giovedì 30 luglio 2020

Una curiosità su corsa e ciclisti professionisti, un possibile spunto interessante

Piccola doverosa premessa. Siamo in un periodo decisamente particolare nel quale molte convinzioni stanno venendo messe in discussione spesso in toni e modalità sbagliate o con teorie strampalate, in particolare per ciò che riguarda la scienza. Non c’è quindi la mia minima intenzione di andare contro ciò che è stato assodato finora negli studi riguardo fisiologia e attività motorie. Per fortuna ci sono ancora un’infinità di cose da scoprire riguardo il movimento del corpo umano, lo dimostrano le sempre nuove metodiche di allenamento e i continui miglioramenti delle prestazioni nelle diverse discipline sportive. Quello di cui parlerò in questo articolo vuole essere solo uno spunto, niente di più.

Un mese fa circa aveva destato una certa curiosità vedere Wout Van Aert, ciclista belga 3 volte campione del mondo di ciclocross e facente parte della nuova generazione di fenomeni nel ciclismo, affrontare 3 sedute di allenamento di corsa durante una settimana molto intensa in un raduno in preparazione per la ripartenza della stagione che sta avvenendo in questi giorni. A me non aveva sorpreso più di tanto, considerando che nel ciclocross ci sono non pochi tratti da percorrere a piedi, soprattutto nelle gare più tecniche in Belgio, potrebbe tranquillamente rientrare in un’ottica di mantenimento per la sua attività invernale. Ma ho pensato anche a diversi altri casi degli ultimi tempi di cui ero a conoscenza, come ad esempio Nino Schurter, campione olimpico e pluricampione mondiale di mountain bike, tra i più grandi interpreti di sempre della specialità e famoso anche per i suoi allenamenti molto originali, che mantiene durante la stagione molta corsa a piedi, fino a sfiorare il 10% del tempo totale annuale. Ma ci sono altri casi, forse più sporadici, ma comunque curiosi. Ricordo Romain Bardet, tra gli scalatori francesi più forti degli ultimi anni, vincitore di un trail sulla neve in inverno, o Gioele Bertolini, campione italiano di ciclocross e mountain bike, capace di correre e molto forte alcune brevi corse in salita durante gli scorsi anni nel periodo di fine estate, durante il passaggio da una disciplina all’altra. Oppure ricordo persino una stories su Instagram di Remco Evenepoel, il nuovo fenomeno del ciclismo mondiale, nella quale si mostrava correre su un tapis roulant durante un ritiro a inizio stagione con la propria squadra, un esempio forse sciocco e che non significa nulla, ma comunque curioso.

Quello che voglio dire non è certo che ora i migliori ciclisti del mondo sono più forti perché si allenano a piedi. Non ci si è improvvisamente inventati nulla di così clamorosamente semplice e allo stesso innovativo. La mia è solo una riflessione su come delle volte i passi in avanti nella preparazione atletica vengano fatti quando si va contro certe convinzioni radicate, e quella della corsa come gesto “inquinante”, vista la contrazione eccentrica dei muscoli rispetto alla contrazione concentrica della pedalata, è sempre stata una delle più grandi convinzioni nel ciclismo. Ricordo che Aldo Sassi (storico direttore del Centro Mapei e tra i migliori preparatori di ciclismo degli ultimi decenni) aveva fatto degli studi riguardo probabili vantaggi nella forza concentrica anche dopo aver svolto sforzi eccentrici (che poi funziona così anche nel culturismo), ma forse si è tenuto tutto ciò nel cassetto per un po’ di tempo, non so se per timore o tradizione o altro. Per fare un altro esempio nel ciclismo per decenni si sono usati i classici metodi per migliorare la forza, soprattutto le famose SFR, mentre ormai è sempre più chiara l’importanza di inserire sedute di forza massima anche in palestra durante la stagione agonistica. Guardando alla corsa a piedi, nella maratona per decenni si è pensato al volume e a certi tipi di allenamento, mentre ora si tende sempre di più ad allenare la velocità concentrando sedute più lunghe a ritmi medi a discapito del volume totale, e viceversa nel mezzofondo veloce si sta capendo sempre più l’importanza di buoni volumi di chilometraggio e meno esasperazione dei lavori lattacidi.

Figuriamoci nel trail e nell’ultratrail, sport praticamente ancora neonati dal punto di vista della preparazione: anche qua si sta capendo sempre di più l’importanza della cura della velocità, anche per chi non punta a risultati agonistici, o l’importanza del cross training per aumentare il volume di lavoro aerobico riducendo il rischio di infortuni. Insomma, nel trail c’è un mondo ancora da scoprire riguardo la preparazione. Faccio un altro piccolo esempio personale. Mi è capitato sempre più spesso che dopo 5-10 giorni da un allenamento lungo e mediamente intenso o una gara, sempre lunga (da 4 a 10 ore), sul breve – che siano garette di 5-10 km o ripetute di breve distanza - vado più forte persino rispetto a periodi in cui ho preparato specificamente la velocità, nonostante muscoli ancora doloranti e magari un po’ di stanchezza generale. Come mai? Delle risposte ci sarebbero, ma chi farebbe mai correre ad un proprio atleta un allenamento lungo e intenso o una gara lunghissima prima di una gara breve? Nemmeno io lo farei con me stesso, me ne sono accorto quasi per sbaglio. Ripeto, c’è ancora tantissimo da scoprire sull’allenamento per il trail running, ed è una cosa bellissima.

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