mercoledì 5 maggio 2021

Com'è andata la mia UROC (ovvero, quando un percorso più facile è in realtà molto più difficile)

Sì, i percorsi semplici sono quelli più difficili. Almeno per me, o in generale per chi ha più caratteristiche da trailrunner “alpino” che da ultramaratoneta, come spesso sono gli americani. La UROC originale avrebbe un percorso con diversi single track abbastanza divertenti, tratti ripidi dove camminare, discese ripide dove dosare il ritmo, il tutto su sentieri per nulla banali, anche se, certo, non si tratta di una skyrace ultra tecnica e avrebbe al suo interno lunghi tratti molto semplici su asfalto. E io mi ero allenato soprattutto per questo tipo di percorso, inserendo un po’ di bici nelle ultime settimane, anche visto un fastidioso dolore al tendine d’Achille. Purtroppo una settimana prima della gara è stato annunciato un percorso diverso, tutto su strade bianche, con solo un breve tratto su prati nella zona di partenza e arrivo, e su un percorso di 50 km da compiere due volte, a sua volta diviso da altri tratti da compiere out-and-back (avanti e indietro). In sostanza (al netto di un percorso che poi al GPS è risultato di 96 km) i chilometri erano una ventina, da compiere avanti e indietro per più volte, e appunto, tutto su strade bianche. Il dislivello era poco meno dell’originale, quasi 3000 metri positivi, quindi non di certo tutto pianeggiante, ma molto diverso da come sarebbero stati i 3000 metri prevalentemente sui sentieri dell’originale.

Fatta questa lunga premessa, perché era più difficile? Bè, primo perché le salite erano corribili, o almeno così sono state per la prima metà gara, visto che nella seconda parte ogni tanto io e David (con cui ho condiviso quasi tutti gli ultimi due terzi di gara, se non tutti insieme, sempre molto vicini) ci stufavamo di correre e camminavamo, quindi impegnativa per un gesto tecnico molto ripetitivo e pericoloso per le infiammazioni. La difficoltà quindi era anche mentale, su un percorso da compiere sempre avanti e indietro e su stradoni larghi e monotoni. E poi la difficoltà maggiore, quella che più mi ha condizionato, sono state le discese corribilissime, soprattutto una lunga leggera discesa di una dozzina di chilometri con 500 metri negativi, per nulla adatta al mio stile di corsa e per il quale non ero molto allenato. Infatti David Hedges, il vincitore, in questi tratti andava molto più forte di me, costringendomi a sforzi supplementari per non perdere terreno e recuperare nelle salite dove mi sentivo più a mio agio. Sul percorso originale, nonostante il maggior dislivello, avrei patito molto meno muscolarmente le discese. L’impatto col terreno su sentieri mediamente pendenti riesco a gestirlo molto meglio, più reattivo, più leggero, molto meglio rispetto ad una discesa corribile e dove è totalmente diverso l’appoggio e anche il movimento meccanico degli arti inferiori, sempre uguale, è deleterio per le mie fibre muscolari.


(foto UROC 2019)

A livello fisico sono stato sempre benissimo, mai una minima crisi, mai un cedimento, alimentazione perfetta e senza alcun intoppo. Purtroppo a un paio di chilometri dalla fine David mi ha staccato in salita, dove per tutta la gara credevo di averne di più, ma non per mia crisi, anzi, io spingevo ancora bene, lui andava semplicemente di più. Di certo avevo un gran mal di gambe causato dalla disabitudine a questo tipo di percorso e non riuscivo ad aumentare la mia andatura.

Una cosa simile mi era capitata anche nella 100 miglia del Vermont corsa nel 2017, che aveva un percorso con le identiche caratteristiche. Ho capito una volta di più che per certi tipi di percorsi americani devo cambiare completamente il mio allenamento, o meglio, devo dedicarmi più ad alcune cose che solitamente tralascio, abituandomi maggiormente a terreni facili e corribili, ancora più di quanto già non stia facendo.

(foto Vermont 2017)

Una cosa positiva, e che mi ha aiutato ad evitare maggiori problemi nel finale, è stata quella di usare i bastoni nella seconda parte di gara. Grazie al fatto che a metà gara si tornava in zona partenza, avevo lasciato lì i bastoni, pensando che vedendo il percorso una volta, avrei potuto poi decidere se usarli o meno, e sì, sono stati davvero utili per salvare un po’ la gamba sulle salite, nonostante le pendenze per nulla estreme. Inoltre i bastoni sono stati molto d’aiuto per sforzare di meno tallone e tendine d’Achille e ridurre il rischio che mi dessero problemi. Infatti, un po’ anche per via dello scarico pre gara che mi ha fatto bene per sfiammare il tutto, non ho avuto alcun dolore e ho finito in ottime condizioni.

Quindi com’è andata la preparazione? Direi bene, nonostante un po’ di fastidi, cambi di programma, stress vari, ma il giorno della gara ero in forma, veloce (ok, bè, relativamente alla distanza) e resistente, segno che l’allenamento polarizzato ha funzionato. Era un anno e mezzo che non facevo una distanza così lunga (quasi 9 ore di gara) e aver finito bene, senza alcuna crisi, mi ha confermato ancora una volta che non ho bisogno di fare mega allenamenti lunghissimi, e che per le mie caratteristiche fisiche naturali sono sufficienti pochi lunghi su distanze “umane” per avere la giusta resistenza. Se solo si fosse corso sul percorso originale, la preparazione si sarebbe confermata ancora migliore…
Ora un breve recupero, per evitare di essere affaticato in estate, e poi parto per allenarmi per le gare alpine che spero di poter correre tra pochi mesi, UTMB in testa.

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