.

Quando ho iniziato a correre regolarmente trail e ultratrail non ero particolarmente bravo nel camminare in salita, anche se ero forse abbastanza predisposto per via della muscolatura e non la pativo così troppo. Però venendo dalla pianura e senza grossi trascorsi in montagna era di sicuro un gesto che mi richiedeva più fatica che la pura corsa. Così per diverso tempo, durante i miei inizi tra 2010 e 2011, mi sono concentrato ad abituarmi sempre di più alle ripide pendenze, sacrificando forse persino troppo la velocità in piano. Però col tempo affrontare salite lunghe dove camminare è stato sempre più facile, fino al punto che in gara delle volte non vedo l’ora di incontrare un tratto ripido dove poter camminare.

Altro esempio. Nel 2014 dovevo correre il Trofeo Kima. Avevo già affrontato quella gara nel 2012, ma ero piuttosto impedito nei tratti più tecnici, nonostante in discesa generalmente mi difendessi decentemente. Nei tratti attrezzati con catene ero lento, impacciato, insicuro, inoltre faticavo molto su tutte quelle pietraie e su salite così ripide a ritmi intensi ad alta quota. Nel 2014 già durante l’anno avevo corso molte gare più tecniche, con molte skyrace in alta quota. L’ultimo mese poi mi concentrai ancora di più sui tratti attrezzati, andando a cercare in allenamento dei percorsi con catene da affrontare su e giù per decine di minuti, sia per abituarmi all’esposizione che per migliorare la tecnica e non perdere troppo tempo a capire dove mettere mani e piedi. Addirittura un paio di volte mi ero allenato in casa su una scala allungabile legata al balcone di casa, facendo su e giù per decine di minuti e abituandomi a un minimo di esposizione (pochi metri, ma pur sempre qualcosa). In gara poi mi sentii tranquillamente a mio agio facendo una buona prestazione per le mie capacità, con solo una piccola crisi prima dell’ultima salita che mi fece perdere la possibilità di entrare nella top 20 che era sicuramente a portata.
Ma c’è stato anche l’esempio al contrario. Ad esempio nei miei primi anni nel mondo trail, tra 2010 e 2013 circa, come accennato mi concentravo solo ad accumulare dislivello trascurando quasi del tutto la corsa in piano. Così in ogni gara finivo nella condizione paradossale di soffrire proprio i tratti più corribili, nonostante vivessi in pianura!
Negli ultimi anni invece mi sono dedicato a migliorare la corsa in salita, cosa che fa la differenza specialmente in gare lunghissime. Credo che saper correre senza particolare dispendio energetico su molti tratti in salita dove normalmente, anche a buoni livelli, si cammina, sia stato uno dei motivi che più mi ha aiutato a raggiungere il risultato dell’UTMB nel 2018.
Solo col tempo, affinando gli allenamenti e stando più attento a certi particolari, sono riuscito a trovare spesso il modo migliore per prepararmi dove mi sento più carente prima di una specifica gara.

Insomma, spostare la propria comfort zone e migliorare nei terreni dove si va peggio non è facilissimo, ma è sicuramente un ottimo modo per divertirsi di più su tutti i percorsi.

giovedì 10 settembre 2020

La mia settimana tipo: per quando manca poco tempo, o per affinare la forma

Un classico che si legge nei programmi di allenamento di top runners vari è “la settimana tipo”, una specie di Santo Graal del quale tutti sono alla ricerca. Anche per un allenatore è una bella sfida trovare questa benedetta “settimana tipo”, la settimana dove amalgamare al meglio le diverse sedute, perché si sa, allenare è un po’ come cucinare, l’importante non è solo avere gli ingredienti, ma anche e soprattutto saperli mixare nel modo giusto. In realtà però la questione è un po’ più complicata, perché ci dovrebbe essere una settimana tipo diversa per ogni persona, per ogni periodo di allenamento e per ogni obiettivo. Anzi, ogni settimana dovrebbe proprio essere diversa. Quindi in sostanza, la settimana tipo non esiste. Tuttavia, nel mio caso ho svolto diverse volte un piccolo blocco che mi ha sempre aiutato molto a raggiungere una buona forma in un tempo ridotto, una sorta di programma di emergenza quando per motivi diversi avevo potuto fare poco nel periodo precedente. Così con qualche correzione nel tempo questo blocco è diventato la mia settimana ideale da affrontare ad esempio 2 o 3 settimane prima di una gara, da modificare a seconda del tipo di percorso da affrontare e sulla base della forma del momento.

Lunedì: bici agile di recupero (dato che il weekend precedente avrò probabilmente fatto degli allenamenti più lunghi);
Martedì: corsa lenta collinare + addominali e parte superiore;
Mercoledì: ripetute in piano (o su salite brevi) + forza gambe;
Giovedì: camminata intensa in salita (o bici con salite a intensità media, o mtb+scalinata camminata veloce);
Venerdì: corsa lenta in piano di recupero + pliometria (ma davvero poco, giusto un po' di corsa e qualche saltello per la reattività dei piedi);
Sabato: ritmi medi/intensi in salita lunghe;
Domenica: lungo lento con qualche tratto un po’ brillante (qualche volta con dieta ipoglucidica tra sabato sera e domenica mattina, a seconda della forma e della gara da affrontare).

Le sedute del sabato e della domenica possono anche essere entrambe lente, oppure con uno dei due giorni a ritmi più intensi, dipende dalla forma e dall'obiettivo.
Esempi di weekend diversi possono essere stati:
- 2 settimane prima della Daigonale des Fous 2017, per recuperare dopo settimane con problemi vari, 2 allenamenti da 6 ore circa ciascuno su terreno abbastanza tecnico a ritmo lento;
- 2 settimane prima dell’Ecotrail du Paris 2019, 50 km pressoché pianeggianti (qualche leggero saliscendi) a ritmo lento brillante il sabato + 2 ore trail con qualche breve salita ripida brillante la domenica;
- i weekend precedenti sia del Trail La Corsa della Bora che del Trailaghi XL 2019 (percorsi simili, rispettivamente 57 km 2650 m+ il primo [concluso al 4° posto con passo regolare], 54 km 2200 m+ il secondo [vinto dopo un bel finale di gara]), 2h30’ con salite medio/lunghe a ritmo intenso il sabato + 2h30’ lento su trail misto la domenica.
Anche la durata delle altre sedute dipende dallo stato di forma e dalla gara da preparare. Il lunedì in bici può essere di 1h/1h30'; idem il collinare di martedì; il mercoledì possono variare dai 6x1000 in pianura ai 5x4' in salita, ma ripetute più lunghe con un volume sui 12 km di lavoro, tipo 5x2000 o altre sedute più complicate, più una decina di minuti di esercizi di forza (niente di esagerato, ma utili per migliorare la capacità di spingere con gambe stanche); il giovedì mi piaceva molto fare 30' mtb + 40'/50' camminata su e giù da una scalinata + 30' mtb, in ottica migliorare la tecnica di camminata con recupero ancora incompleto dal giorno precedente, oppure un giro in bici con saliscendi a media intensità, possibilmente da seduto, oppure salita lunga camminata con qualche variazione di passo; il venerdì di recupero 45'/1h15', con eventuali esercizi per una decina di minuti (ma come detto, più lavori di reattività che vera e propria pliometria), se non ci sono particolari dolori o fastidi muscolari.

Questi sono esempi che andavano bene per me e in determinate condizioni, non è detto che possano andare bene per tutti. Ma una settimana di questo tipo è di sicuro una buona traccia che a volte mi capita di seguire anche con gli atleti che alleno. Spesso funziona.

giovedì 6 agosto 2020

Velocità per gli ultratrail?

Velocità e ultratrail per molto tempo non sembravano andare troppo d'accordo, e ancora oggi in effetti è difficile convincere tutti i trail runners dell'utilità di allenamenti ad alta intensità, sia in pianura che in salita.
Naturalmente non si sta parlando di allenamenti da centometristi, né tantomeno da mezzofondisti (o quasi), ma alcune sedute specifiche possono essere molto utili per migliorare le proprie qualità di base, sia a livello cardiorespiratorio che muscolare. Delle volte c'è il pensiero che allenamenti intensi stimolino fibre veloci a discapito delle fibre lente, ma non è proprio così, non è una questione di fibre, e in ogni caso, alcuni tipi di allenamenti sull'esplosività, come gli sprint in salita, possono essere utili anche per sport di endurance.

Quali sono quindi le sedute di intensità utili per l'ultrail? E quali vantaggi comporterebbero?

- Sprint in salita, dai 6” ai 30" (esempio 10-15x10", con recupero di 1'). In genere la durata è tra i 10” e i 15", oltre diventa uno stimilo lattacido più utile proprio per il mezzofondo, ma può talvolta servire anche per il trail. Lavorando sulla forza esplosiva si avrà una minor spesa energetica ad andature più basse. Può essere inoltre un ottimo allenamento cardiaco dovuto al rapido innalzamento della frequenza durante lo sforzo. Utile anche per migliorare la meccanica di corsa grazie alla naturale spinta con l'avampiede e al richiamo accentuato del ginocchio, e la reattività neuromuscolare grazia alla rapidità di appoggio (si spera).

- Interval training, dai 15" a 1’ (esempio 12x15" veloci/15" lenti, oppure 10x30" veloci/30" lenti). Anche in questo caso si lavora sulle qualità cardiache, dato che essendoci un breve recupero tra le variazioni il cuore rimane su alte frequenze, mentre a livello muscolare la brevità dello sforzo non permette di affaticarsi troppo (se la velocità rimane un minimo controllata, non devono essere degli sprint massimali). È ottimo anche per migliorare la tecnica di corsa, ampliando e velocizzando la falcata (personalmente preferisco di gran lunga questo allenamento – oltre agli sprint in salita - per la tecnica rispetto ai famosi “allunghi tecnici”, che se fatti male rischiano di portare più facilmente all'infortunio, dato che vengono effettuati spesso su range di movimento eccessivamente oltre le proprie possibilità). Si può effettuare in ogni momento della preparazione e della stagione. Li preferisco di gran lunga poco prima e poco dopo una gara, vista la loro peculiarità nel dare la sensazione di “risveglio" alle gambe senza un eccessivo affaticamento generale.

- Fartlek, variazioni dai 30" ai 3’ (esempio 5×2’ veloci/1’ lenti/1’ veloci/1’ lenti). (Premessa per i precisini: il fartlek vero e proprio sarebbe un gioco di velocità in base a sensazione o al percorso, ma è ormai praticato ovunque con vincoli di tempo. Inoltre le differenze tra interval training, intermittent training, fartlek sono spesso minime e sottili, non è mia intenzione aprire un dibattito su cosa sia degno di essere chiamato come). Generalmente svolto su tempi più lunghi rispetto all’interval training, è incentrato quindi più su un lavoro sulla soglia anaerobica, ma senza l'enfasi che richiedono le classiche ripetute. Banalizzando, dà stimoli importanti senza eccesso di fatica, sia fisica che mentale. Può essere ideale da svolgere quando condizioni meteo o di percorso non permettono la massima espressione di velocità, oppure per persone che non amano particolarmente correre su un terreno misurato, o alla ripresa dopo una pausa, o in un momento di non particolare forma, proprio per via dell’importanza delle sensazioni rispetto al puro ritmo. Svolto su un circuito collinare da ripetere più volte può servire per migliorare nei cambi di pendenza, oltre che in discesa (andare velocemente per un 1 minuto o 2 in discesa può essere un buon modo per migliorare la tecnica, il colpo d'occhio, le qualità muscolari, dato che probabilmente in questi brevi intervalli di tempo si andrà più veloci che durante un lungo trail).

- Fartlek/variazioni in salita (ad esempio 8x1’ forte/1’ piano). Utile per allenare la velocità ascensionale su terreno specifico, soprattutto quando ci si prepara per gare con salite lunghe (tra le decine di minuti o un'ora e oltre). Oltre a migliorare le qualità fisiche generali, allena la forza specifica per la salita. Dato che durante il recupero nel tratto lento non si smaltisce totalmente l’acido lattico, è ottimo per migliorare la resistenza alla fatica e i cambi di ritmo. La durata può andare dai 10' ai 40' o anche oltre, dipende dall'obiettivo che si vuole raggiungere, ma anche e soprattutto da cosa si ha a disposizione.

- Ripetute brevi, dai 400 ai 1000 metri (esempio 10x400, 6x1000). Utili per migliorare la potenza aerobica, o la massima velocità aerobica, quella che si può realmente chiamare ‘velocità di base’. Si va a stimolare il massimo consumo di ossigeno e i ritmi sono più veloci rispetto alla soglia anaerobica, infatti la produzione di acido lattico permette di tenere questi ritmi per poco tempo e pochi chilometri, di solito tra i 4 e i 6. Utili soprattutto a inizio preparazione per migliorare appunto la velocità di base, ma anche durante l'anno per dei richiami. Permette di gestire meglio le partenze e i ritmi medi di gare tirate. Ma è utile anche per chi affronta gare lunghissime: più giri ha a disposizione il motore, più si possono affrontare ore e ore ad andature lente più alte. Si possono svolgere a tempo per chi non ama i percorsi misurati, sovrapponendosi quindi al fartlek.

- Ripetute su salite brevi, dai 2’ ai 5’ (ad esempio 10x2’, o 5×4’). Si lavora ad un incrocio tra la massima velocità aerobica e la soglia anaerobica, ma in salita. Utile per il miglioramento non solo a livello organico, ma anche muscolare. Il recupero tra una serie e l'altra può aiutare ad allenare una corsa decontratta in discesa. Può migliorare anche la capacità di adattarsi a continui cambi di pendenza tra salita e discesa. Si può inserire più o meno sempre, a seconda dell'obiettivo.

- Ripetute medio lunghe, dai 1000 ai 3000 metri, o anche 5000, ma lì si entra più su ritmi medi – escludendo atleti elite (esempio 10-12x1000, oppure 5-6×2000, o ancora 3000+2000+5×1000). Questo è il tipico allenamento per la soglia anaerobica che si effettua normalmente per gare dai 10000 alla maratona, ma non solo. Nel trail e nell'ultratrail è una seduta un pelo meno importante rispetto alle sedute per la massima velocità aerobica, ma può essere comunque utile per allenare la tenuta alla velocità, soprattutto per atleti di classifica e per alcuni tipi di gare. Può dare qual qualcosa in più sia a livello fisico che mentale, ma è una seduta un po’ più delicata da recuperare, anche per chi macina centinaia di km o migliaia di dislivelli a settimana, in quanto è molto esigente. Per quanto fruttuoso, non bisogna abusare di questo tipo di allenamento. Anche in questo caso si possono effettuare le ripetizioni a tempo per chi non ha a disposizione un percorso segnato (ad esempio 10x4', oppure 5x8').

- Ripetute lunghe in salita, dai 5’ ai 20' (esempio 3x15', o 2x10'+4x5’+5×3’). Qua si lavora sulla soglia anaerobica in salita, decisamente un allenamento completo fisicamente e molto utile per migliorare quando la pendenza aumenta. Buono da inserire prima di gare molto intense per trovare i ritmi giusti, per migliorare nelle salite iniziali (dove tutti partono a bomba). Effettuando i recuperi in discesa ci si abitua a ripartire forte in salita con la muscolatura affaticata dallo sforzo eccentrico della discesa, nonostante il recupero, che non va fatto forte, ma essendo appunto in discesa richiede un minimo impegno di muscolare. La durata del lavoro specifico dovrebbe durare intorno ai 40’-45' per rimanere in modo specifico sulla soglia anaerobica, ma aumentando fino a 1h20’-1h30' di lavoro si agisce sulla tenuta per lunghi tratti, cosa sempre più importante in gare di corta e media distanza. Essendo anche questa una seduta molto esigente, non bisogna abusarne. Inoltre, considerando le discese, più il riscaldamento e il defaticamento, si può inserire all’interno di un allenamento lungo, dalle 2h30’ alle 4h. Si puè effettuare anche sulla base del dislivello (ad esempio 3-4x300-400 m+, ma personalmente preferisco a tempo, più gestibile).

In tutte le ripetute in salita tutto poi cambia a seconda della pendenza e del terreno. Questa si modifica a seconda dell'obiettivo che si cerca, e anche in questo caso, a seconda di cosa si ha a disposizione.
 
Ci sono poi una miriade di altri possibili allenamenti specifici sulla velocità, che vanno da gare corte in pianura ai vertical in salita, oppure scalinate fatte di sprint o con camminata veloce, ripetute in discesa, sedute miste tra ripetute lunghe e ripetute corte, o ancora variazioni intense miste tra salita e pianura (ottime saper rilanciare nei cambi di pendenza in gare molto intense e non troppo lunghe). L’importante è che i diversi tipi di allenamento vengano fatti nei giusti momenti, nelle giuste dosi e per i giusti obiettivi.

giovedì 30 luglio 2020

Una curiosità su corsa e ciclisti professionisti, un possibile spunto interessante

Piccola doverosa premessa. Siamo in un periodo decisamente particolare nel quale molte convinzioni stanno venendo messe in discussione spesso in toni e modalità sbagliate o con teorie strampalate, in particolare per ciò che riguarda la scienza. Non c’è quindi la mia minima intenzione di andare contro ciò che è stato assodato finora negli studi riguardo fisiologia e attività motorie. Per fortuna ci sono ancora un’infinità di cose da scoprire riguardo il movimento del corpo umano, lo dimostrano le sempre nuove metodiche di allenamento e i continui miglioramenti delle prestazioni nelle diverse discipline sportive. Quello di cui parlerò in questo articolo vuole essere solo uno spunto, niente di più.

Un mese fa circa aveva destato una certa curiosità vedere Wout Van Aert, ciclista belga 3 volte campione del mondo di ciclocross e facente parte della nuova generazione di fenomeni nel ciclismo, affrontare 3 sedute di allenamento di corsa durante una settimana molto intensa in un raduno in preparazione per la ripartenza della stagione che sta avvenendo in questi giorni. A me non aveva sorpreso più di tanto, considerando che nel ciclocross ci sono non pochi tratti da percorrere a piedi, soprattutto nelle gare più tecniche in Belgio, potrebbe tranquillamente rientrare in un’ottica di mantenimento per la sua attività invernale. Ma ho pensato anche a diversi altri casi degli ultimi tempi di cui ero a conoscenza, come ad esempio Nino Schurter, campione olimpico e pluricampione mondiale di mountain bike, tra i più grandi interpreti di sempre della specialità e famoso anche per i suoi allenamenti molto originali, che mantiene durante la stagione molta corsa a piedi, fino a sfiorare il 10% del tempo totale annuale. Ma ci sono altri casi, forse più sporadici, ma comunque curiosi. Ricordo Romain Bardet, tra gli scalatori francesi più forti degli ultimi anni, vincitore di un trail sulla neve in inverno, o Gioele Bertolini, campione italiano di ciclocross e mountain bike, capace di correre e molto forte alcune brevi corse in salita durante gli scorsi anni nel periodo di fine estate, durante il passaggio da una disciplina all’altra. Oppure ricordo persino una stories su Instagram di Remco Evenepoel, il nuovo fenomeno del ciclismo mondiale, nella quale si mostrava correre su un tapis roulant durante un ritiro a inizio stagione con la propria squadra, un esempio forse sciocco e che non significa nulla, ma comunque curioso.

Quello che voglio dire non è certo che ora i migliori ciclisti del mondo sono più forti perché si allenano a piedi. Non ci si è improvvisamente inventati nulla di così clamorosamente semplice e allo stesso innovativo. La mia è solo una riflessione su come delle volte i passi in avanti nella preparazione atletica vengano fatti quando si va contro certe convinzioni radicate, e quella della corsa come gesto “inquinante”, vista la contrazione eccentrica dei muscoli rispetto alla contrazione concentrica della pedalata, è sempre stata una delle più grandi convinzioni nel ciclismo. Ricordo che Aldo Sassi (storico direttore del Centro Mapei e tra i migliori preparatori di ciclismo degli ultimi decenni) aveva fatto degli studi riguardo probabili vantaggi nella forza concentrica anche dopo aver svolto sforzi eccentrici (che poi funziona così anche nel culturismo), ma forse si è tenuto tutto ciò nel cassetto per un po’ di tempo, non so se per timore o tradizione o altro. Per fare un altro esempio nel ciclismo per decenni si sono usati i classici metodi per migliorare la forza, soprattutto le famose SFR, mentre ormai è sempre più chiara l’importanza di inserire sedute di forza massima anche in palestra durante la stagione agonistica. Guardando alla corsa a piedi, nella maratona per decenni si è pensato al volume e a certi tipi di allenamento, mentre ora si tende sempre di più ad allenare la velocità concentrando sedute più lunghe a ritmi medi a discapito del volume totale, e viceversa nel mezzofondo veloce si sta capendo sempre più l’importanza di buoni volumi di chilometraggio e meno esasperazione dei lavori lattacidi.

Figuriamoci nel trail e nell’ultratrail, sport praticamente ancora neonati dal punto di vista della preparazione: anche qua si sta capendo sempre di più l’importanza della cura della velocità, anche per chi non punta a risultati agonistici, o l’importanza del cross training per aumentare il volume di lavoro aerobico riducendo il rischio di infortuni. Insomma, nel trail c’è un mondo ancora da scoprire riguardo la preparazione. Faccio un altro piccolo esempio personale. Mi è capitato sempre più spesso che dopo 5-10 giorni da un allenamento lungo e mediamente intenso o una gara, sempre lunga (da 4 a 10 ore), sul breve – che siano garette di 5-10 km o ripetute di breve distanza - vado più forte persino rispetto a periodi in cui ho preparato specificamente la velocità, nonostante muscoli ancora doloranti e magari un po’ di stanchezza generale. Come mai? Delle risposte ci sarebbero, ma chi farebbe mai correre ad un proprio atleta un allenamento lungo e intenso o una gara lunghissima prima di una gara breve? Nemmeno io lo farei con me stesso, me ne sono accorto quasi per sbaglio. Ripeto, c’è ancora tantissimo da scoprire sull’allenamento per il trail running, ed è una cosa bellissima.

mercoledì 22 luglio 2020

Prepararsi per un'ultratrail senza gare preparatorie: l'importanza del back to back (o weekend shock)


Si intravede all’orizzonte la sempre più concreta possibilità di alcuni ultratrail da settembre. Già ci sono stati eventi a cronometro di breve durata, soprattutto di corsa in montagna, mentre in Francia alcune gare ultra sono già iniziate (alla faccia di chi voleva a priori rimandare tutto all’anno prossimo già da febbraio: scusate la solita parentesi, ma me la sono legata al dito). Nel frattempo ognuno si è sbizzarrito in modo diverso tra esplorazioni di posti nuovo, salite di vette, gare virtuali, percorsi di gare annullate, FKT, lunghi giri in bici… Non sarà facile arrivare pronti per gli ultratrail di settembre, specialmente quelle gare lunghissime, diciamo oltre i 90 km e i 4000 metri di dislivello, che solitamente richiedono altre gare di preparazione, sia come allenamento fisico e mentale, che per testare materiali e alimentazioni.
Sarà difficile arrivare al 100%, ma ci si può comunque preparare in modo adeguato per poter terminare in buone condizioni qualsiasi gara. Anzi, se si hanno anni di esperienza e le gambe hanno accumulato già un sacco di km e dislivelli, potrebbe anche succedere che una maggior freschezza traduca il tutto in un migliore risultato finale. In ogni caso, per evitare infortuni, ridurre la possibilità di grosse crisi in gara e avere un miglior recupero post sforzo, è bene riuscire ad allenarsi in modo adeguato.

Data la difficoltà per molti di eseguire allenamenti lunghissimi, bisognerà adottare soluzioni alternative, da eseguire isolatamente oppure combinare insieme:

- Fare un paio di cicli di circa 10-15 giorni consecutivi cercando di accumulare un dislivello medio settimanale il più possibile vicino a quello da affrontare in gara, senza sedute lunghissime ma tenendo un certo impegno costantemente (da 1 a 3 ore al giorno, a seconda del tempo a disposizione e del livello atletico), allo stesso tempo senza strafare e mantenendo dei giorni di recupero per evitare sovrallenamento e infortuni. Non è semplicissimo e necessità di una certa sensibilità, ma può aiutare molto.

- Aggiungere degli esercizi di forza, anche brevi, al termine degli allenamenti più corti in settimana, soprattutto per chi ha poco tempo e poco dislivello disponibile. Molto utile per rinforzare le fibre muscolari, non tanto in potenza, ma proprio in resistenza ai ripetuti traumi, specialmente delle discese.

- Fare delle sedute in bicicletta possibilmente con molto dislivello e con salite lunghe, ma ovviamente necessita di tempo, percorsi, e deve piacere la bici, perché non a tutti i trailrunners piace pedalare, anzi.

- Effettuare i back to back (per dirlo all’americana, o weekend shock, alla francese), di sicuro il metodo più vicino a simulare le condizioni fisiche di gara. È un allenamento che già normalmente preferisco di gran lunga rispetto ai lunghissimi. Permette di dividere lo sforzo in 2 giorni (o anche 3), con meno stress fisico e mentale. Semplicemente consiste in due sedute di media/lunga distanza in due giorni consecutivi. Se associato a una dieta ipoglucidica tra i due allenamenti funziona ancora meglio, ma è una pratica da svolgere gradualmente e possibilmente sotto l’aiuto di un nutrizionista. Insomma, è una cosa che io faccio al massimo 2 o 3 volte all’anno, ma che non consiglio a nessuno per evitare spiacevoli danni.

Parlando del back to back, che è quello che più mi preme spiegare, facciamo qualche esempio. Per una gara da presunte 15 ore di percorrenza, invece che fare un singolo allenamento lungo di 8/10 ore e che si sarebbe potuto fare in un’altra gara preparatoria, si possono dividere quelle 8/10 ore in due sedute consecutive di 4/5 ore. Naturalmente non bisogna arrivarci da zero, ma gradualmente, partendo da back to back più corti, cosa che spesso già accade per molti, visto che generalmente nei weekend si fa di più già durante tutto l’arco dell’anno. Idem se si sta preparando una ultra ultra, anche sulle 30 ore o oltre di percorrenza. In quel caso il back to back può anche arrivare ad essere un weekend dove fare 10 ore al giorno. Si può effettuare anche inserendo una lunga seduta in bici, specialmente chi è reduce da infortuni o ha qualche acciacco latente da tenere a bada. L’importante è accumulare un buon volume di ore e di dislivello.
Una condizione essenziale per fare questo tipo di allenamenti è avere una minima freschezza psicofisica (quindi senza esagerare nei giorni precedenti), e recuperare in modo adeguato i giorni successivi.
Il back to back è utile in quanto dà stimoli davvero importanti al proprio fisico, per migliorare le qualità di endurance e creare gli adattamenti metabolici e muscolari necessari per terminare in modo più che decoroso le gare più lunghe.

lunedì 20 luglio 2020

La settimana di scarico, questa sconosciuta

Una delle cose più difficili da fare come atleta è il dover accettare dei periodi di recupero (la vecchia settimana di scarico), e una delle cose più difficili da allenatore è il far accettare ai propri atleti la necessità di avere dei periodi di recupero. In realtà non è così difficile quando c’è una gara in vista, con quello che modernamente viene chiamato tapering (appunto, il vecchio scarico pre gara), ma in periodi senza eventi è un po’ più complicato. Per fortuna alcune gare probabilmente verranno corse (alla faccia di chi prospettava uno stop totale a tempo indeterminato: scusate la parentesi), alcuni hanno corso in solitaria su particolari percorsi o hanno in programma di farlo, ma per molti ancora non ci sono obiettivi chiari in programma, e quando non c’è un obiettivo chiaro diventa anche più difficile avere una programmazione chiara dell’allenamento.

 Come funziona di solito?
Di solito, se si fa un minimo di programma stagionale e di cicli di allenamenti, si alternano 2 o 3 settimane di carico e una di scarico, detto il tutto banalmente, perché non sempre è così. Chi ha poco tempo per allenarsi e già fatica a correre 3 volte a settimana e ha problemi anche ad inserire il lungo, scaricare significherebbe delle volte non fare quasi nulla. Spesso ci sono gare che fanno parte del programma di avvicinamento ad un evento più importante (o di distanza maggiore), e allora diventa semplice fare la settimana di scarico prima di queste gare. Negli ultimi anni poi l’utilizzo di alcune app per controllare quotidianamente lo stato di forma attraverso la valutazione di alcuni parametri fisici ha modificato un po’ questo metodo, ma non tutti usano queste app, che hanno delle volte anche alcune limitazioni (sebbene possano essere molto molto utili).

 Com’è andata quest’anno?
In questo strano anno mediamente è andata così. Ci si stava preparando bene fino a febbraio, qualcuno stava raggiungendo un’ottima forma, qualcun altro stava ancora costruendo la base sul quale lavorare nei mesi successivi. Poi è arrivato questo maledetto virus, con lockdown e impossibilità di correre. Qualcuno ha mollato il colpo, mentre altri si sono allenati quasi più del solito con metodi alternativi. Quando poi a maggio si sono “riaperte le gabbie” quasi tutti abbiamo fatto più di quello che la saggezza suggeriva, ma era comprensibile. Così ci si è ritrovati a giugno con sempre maggiori libertà, una forma migliore di quello che si pensava (magari non sempre, ma per molti è stato così), e si è proseguito a correre, andare in bici o in montagna senza sosta. Poi però è arrivato il caldo, e spesso è arrivata anche la stanchezza, proprio perché non ci si sono concesse pause.

 Cosa fare quindi?
Se prima normalmente era più semplice inserire delle settimane di recupero durante una programmazione chiara, ora è più complicato, proprio per via di obiettivi aleatori, ma anche perché si vuole semplicemente sfruttare l’occasione di fare attività all’aperto e basta, senza tante menate. Inserire una o più settimane con allenamenti più brevi e meno intensi (considerando che generalmente l’intensità in estate viene comunque spesso ridotta per via del caldo) sembra quasi uno spreco, ma rimane ugualmente una cosa da fare per evitare infortuni e affaticamenti, oltre che per avere l’effetto di supercompensazione in grado di migliorare le proprie qualità fisiche, che male non fa, anche in vista di progetti solitari o di semplice mantenimento della forma.

 Quando inserire la settimana di recupero?
Ovviamente dipende sempre dai casi, ma generalmente, visti i programmi un po’ diversi dal solito e indirizzati più ad un miglioramento e mantenimento generale che alla ricerca della massima forma per un obiettivo preciso (anche se, ripeto, qualcosa all’orizzonte si sta intravedendo e anche solo fare da soli un certo percorso rimane un obiettivo importante e che merita rispetto), si può inserire un periodo di recupero semplicemente quando si sente stanchezza e sta venendo un po’ meno la voglia di impegnarsi. È una condizione normale, non c’è nulla di cui vergognarsi o preoccuparsi, l’importante è accorgersi in tempo e tirare un po’ il fiato, anziché fare di più pensando di dover recuperare la forma. In questi casi sono soprattutto l'esperienza e la capacità di sapersi ascoltare ad aiutare a capire quando la stanchezza è eccessiva. Se invece c’è un obiettivo di qualche tipo, allora la preparazione necessita di una certa logica nel quale rientrano per forza di cose anche dei periodi di recupero. Delle volte (anzi, forse molto spesso) questo periodo di recupero può coincidere con un momento lavorativo particolarmente intenso che non permette di allenarsi nelle migliori condizioni, oppure con delle vacanze in luoghi non troppo adatti ad allenamenti particolari.

 E se si sta bene bene si recupera lo stesso?
Soprattutto se c’è qualche obiettivo in particolare, sì. Il rischio di non recuperare è quello di continuare a spingere, raggiungere un picco di forma, passarlo, e arrivare al giorno dell’evento in fase calante. A maggior ragione quindi è importante inserire dei periodi di recupero. Per fare un esempio, mettiamo che ci sia un appuntamento sportivo a cui si tiene particolarmente tra un mese. Ci stiamo allenando tanto e bene da un paio di mesi almeno, la forma è buona. Non sentiamo la necessità di recuperare e continuiamo a spingere. Per un paio di settimane magari si va ancora bene, però senza recupero arriva per forza di cose il momento dell’affaticamento. Recuperare poi solo nelle ultime una o due settimane può non essere sufficiente a raggiungere il giusto livello di freschezza psicofisica. Ecco perché in questo esempio sarebbe opportuno inserire una settimana tranquilla prima di un ultimo blocco importante di allenamento di una settimana o 10 giorni, per poi affrontare il tapering finale partendo da una condizione di normale affaticamento, ma non di sovraffaticamento, che sarebbe difficile da smaltire in tempo. È un esempio banale, ci sarebbero mille considerazioni da fare nel mezzo, ma era per far capire l’importanza di ascoltarsi, di aver pazienza e di non voler strafare. E recuperare, ogni tanto.