venerdì 18 dicembre 2020

La mia preparazione per JFK 50 miler e Appalachian Trail (sfighe a parte)

A fine novembre avevo in programma la JFK 50 miler, la più antica ultramaratona americana, nata nel ’63 dopo l’omicidio del presidente Kennedy, nonché una delle più competitive. Dopo un periodo di leggero calo di casi di coronavirus e visto il successo di alcune gare disputate con restrizioni e protocolli di sicurezza, è stato uno dei pochissimi eventi che si è potuto svolgere, anche se al limite, visto che proprio in quei giorni i contagi stavano di nuovo aumentando. Dopo un anno intero senza poter tornare in Italia e con pochissime gare fatte nei dintorni, per me era l’unica occasione di rilievo, a maggior ragione motivante vista la presenza di forti atleti. Essendo poi vicina a casa non avevo problemi di viaggio e logistica vari. Avevo anche in mente un piano b nel caso la gara fosse stata annullata, ovvero il tentativo di Fastest Know Time sull’Appalachian Trail del Maryland, che rimandavo costantemente dall’estate a causa di motivi vari.

La JFK è una gara particolare, in parte trail e in parte ultramaratona “classica”. Dopo la partenza da Boonsboro, i primi 4 km su asfalto sono in leggera salita, quindi un breve semplice tratto trail, una ripida salita su asfalto di circa 3 km, poi una parte di circa 16 km sull’Appalachian Trail piena di saliscendi e con passaggi non semplicissimi. Dal termine del tratto più tecnico del percorso, dopo circa 25 km di gara si parte per una vera e propria maratona su sterrato totalmente pianeggiante sul lungo fiume Potomac, per poi terminare con gli ultimi 13 km circa di asfalto su leggerissimi saliscendi che portano all’arrivo a Williamsport. Data la particolarità del percorso, anche la preparazione non è semplice. Io poi non sono molto portato per ultramaratone pianeggianti. Essendo poi questi lunghi chilometri in pianura nella seconda parte di gara, per me era ancora più complicato, visto che all’inizio non avrei comunque potuto strafare, ma piuttosto mantenere energie per il lungo tratto non troppo favorevole alle mie caratteristiche.

Intanto, la preparazione viene sempre da quello che si è fatto negli anni precedenti, e in generale in tutta la propria storia sportiva, quindi gli ultimi mesi sono solo una piccola parte della reale preparazione alla gara. Venendo da un’estate strana, con una corsa “vera” di 50 km (tra l’altro tutta pianeggiante, e quindi molto sofferta proprio per le mie caratteristiche, ma comunque vinta), un trail “virtuale” di 50 km spingendo forte e un altro trail “semi virtuale”, sempre di 50 km, fatto a ritmo moderatamente veloce, mi sentivo un po’ stanco. Il caldo di Baltimore mi ha quasi mai permesso allenamenti intensi (ho perso il conto del numero di sedute di velocità interrotte prima di svenire sotto gli oltre 40° C), quindi ho fatto molta mountain bike che era sì allenante, ma mi dava la sensazione di gambe troppo “piene” e poco reattive. I 3 mesi di preparazione alla JFK sarebbero quindi partiti con il mese di settembre con chilometraggio ridotto, pochissime pedalate (il cross training mi serve comunque sempre per ridurre il rischio di infortuni e avere diversi stimoli, oltre che divertirmi, che rimane le cosa principale), alcuni allenamenti di velocità, qualche semplice esercizio di pliometria per evitare di perdere forza, ma allo stesso tempo senza i classici esercizi di potenziamento per “asciugare” leggermente la muscolatura, e nessun allenamento lungo per predispormi mentalmente per il successivo periodo. A fine settembre un breve trail di 21 km (vinto) mi ha dato la conferma di una ritrovata brillantezza. Una settimana di recupero generale con qualche uscita in mountain bike senza spingere mi ha poi dato la giusta freschezza psicofisica (psico, più o meno, ma visto l’anno, anche quel poco era sufficiente). Da qui è partita la fase clou, 3 settimane di grosso aumento di volume, una settimana di recupero, 10 giorni di “affinamento” e 10 giorni di recupero (o tapering, per essere più moderni).

Senza entrare nello specifico di ogni singola seduta, ho modificato molte cose rispetto al mio solito, un po’ perché avevo l’impressione di avere un ristagno di prestazioni, un po’ perché avevo mentalmente bisogno di cambiare per avere più motivazione, e un po’ perché l’obiettivo era diverso rispetto al mio solito. I principali cambiamenti sono stati questi:
- molti più chilometri di corsa, con settimane di 135 km e una punta di 155, io che non sono amante dei mega chilometraggi, con solo una seduta a settimana di mtb su strada;
- lunghi “davvero” lunghi, soprattutto vista la mancanza di gare intermedie preparatorie: anche in questo caso non sono mai stato amante di lunghissimi, preferendo i back to back (2 o 3 giorni consecutivi di lunghi su distanze ridotte), ma inserire allenamenti di 4, 5 e 6 ore mi avrebbe aiutato molto in vista della gara (che avrei voluto teoricamente correre appunto intorno alle 6 ore); questi lunghi erano principalmente su percorsi trail non troppo complicati, con in mezzo qualche tratto pianeggiante; in totale pianura ho corso solo un lungo di 3 ore, tra l’altro parecchio a fatica visti alcuni dolori muscolari che avevo; una corsa di preparazione sono riuscito a farla, di 50 km, con percorso abbastanza mosso (poco più di 1000 metri di dislivello, pochissimo per gli standard italiani, ma molto per dove mi trovo), in 4h15’ circa, al termine delle prime 3 settimane di volume, con ottime sensazioni nonostante il carico;
- pochissimi allenamenti “doppi” in settimana, a favore di allenamenti singoli più lunghi;
- allenamenti il mattino a digiuno: non mi sono mai trovato a mio agio nel correre a digiuno, ma ho voluto provare a farlo più costantemente, anche se solo una volta a settimana e per corse tra i 30’ e i 60’ a ritmi molto blandi; erano questi i casi in cui ho poi fatto un secondo allenamento pomeridiano/serale;
- allenamenti di corsa anche il giorno successivo i lunghi, cosa che non facevo più da anni per il timore di infortuni; a volte qualche dolorino e fastidio c’erano, ma senza mai sentirmi a rischio di dovermi fermare; provando a osare e andando un po’ contro le mie vecchie abitudini ho ritrovato il vantaggio di queste sedute.

Questi erano i cambiamenti maggiori, in buona parte dovuti anche alle scarse possibilità di percorsi, ma anche nelle specifiche sedute ho fatto cose diverse dal mio solito, non troppo, però:
- molto fartlek intenso, quasi sempre dopo 1h o anche 1h30’ di corsa lenta;
- molta velocità in pista, sia con ripetute molto brevi (come 15x300, o 18x400), sia su distanze più lunghe (4x1500, 2x4000), ma sempre su volumi molto bassi (5-8 km di lavoro), per lavorare molto di più sulla potenza aerobica anziché sulla soglia anaerobica;
- ripetute su salite miste (con anche leggeri saliscendi) su asfalto, qua sì lavorando più sulla soglia anaerobica (ad esempio 5x6’), in vista della prima parte di gara;
- quasi nessun ritmo medio, e solo nelle ultime settimane, ma su distanze molto brevi (ad esempio 4x2500), per cercare scioltezza ed economicità del gesto senza affaticare troppo l’organismo; medi di 15, 20 o 25 km o ripetute su volumi maggiori come 10x1000 o 4x3000 mi avrebbero affaticato molto di più e avrebbero ridotto la possibilità di altre sedute impegnative nei giorni successivi, mentre allenamenti brevi e molto intensi sono più semplici da recuperare, meno dispendiosi mentalmente, e utili nel miglioramento delle qualità fisiche e dell’economicità del gesto; l’unico vero e proprio allenamento di tenuta di ritmi medio alti è stata proprio la gara di 50 km fatta un mese esatto prima della JFK e vinta con ottime sensazioni.

Facendo molti più chilometri rispetto al mio solito dovevo stare attento ai segnali di possibili infortuni, facendo attenzione al recupero. Ad esempio ho inserito spesso docce fresche alle gambe per ridurre il rischio di infiammazioni, ma senza sostituire o mascherare il normale e naturale adattamento del fisico, che è il cuore dell’allenamento. Anche qualche minuto di leggero spinning dopo le sedute più intense è stato utile per recuperare meglio. A parte alcuni giorni in cui avevo i flessori delle cosce un po’ duri e qualche leggero fastidio pubico dopo i lunghissimi, non ho avuto particolari problemi. Inserendo un giorno a settimana esercizi di tonificazione generale per il core e per i flessori i dolorini sono via via spariti in vista della gara.

In sostanza il mio allenamento è stato molto polarizzato, anzi, persino iper polarizzato. Molti chilometri lenti e pochi chilometri molto veloci, pochissimi ritmi a velocità moderata o ritmi gara. È il tipo di allenamento che trovo sempre più adatto a me, sia per caratteristiche fisiche che per livelli di motivazione e divertimento, ma sono sempre più direzionato a dare questo tipo di allenamento anche alle persone che seguo. In uno sport in cui c’è ancora moltissimo da esplorare e da scoprire sui metodi di allenamento, sto maturando l’idea che spesso questo sia una “ricetta” che funziona.

Ma poi com’è andata la gara? Come molti sapranno, purtroppo male a causa di un errore di percorso dopo pochissimi chilometri. In sostanza, all’inizio del tratto sull’Appalachian Trail dopo meno di 10 km, ho sbagliato direzione del sentiero, facendo un lungo giro extra di 2 km trail, più un altro paio di km della ripida salita in asfalto che avevo appena percorso. In una gara dove mi giocavo tempo e piazzamento sui minuti, avere sul groppone oltre un quarto d’ora e centinaia di persone da superare è stata una mazzata. Ho poi proseguito lentamente fino al 25° km circa, ritirandomi prima della parte totalmente corribile. Lì il senso di conservazione (e anche di frustrazione) ha prevalso, criticabile o meno che sia la decisione. Vista però la buona forma, ho pensato la settimana successiva di tentare quel percorso che pensavo dall’estate e che attraversa il Maryland sull’Appalachian Trail, il cosiddetto 4 State Challenge, che parte dal confine con la Pennsylvania, tocca la Virginia per terminare al confine con la West Virginia. Purtroppo anche in questo caso non è andata a buon fine, dovendo interrompere a soli 6 km dalla fine, prima a causa di alcune incomprensioni con l'assistenza sul percorso, poi a causa di un treno che ha bloccato il passaggio per oltre 10 minuti. Ho però avuto la conferma della bontà della mia preparazione. Il percorso del 4 State Challange è di 67 km e 2000 metri positivi circa su un terreno divertente. Il tempo che avrei dovuto impiegare sarebbe stato di circa 6h30’. Fermatomi praticamente dopo 60 km, ero in linea per battere il FKT.

Aveva funzionato la mia preparazione? Avrei fatto qualcosa di diverso? La sensazione che ho avuto nei primissimi chilometri della JFK era quella di essere al 95%, stavo bene, ma ancora leggermente “ingolfato”. Probabilmente mi sarei sbloccato con l’andare dei km e soprattutto nell’ultima parte, come spesso mi è accaduto, ma non ho la controprova. La settimana successiva invece la sensazione era di rara freschezza sin da subito, al 100% delle mie potenzialità. Spingevo continuamente in salita e in piano, anche l’agilità in discesa, nonostante non avessi allenato questa caratteristica, era quella dei giorni migliori. Nei pochi tratti corribili andavo facilmente su ritmi intesi appena oltre i 4’/km. La sensazione era quella di avere sempre margine, condizione che capita raramente e solo al termine di una preparazione perfetta. L’unica cosa quindi che avrei modificato sarebbe stato quello di iniziare lo scarico pre gara con qualche giorno in anticipo. Per il resto, sono impaziente di provare ancora questa ricetta in una gara futura, convinto della sua bontà. Speriamo nel prossimo anno.

1 commento:

  1. il treno! vabbé ci sta nel periodo dio "acclimatamento" US . haha . grande . e grazie per la condivisione del tuo programma di allenamento che condivido 100%

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